Il 1967 segna il centenario del Canada, un momento di grande entusiasmo e nuove possibilità: un Paese giovane, al suo primo secolo di vita, guarda al futuro con la convinzione che tutto sia possibile. Conservatori e liberali si uniscono per celebrare un evento che mette in risalto una visione multiculturale emergente, includendo anche le Prime Nazioni (ovvero popoli indigeni o autoctoni del paese). L’Expo 67 di Montreal diventa la vetrina di alcune delle visioni architettoniche più utopiche e radicali, ispirate dal tema “Man and His World” (L’uomo e il suo mondo) e dalla domanda centrale: come possiamo convivere? Progetti come l’Habitat di Moshe Safdie e la Biosfera di Buckminster Fuller diventano simboli iconici del decennio. A Ottawa, Fred Lebensold progetta il National Art Center. A Toronto, grazie ai fondi federali per il centenario, la città emerge come capitale modernista: il Toronto City Hall di Viljo Revell apre nel 1965, seguito dal Scarborough College e dal Science Center di John Andrews e Moriyama Teshima Architects. Nel 1969, Ludwig Mies van der Rohe completa il TD Center.
Tra i progetti più rappresentativi di questo periodo, Ontario Place spicca ancora oggi come emblema degli ideali utopici del giovane Canada. Situata sulle rive del lago Ontario, l’isola artificiale è frutto della collaborazione tra il paesaggista Michael Hough e l’architetto Eberhard Zeidler. Concepita come un’infrastruttura futuristica e simbolo di equità sociale, Ontario Place offre un’esperienza urbana innovativa: un parco divertimenti per bambini, gallerie espositive ed educative sospese sull’acqua, la prima cinesfera Imax permanente e un lungomare accessibile a tutti. Al centro di questo paesaggio unico – caratterizzato da sentieri sinuosi, fitte foreste, canali tranquilli e lagune navigabili – c’è l’idea che il rapporto con il paesaggio più ampio, la “natura”, abbia radici nelle città e nell’urbanità. Soprattutto, l’architettura può rafforzare il legame con il paesaggio, favorendo una maggiore coesistenza tra natura e città.
Dal 2019, tuttavia, il governo dell’Ontario ha avviato piani di riqualificazione per il sito, annunciando la demolizione di Ontario Place per far spazio a una mega-spa privata. La comunità dei progettisti di Toronto ha reagito, e nel 2020 il World Monuments Fund ha inserito Ontario Place nella sua Watch List ufficiale, riconoscendone il valore come patrimonio tardo-modernista. Questo interesse internazionale è stato alimentato da opere come il libro seminale di Reyner Banham del 1976, Megastructure: Urban Futures of the Recent Past. Nel novembre 2024, una conferenza organizzata da Robert Levit e Aziza Chaouni presso la Facoltà di Architettura, Paesaggio e Design John H. Daniels dell’Università di Toronto, intitolata Preservation? Modernist Heritage and Modern Toronto, si è inserita in una battaglia quadriennale per la salvaguardia di Ontario Place. L’evento ha celebrato il contributo di organizzazioni come Save the Science Centre, Ontario Place for All, Toronto Society of Architects e Cultural Landscape Foundation, impegnate nella difesa di Ontario Place e del Science Centre. Il loro lavoro ha portato alla creazione di preziosi archivi di conoscenze su questi edifici e, soprattutto, ha mobilitato il dibattito pubblico per proteggere spazi emblematici per il patrimonio culturale della città in più rapida crescita del Nord America.
Sebbene la conferenza abbia esplorato la compatibilità tra conservazione e sviluppo a Toronto, il suo impatto va ben oltre. Ha infatti sollevato una questione di rilevanza globale: perché oggi è così difficile preservare l’architettura moderna? Accettiamo senza esitazioni la necessità di proteggere monumenti storici come la Cattedrale di Notre-Dame a Parigi, ma fatichiamo a salvaguardare alcuni dei più significativi edifici modernisti del secolo scorso. Esempi emblematici includono la Nagakin Capsule Tower di Kisho Kurokawa (1972, demolita nel 2022), il Chicago Prentice Women’s Hospital di Bertrand Goldberg (1975, demolito nel 2015) e il Robin Hood Gardens di Alison e Peter Smithson a Londra (1972, demolito nel 2017). Queste opere, portatrici di visioni utopiche, mettono in luce il disagio con cui oggi conviviamo con le icone moderniste.
Un progetto di ricerca in corso a Tashkent, in Uzbekistan, dal titolo Tashkent. Modernism XX/XXI, offre una speranza concreta per rinvigorire gli ideali del modernismo attraverso sforzi di conservazione e divulgazione architettonica, con il pieno coinvolgimento delle istituzioni culturali. La Fondazione per lo Sviluppo dell’Arte e della Cultura dell’Uzbekistan (ACDF), consapevole della graduale scomparsa delle architetture costruite durante la prima fase di modernizzazione della città negli anni Sessanta, ha avviato una vasta campagna per sensibilizzare il pubblico sull’importanza storica del patrimonio modernista di Tashkent e prevenire la demolizione di edifici significativi. La conferenza Where in the World is Tashkent?, organizzata dall’ACDF e coordinata da Grace nel 2023, ha portato alla pubblicazione di Tashkent: A Modernist Capital (Rizzoli), destinata a promuovere la conoscenza dell’architettura della città a livello internazionale, e al prossimo volume Tashkent Modernism (Lars Müller), un resoconto approfondito del progetto di ricerca. Queste pubblicazioni intendono inscrivere l’esperimento sociale sovietico radicale, di cui l’architettura di Tashkent è testimone, come una pietra miliare nella mappa globale del modernismo architettonico del XX secolo.
Dopo la morte nel 2016 di Islam Karimov, leader dell’Uzbekistan dal 1991, il Paese ha cercato una netta rottura con il proprio passato. E la conservazione dell’architettura, percepita come retaggio di un’epoca trascorsa, è diventata uno strumento per definire una nuova identità. Anche città come Toronto, con il loro ricco patrimonio modernista ancora poco riconosciuto, devono assumere un ruolo di leadership internazionale nella promozione della conservazione architettonica, seguendo l’esempio di Tashkent. Il ritardo di Toronto e di altre città, così come la scarsa protezione degli edifici modernisti in vari Paesi europei, come la Francia, suggerisce che non siano ancora riusciti a formulare una visione per il futuro, né a relegare il XX secolo in modo sicuro nel passato. Ora più che mai, è essenziale riscoprire le architetture che incarnano l’etica modernista dell’emancipazione sociale e del legame con la natura, per ispirare un’agenda di conservazione che guardi al futuro dell’umanità e de “l'uomo e il suo mondo”, nel XXI secolo.