Tommaso Speretta: Perché, dopo la mostra allo Schaulager di Basilea, hai scelto Atene come la città dove fare ricerca per progetti futuri?
Paul Chan: Mi interessava vedere di persona alcuni di quei luoghi ai quali ho pensato molto durante il periodo che ho trascorso a Basilea. Per prima cosa ho visitato la scuola di Aristotele, e a seguire l’Agorà, dove hanno insegnato prima Socrate e poi Zenone. Ho attraversato il quartiere di Atene – a metà tra l’Agorà e l’Accademia di Platone – dove gli archeologi credono si trovasse il giardino di Epicuro. Infine, ho voluto vedere la zona della città in cui Platone aveva fondato la sua Accademia – oggi è un piccolo parco.
Tommaso Speretta: Sono soprattutto i luoghi della tradizione filosofica greca. Per quale motivo questa decisione?
Paul Chan: Le scuole filosofiche greche hanno avuto un ruolo importante nel mio progetto per la mostra allo Schaulager di Basilea.
Tommaso Speretta: In che cosa consiste e da dove arriva questo substrato filosofico?
Paul Chan: Ha a che fare soprattutto con la città in se stessa. Quando, più di quattro anni fa, accettai l’invito di preparare questa mostra, conoscevo Basilea – come, forse, la maggior parte delle persone che lavorano nell’arte contemporanea – perché ospita Art Basel. Solo più tardi scoprii che Nietzsche aveva insegnato all’Università di Basilea, dal 1869 al 1879. E fu proprio a Basilea che Nietzsche si innamorò e disinnamorò dell’arte, perché fu qui che si innamorò e disinnamorò di Wagner. La sua visione dell’arte cambiò radicalmente nel corso del suo lungo soggiorno a Basilea. E benché Nietzsche non sia mai stato un filosofo al quale mi sento vicino, cominciai a interessarmi a questa storia. E così, come quasi sempre accade, la mia curiosità mi ha portato a prendere una direzione diversa, fino a interessarmi ai suoi primi studi filologici e filosofici, per approdare in definitiva ai greci. Nietzsche era un formidabile filologo.
Tommaso Speretta: Come sei approdato dall’arte alla filosofia? E in che modo lo studio della filosofia ti ha aiutato a elaborare il tuo lavoro e dargli forma?
Paul Chan: Prima è venuta la filosofia, e poi l’arte. Non ho studiato filosofia in maniera professionale e accademica, e non ho una laurea in filosofia, ma all’età di 10 o 11 anni ho cominciato a pormi una serie di domande, quelle stesse domande che ciascuno di noi si pone a quell’età: “Perché sono così brutto?”, “Perché le persone mi deridono?”, “Mi sentirò per sempre così solo?”, “Chi mi conosce realmente?”, “Come imparerò a conoscere davvero me stesso?”, “Che cosa finirò a fare?”, “Perché nessuno si innamora di me?”. Domande banali dunque, da adolescente, ma a quell’età ero alla ricerca di risposte – le cercavo nei miei genitori, negli amici, negli insegnanti e qualche volta nei libri. Ora, sono molti i libri che un giovane può cominciare a leggere. A me è capitato di prendere in mano dei libri di filosofia, e così ho cominciato a interessarmi alla materia come una forma di auto-aiuto. Ero letteralmente convinto che Spinoza mi avrebbe aiutato a vivere meglio, e per questo ho letto l’Etica. Ho letto Voltaire pensando che mi avrebbe insegnato a essere più socievole e coraggioso. Assurdo, no?
Tommaso Speretta: Qual è il primo libro di filosofia che hai letto?
Paul Chan: È stato Storia della Filosofia di Will Durant. Grazie a questo libro ho cominciato a leggerne altri. È questa la bellezza dei libri: ogni libro ti conduce a un altro libro. Così, il modo in cui Durrant descrive Voltaire, mi ha portato a leggere il Candido; e il modo in cui racconta e si lascia affascinare da Spinoza mi ha condotto all’Etica.
Tommaso Speretta: È per questo motivo che nel 2010 hai fondato una tua casa editrice, la “Badlands Unlimited” – per trovare altre risposte alle tue domande?
Paul Chan: Per molto tempo ho voluto pubblicare dei libri, ma una particolare tipologia di libri – ossia quegli stessi libri che leggevo da ragazzo, libri che ti insegnano come affrontare la vita, o che per lo meno ti aiutano a capire come potresti affrontarla – alla meglio o alla peggio. Lo chiamo “il principio montaignesco della letteratura”.
Tommaso Speretta: Oltre a essere un vorace lettore, sei anche uno scrittore prolifico. Selected Writings, il tuo libro più recente pubblicato in occasione della mostra allo Schaulager di Basilea, testimonia la tua intensa attività di scrittore. Alla ricerca di che cosa sei quando scrivi?
Paul Chan: Per avere qualcosa da leggere. Sono molto contento e soddisfatto della mostra a Basilea. Il fatto che sia riuscito a portarla a compimento testimonia della volontà e dell’impegno dello Schaulager a prendere dei rischi con un artista “discutibile” come me. Nel contesto di questa mostra, è Selected Writings il lavoro più prezioso, quello a cui sono più legato. È solo un libro che galleggia in un oceano di altri libri. Ha richiesto un impegno e una quantità di lavoro smisurato, ma ne è valsa la pena.
Tommaso Speretta: I saggi raccolti in questo libro sono in qualche modo ispirati o influenzati dalla tua “attitudine filosofica”?
Paul Chan: Non sono molto sicuro di poter dire di avere “un’attitudine filosofica”.
Tommaso Speretta: In un’altra occasione mi hai a lungo parlato della tua ammirazione per il filosofo italiano Giorgio Agamben – come e quando ti sei imbattuto per la prima volta negli scritti di Agamben?
Paul Chan: È accaduto attraverso il suo libro Homo Sacer. In quel periodo, George Bush era stato eletto presidente ed eravamo nel bel mezzo della seconda guerra del Golfo. Un momento storico in cui a una mentalità guerrafondaia si mescolava una religiosità invadente. E Agamben, tra i filosofi contemporanei, ha affrontato la storia del pensiero religioso in modo per me illuminante – in particolare la storia del Cristianesimo, il suo rapporto con le altre fedi e il modo in cui la religione ha piantato, e continua a farlo, le sue radici in altri ambiti del pensiero umano. E questo per me, che in quel momento ero un giovane attivista, mi fu di grande aiuto.
Nel corso degli anni il mio interesse per il suo lavoro si è intensificato al punto tale che ho deciso di frequentare, per un anno e mezzo, un seminario allo Union Seminary di New York, perché in parte influenzato dai suoi scritti, ma anche da quelli di altri filosofi contemporanei, come Badiou e Taubes. Ma è Agamben a essere stata la chiave.
Tommaso Speretta: I seminaristi conoscevano il pensiero di Agamben e quello di Badiou?
Paul Chan: Si, ne erano a conoscenza, e lo sapevo già prima di cominciare il seminario. Ma è un seminario, dunque alla fine non ci si spinge troppo in là con pensatori come Agamben. Forse perché si crede in Dio. Non so se e in che cosa Agamben o Badiou credano, ma i miei compagni allo Union Seminary concepivano la religione solo se radicata profondamente nella fede. Non dimenticherò mai l’ultimo giorno di lezione quando, dopo la mia presentazione, uno dei partecipanti alla classe si rivolge a me dicendomi “Paul, mi è piaciuta la tua presentazione, ma una questione rimane in sospeso. Ho avuto l’impressione che tu non creda in Dio. È così?”.
Tommaso Speretta: La tua attività di attivista politico, soprattutto in Iraq, ha in qualche modo influenzato la tua arte, o tieni le due cose separate?
Paul Chan: Non so dire se l’esperienza in Iraq abbia direttamente influenzato la mia arte, ma posso dire con certezza che entrambe sono delle attività con uno scopo e un significato precisi. Possono prendere direzioni diverse e per questo esserci opinioni diverse su come andrebbero fatte e, di conseguenza, svariati sono i criteri per valutare il modo migliore, o peggiore, per portarle a termine.
Tommaso Speretta: Mi sembra di capire che non consideri il tuo attivismo politico una forma artistica.
Paul Chan: Quello che posso dire è che l’impegno politico non l’ho praticato come una forma d’arte. E se lo avessi fatto, sarebbe stato in maniera ancora più amatoriale e semplice di come lo ho effettivamente praticato.
Tommaso Speretta: Ma credi che l’attivismo politico possa essere concepito in relazione all’arte?
Paul Chan: Ho una visione molto ristretta dell’attivismo e dell’impegno politico in generale, una visione che viene dalla mia esperienza diretta in Iraq e in altri luoghi, e che ha a che fare principalmente, e molto semplicemente, con l’organizzare e mobilitare le persone. Per me questo è l’unico aspetto che definisce che cos’è l’attivismo politico, tutto il resto è secondario. È questo lo strumento che ne misura il successo o il fallimento.
Tommaso Speretta: Se tutto ha solo a che fare col mobilitare le persone, quale pensi allora sia il modo migliore per poterlo fare?
Tommaso Speretta: Ci sono molti modi. La mia esperienza mi ha insegnato che quando si utilizzano solo gli strumenti dei mass media, la mobilitazione non è poi così efficace, come lo è invece quando si instaura un rapporto diretto con le persone.
Le persone con le quali sono partito per l’Iraq, andavano di casa in casa, di famiglia in famiglia a Baghdad. Non erano visivamente sofisticati come lo possono essere stati Gran Fury o ACT UP. Da loro ho imparato una forma di impegno politico radicato nel saper parlare alle persone e di conseguenza nell’essere aperti ad ascoltarle – un processo a volte tremendamente lento. Credo che la mia generazione abbia dato troppa importanza all’utilizzo dei mass media. Ci siamo lasciati convincere che con l’utilizzo degli strumenti adatti, o di quelli più espressivi, avremmo ridotto il tempo necessario a mobilitare una comunità di individui. Ma non è così. Quello che ho imparato dalla mia esperienza è che non si può imbrogliare il tempo e che, qualsiasi sia il tipo di attività significativa che si vuole intraprendere, per instillare un’idea nella mente delle persone, un’idea che dia loro la volontà e l’opportunità di impegnarsi a raggiungere un obiettivo, questo richiede molto tempo. Il tipo di impegno politico che sono convinto funzioni è lento e richiede un impegno che forse nessuno di noi realmente ha. Richiede molta energia e un sentimento di empatia quasi inumano, ma quando funziona, funziona davvero.
Fino al 19 ottobre 2014
Paul Chan. Selected Works
Schaulager
Basilea