Durante gli anni che ho passato qui in Olanda, il Van Abbemuseum è sempre stato un’ottima scusa per visitare Eindhoven, città relativamente lontana dal circuito artistico Amsterdam-Rotterdam. L’edificio originale in mattoni rossi è stato costruito nel 1936 da Alexander Kropholler, in tipico stile olandese tradizionalista – rifiutando cioè la tendenza espressionista della Scuola di Amsterdam in favore di decorazioni minime – e se ne sta vicino a un fiumiciattolo, come una fortezza della cultura, a pochi minuti dallo scintillìo high-tech proprio della città Philips per eccellenza. Dietro alla tozza torre dell’orologio si vede l’ala moderna, aggiunta nel 2003 a ricordare quello stesso scintillìo.
The 80s: Today’s Beginnings
La mostra che celebra gli 80 anni del Van Abbemuseum parte dagli anni Ottanta come svolta nel rapporto tra governo, cultura, arte e sfera pubblica, con ripercussioni che stiamo tutt’ora percependo.
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- Nicola Bozzi
- 30 maggio 2016
- Eindhoven
A parte ospitare una delle collezioni di opere di El Lissitzky più grandi del mondo, il Van Abbe porta avanti da anni una ricerca sul ruolo di arte, mostre e musei nella società, molto attiva sia localmente sia all’estero. “The 80s: Today’s Beginnings?” celebra l’ottantesimo anniversario del museo, pagando un tributo alla sua attività e alla collaborazione con L’Internationale, network di istituzioni affini sparse in tutti gli angoli d’Europa. L’intensità della mostra è in linea con molta della produzione del Van Abbe, ma l’ambito trattato – come spiegano nell’opuscolo il direttore Charles Esche, la capo ricerca Diana Franssen e il curatore Nick Aikens – è troppo ampio per un solo team curatoriale.
La mostra parte dagli anni Ottanta come svolta nel rapporto tra governo, cultura, arte e sfera pubblica, con ripercussioni in termini sociali e culturali che stiamo tutt’ora percependo in tutta Europa. Per fare giustizia alla complessità dell’argomento la mostra è quindi divisa in sei parti, con altrettanti curatori. Franssen e Aikens del Van Abbe presentano una retrospettiva sulla controcultura olandese e sull’arte nera britannica, mentre le altre sezioni sono affidate ad altri membri del network L’Internationale: Zdenka Badovinac (Moderna galerija, Ljubljana), Merve Elveren (SALT, Istanbul), Teresa Grandas (MACBA, Barcelona) e Fefa Vila Núñez (ricercatrice indipendente e collaboratrice del Museo Reina Sofia di Madrid). Chi visiterà dopo il 2 luglio avrà un’esperienza diversa rispetto all’inaugurazione, visto che il capitolo sloveno verrà sostituito da quelli spagnoli e da quello turco (una rotazione che conferma quanta carne ci sia al fuoco).
La prima stanza del capitolo olandese, che si occupa della cultura squatter, è dominato da un’installazione monumentale di Sandra Derks e Rob Scholte, distribuita su tre pareti. Si tratta di una specie di mitosi inversa, dove 64 innocenti illustrazioni da colorare per bambini si trasformano passo dopo passo in una singola e inquietante visione psichedelica. È l’opera principale in un’allestimento improntato altrimenti alla storiografia: c'è un documentario sul movimento degli squat di Amsterdam e un sacco di cataloghi e riviste pubblicate da istituzioni ora affermate come De Appel. La seconda stanza è meno intensa: omaggia le sperimentazioni mediatiche di artisti e attivisti internazionali in Olanda, con video-installazioni di Raul Marroquin, Servaas and Nam June Paik, tra altri. Dedicata al femminismo, la terza stanza comprende anch’essa un archivio di pubblicazioni, poster e un ritratto all’uncinetto del Rebellious Pride Group a opera di Patricia Kaersenhout, che celebra le pioniere del movimento delle donne nere.
Le tensioni culturali e razziali riguardo al passato coloniale del Regno Unito sono alla radice di Thinking Back, il capitolo britannico. Anch’esso ricco di libri e poster, che esplorano la relazione tra arte nera e istituzioni culturali, questo tratto della mostra è un po’ più arioso degli altri. Video di Mona Hatoum e un documentario immersivo di Isaac Julien e il Sankofa Video Collective si alternano a installazioni miste di Keith Piper – il cui Black Assassin Saints (1984) e Body Politic (1983) sono tra le opere più forti – e le sagome di legno di Lubaina Himid, nativa di Zanzibar. I corpi neri sono dipinti come oggetto di negoziazioni identitarie, violenza e desiderio sessuale, e parlano spesso tramite testi fitti. A volte l’aspetto politico viene espresso nella decolonizzazione dell’estetica moderna – per esempio nel minimalismo macchiato di sangue del Green Painting di Rasheed Araeen o nelle African Icons di Eddie Chambers, dove riferimenti figurativi a guerra e religione vengono inscritti in griglie ordinate.
Anche se la sezione di cui sopra è la mia preferita in termini di equilibrio tra forti opere visive e materiale d’archivio, la mostra slovena – “NSK: From Kapital to Capital” – è forse la più sorprendente (anche se un po’ affollata). Le due stanze si concentrano sul collettivo Neue Slowenische Kunst, inizialmente composto da tre sottogruppi – Laibach, IRWIN e lo Scipion Nasice Sisters Theatre – attivi in diverse discipline. Il risultato è un allestimento esploso ma coerente, composto da icone scultoree, vari manifesti (la NSK nella sua storia ha generato altri gruppi: New Collectivism, the Department of Pure and Applied Philosophy, Retrovision, Film and Builders), registrazioni di concerti e video musicali, il tutto imbevuto di estetica totalitaria. Fondato nell’ultimo decennio della ex Jugoslavia, il collettivo si appropriava di una varietà di stili – da dipinti medievali a copertine di album – e abbracciava un gusto nazional(ista) piuttosto che inseguire l’originalità (questo si vede specialmente nel progetto in corso di IRWIN, Was ist Kunst, che comprende un’abbondanza di dipinti figurativi e trofei di animali). L’identificazione nel particolare gusto da blocco orientale della NSK si distacca dal linguaggio dei suoi contemporanei postmoderni e sembra viaggiare su binari critico-ironici tutti suoi, che risulta poi esserne l’aspetto più affascinante.
La prima parte di “The 80s” è già ricca abbastanza, visto che copre tutto tra negoziazione di spazi urbani, sperimentazioni mediatiche, politica del corpo ed estetiche ideologiche. La seconda fase sostituirà le stanze della NSK con altre tre sotto-mostre che sembrano ancora più politiche: un’analisi della video arte catalana nella Spagna post-franchista, attraverso l’attivismo del collettivo Video-Nou (poi Servei de video comunitari), un archivio della politicizzatissima scena queer di Madrid (esemplificata da gruppi come LSD e La Radical Gai) e una documentazione di movimenti controculturali turchi emersi in risposta al governo del colpo di stato del 1980 (manifestazioni femministe, riviste, un’università libera).
Ambiziosa com’è, “The 80s: Today’s Beginnings?” va lodata: accomunare uno spettro così vario di prospettive europee – nel senso più ampio possibile, visto che Turchia e Slovenia vengono raramente calcolate, così come le colonie olandesi e britanniche – è un gesto puntuale e coerente con la tradizione di ricerca del Van Abbemuseum. Un bel modo di iniziare i prossimi 80 anni di ottima attività.
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fino al 25 settembre 2016
The 80s: Today’s Beginnings
Van Abbemuseum