Documenta è una mostra d’arte contemporanea ponderosa. Fondata da Arnold Bode nel 1955 nella cittadina tedesca di Kassel, l’idea, in quel tragico Dopoguerra, fu che per ritrovare l’anima il Paese dovesse ripartire dalla cultura. Una grande rassegna con sede in una città rasa al suolo dagli alleati in quanto centro di produzione di armamenti poteva, anche simbolicamente, contribuire a questa rinascita. Non è un caso che in quella prima edizione il curatore avesse esposto proprio le opere che il nazismo aveva cercato di cancellare come “degenerate”.
Documenta 14 a Kassel
Dopo Atene l’edizione 2017 di Documenta prosegue a Kassel e si conferma una mostra di ricerca, antispettacolare e a rilascio lento, ricca di nomi estranei al mainstream.
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- Gabi Scardi
- 24 luglio 2017
- Kassel
Da allora, la mostra si è svolta con cadenza dapprima quadriennale poi, ormai da diversi decenni, quinquennale. Questa periodicità dilatata, insieme a un budget considerevole – circa 37 milioni di euro – le conferiscono autorevolezza, il senso di una sintesi del quinquennio passato e di un rilancio per quello a venire. E, d’altra parte, Documenta non ha mai ceduto alla facilità. Men che meno quest’anno.
Il direttore artistico di questa quattordicesima edizione, Adam Szymczyk, quarantaseienne di origine polacca, già direttore della Kunsthalle Basel ha infatti realizzato, insieme con un ampio team curatoriale, una mostra di ricerca, antispettacolare e a rilascio lento, ricca di nomi interessanti, ma estranei al mainstream. Una mostra che guarda avanti, ma anche indietro, fino agli anni Sessanta e Settanta, molto presenti con le loro sperimentazioni e con le loro utopie. Szymczyk ha inoltre complicato il quadro aggiungendo alla mostra una seconda sede, Atene, che non solo ha visto presenti tutti gli artisti, ma che ha anche inaugurato per prima.
La capitale greca è stata individuata sia perché vi affondano le radici della cultura occidentale – radici dalle quali, suggerisce Szymczyk come nel 1955 aveva fatto Bode, in un momento critico occorre ripartire – sia in quanto luogo simbolo dell’attuale débâcle e del confronto problematico tra un Nord e un Sud Mediterraneo. Vista così, Atene è il riferimento e la cornice ideale per questa mostra, le cui opere sono accomunate da una sensibilità a temi sociali e politici di attualità: le tensioni economiche e la situazione di debito di alcuni Paesi nei confronti di altri; le migrazioni e la loro capacità di mettere in crisi un senso della democrazia evidentemente poco solido; l’insorgere di populismi e il rinnovarsi di intolleranze; un persistente atteggiamento di sfruttamento del corpo femminile, che è sempre corpo politico. Ma nella mostra c’è anche il reverso di tutto ciò: fare emergere disparità che affondano le radici nel passato e la fragilità di equilibri che, erroneamente, si davano per acquisiti, stimola a mantenere viva l’attenzione, a sviluppare sensibilità e a individuare nuove reciprocità e inedite forme di scambio.
Ecco, allora, che l’impianto stesso della mostra viene ripensato; e, con uno scambio ad alto coefficiente simbolico, il Fridericianum, storicamente sede centrale di Documenta, non ospita la mostra di Szymczyk e del suo team, ma la collezione dell’EMST, il Museo Nazionale Greco di Arte Contemporanea, in trasferta in Germania per la prima volta. Mentre ad Atene la sede dell’EMST, inaugurata per l’occasione dopo un lungo periodo di latenza, ospita un’ampia sezione di Documenta.
La realtà complessa in cui oggi si vive emerge in ogni momento di questa mostra. Tra le 160 opere presentate, molte trasmettono la necessità di individuare nuove possibili forme di vita e di coabitazione. In posizione centralissima, davanti al Fridericianum, per esempio, saltano all’occhio gli abitacoli realizzati dall’artista curdo iracheno Hiwa K come paradigma per un nuovo genere di convivenza urbana. Si tratta di ripari allo stesso tempo, formattati ma ben accessoriati; spazi d’intimità organizzati all’interno di porzioni di strutture tubolari in cemento sovrapposte le une alle altre a formare un vero e proprio blocco abitativo.
Altre opere ci mettono di fronte alla durezza della situazione, senza compromessi. Basti pensare al video Glimpse di Artur Zmijewski: 20 minuti in cui lo sguardo dell’artista vaga tra gli abitanti della Giungla di Calais in procinto di essere evacuata; indugia sui volti delle persone ormai ridotte al silenzio, ferme sulla soglia delle abitazioni da lasciare: miserevoli, ma pur sempre abitazioni; sui loro corpi, sulle cose abbandonate lì, perché non è possibile portare via. Il video non ci lascia scampo, e genera profondo turbamento.
Su un piano diverso, ma altrettanto potenti, sono le opere deliranti e sarcastiche di Roee Rosen. Voce critica lucidissima di un paese – Israele – in cui autocontrollo e rimozione sono alla base di molti comportamenti collettivi, come la sua installazione di disegni Live and Die as Eva Braun, esposta ad Atene, e il recente The Dust Channel esposto a Kassel: una video-operetta ambientata in una casa borghese fa emergere il rimosso e dà una forma paradossale alla regressione psicologica generata dalla paura e dall’ossessione della difesa. Le opere di Rosen sono impietose e graffianti, tanto da diventare antiestetiche e profondamente “disturbanti”. Come “disturbanti” sono i dipinti sessuati della svizzera Miriam Cahn (1949); e conturbanti sono gli autoritratti dipinti con i piedi e con la bocca della bellissima Lorenza Böttner, in origine Ernst Lorenz Böttner. È basata invece sull’invito alla prossimità e a un’empatica partecipazione il lavoro della porno attivista Annie Sprinkle, attiva dagli anni Sessanta, con Beth Stephens. Ad Atene, Sprinkle ha organizzato una sessione di coccole in un grande letto collocato al centro dell’EMST; mentre a Kassel ha invitato il pubblico a condividere un paradossale “Ecosexual Walking Tour” basato sulla proposta di “fare l’amore con la Terra”.
Sempre prossimità, in un’altra accezione, è quella rilevata da María Magdalena Campos-Pons che, nell’installazione Matanzas Sound Map, ha accostato frammenti di due realtà problematiche ma vitali, Atene e Matanzas, l’“Atene cubana”, dove è nata. Il risultato è un ambiente accogliente, e fatto di minuzie, reso più vivo dalle tracce sonore realizzate dal compositore Neil Leonard. A Kassel, il luogo da lei creato diventa un bar.
Le opere interessanti sono numerosissime. E, se ad Atene l’insieme della mostra pareva un po’ disgregato e nel complesso l’innesto rispetto alla città risultava faticoso, a Kassel la relazione con il contesto urbano e storico si ricuce. Con momenti eccezionalmente efficaci in alcune sedi, come la Neue Galerie, dove il percorso storico e la mostra attuale si intrecciano in un tessuto di rimandi e di sovrapposizioni, per cui le scelte curatoriali emergono nella loro densità di senso.
È qui che si trova l’asciutta opera di Maria Eichhorn che narra l’origine di un prezioso nucleo di libri acquisiti nel 1943 dalla Berliner Stadtbibliothek dopo essere stati sottratti a un mecenate ebreo di Kassel. Come dichiarato da Szymczyk la vicenda di Cornelius Gurlitt e delle 1.500 opere d’arte trovate a Monaco nel suo appartamento costituisce uno spunto di riflessione e uno sfondo storico per l’opera.
A maggior ragione, quando scopriamo che il bisnonno di Gurlitt, Louis Gurlitt, nato ad Amburgo nel 1812, fu pittore paesaggista e il suo maggiore interesse fu l’antichità greca. Alla Neue Galerie si vedono i suoi acquarelli rappresentanti l’Acropoli. Ecco così ricostruito il ciclo che porta da Kassel ad Atene, dalla romantica fascinazione della Mitteleuropa per la classicità alla stretta economica dell’Unione Europea a guida tedesca, fino al rischio di emarginazione dei Paesi mediterranei. Le questioni più cogenti del presente – gli scenari di guerra, i fuggiaschi che affrontano i viaggi della disperazione e le reazioni estreme generate da questo esodo; il controllo, il terrorismo, il deteriorarsi dei legami sociali; con tutto questo gli artisti invitati a far parte di Documenta si confrontano.
Certo, in prima battuta può sembrare che questa Documenta voglia mettere in discussione il primato del visivo. Ma è questione di pochi istanti; poi dall’insieme delle opere, dei progetti, dei rituali, degli atti poetici presentati finiscono per emergere non solo un’idea dell’arte vincolata alla propria epoca e investita di un ruolo necessario, quello di generare riflessioni e nuove visioni; ma anche una grande intensità.
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fino al 17 settembre 2017
Documenta 14
Museum Fridericianum, Kassel, e varie sedi