Passando sotto il nuovo Pirellone di Formigoni a passo svelto un dubbio comico ha arricciato gli occhi di molti: i Lavoratori dell'arte sono completamente impazziti? È questo Macao? Per fortuna, la marcetta è avanzata su via Galvani in direzione Stazione Centrale, ma appena attraversata via Gioia, il dubbio è diventato certezza: sono pazzi.
Sabato 5 maggio, la torre Galfa (acronimo che deriva dalla posizione dell'edificio, all'incrocio tra via GALvani e via FAra) è diventato il più grande spazio occupato d'Europa, con i suoi 31 piani e garage sotterranei. Trasformare un grattacielo degli anni Cinquanta di Melchiorre Bega – 'abitato' da una compagnia petrolifera prima, da una banca poi e, infine, acquistato da Ligresti – in Macao è una scelta che sfiora il sublime. "Non volevamo uno spazio già connotato, come un museo, un teatro, un cinema, non volevamo solo riappropriarci di un luogo pubblico già destinato alla cultura", spiega Maddalena, una degli ideatori dell'occupazione. "Abbiamo alzato il tiro, perché ci interessa un concetto di arte – e di cultura – molto più diffuso ed esteso nel tessuto urbano e sociale".
"Vogliamo mettere in relazione il modo in cui l'industria culturale produce disuguaglianza, a Milano e non solo, sia sul fronte del lavoro che su quello urbano", aggiunge Angelo, artista che fa parte del gruppo. "Cosa lascia sul terreno, l'economia dell'evento: dal Salone del mobile all'EXPO, alla Biennale di Venezia o al Forum delle Culture di Napoli? In sostanza nulla, né ai cittadini né ai cosiddetti creativi, espropria lavoro gratuito e spazio pubblico. Produce gentrificazione, esattamente come l'enorme area di Porta Nuova qua dietro nel quartiere Isola".
Arte nella Torre Galfa
Il progetto dei lavoratori dell'arte che hanno occupato la Torre Galfa è trasformare un grattacielo di 31 piani, in disuso da anni, in un nuovo centro per le arti. Un piano alla volta, seguendo il ritmo dei progetti e delle persone disposte a realizzarli.
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- Lucia Tozzi
- 12 maggio 2012
- Milano
Entrare è facile, basta piegare una lamiera da cantiere. E, infatti, da anni, da quando cioè il palazzo è stato abbandonato e bonificato, i ragazzi del quartiere, quelli più svelti degli altri, ci hanno sguazzato. La prima sala con gli ascensori e le stanze affacciate sulla strada hanno ancora il pavimento, l'acqua e l'elettricità: poi più niente. Dal primo piano in su, è stato estirpato tutto: tubi, suppellettili, isolanti e si cammina sul cemento crudo circondati dall'illuminazione totale delle finestre a nastro. Mano a mano che si salgono le scale, si cominciano a vedere le terrazze desolate degli uffici intorno, decorate dalla rosa camuna simbolo della regione Lombardia, poi la pista per elicotteri del nuovo palazzo della regione e una quantità immensa di locali tecnici sul tetto del suo serpentone, e poi si svetta sull'area di trasformazione più veloce di Milano, i nuovi palazzi venuti su da Porta Nuova alla stazione Garibaldi e da corso Como all'Isola.
Nel giro di un quarto d'ora, almeno dieci persone dotate di computer e chiavette fanno esplodere la notizia e, in pochissime ore, il flusso di gente diventa impossibile: tutti a fotografare con telefoni, macchine, videocamere; l'età media è bassissima. Una delle prime azioni della sera, dopo l'allestimento del bar e dei concerti, è trovare gli 'imboscati' ai piani alti e sbarrare l'accesso, per evitare il peggio. La notte è un delirio di spettacoli, performance, concerti. Il giorno dopo, anche meglio, cominciano ad arrivare i volontari: una processione di architetti, artisti, designer con progetti di serre, gusci, mobili di emergenza, letti di cartone, pedane per concerti. Ferdinando, che coordina la manovalanza, s'impone: "Per prima cosa, abbiamo bisogno dei bagni e di un massetto di cemento che ricopra la polvere, se no soffochiamo qua dentro! Dobbiamo viverci bene". Sconcerto. Gli architetti pensano sempre un po' più in grande, planimetria alla mano. Poi uno tira fuori l'idea dei teloni usati, un altro è in grado di portare le piastrelle, i bancali, le menti si attivano sui materiali riciclati, si ragiona sui depositi e sui magazzini. Le operazioni di pulizia e messa in sicurezza diventano acrobatiche, c'è persino una ragazza sui trampoli che smantella il sughero marcio dal soffitto.
Non volevamo uno spazio già connotato, come un museo, un teatro, un cinema, non volevamo solo riappropriarci di un luogo pubblico già destinato alla cultura.
Da lunedì, si cominciano a organizzare i tavoli di lavoro, professori giovanissimi portano i loro studenti coetanei a fare lezione nel cortile, nella pausa pranzo qualche abitante degli uffici entra a curiosare. Si pianificano workshop, incontri, mostre, spettacoli, concerti, si cerca un coordinamento che è ai limiti dell'impossibile, perché è una rivoluzione "senza capetti". E, quindi, c'è bisogno di più tempo per individuare chi fa cosa, chi decide le priorità, chi seleziona i concerti, gli spettacoli, i dibattiti. Sul sito e sui social network le voci si affollano, si sovrappongono, è un caos felice. "C'è il tavolo programmazione, ma è destinato a sparire: noi non vogliamo diventare dei curatori alternativi, si arriverà al punto in cui tutta questa energia dovrà autoregolarsi", continua Maddalena.
Allo stesso tempo, però, Macao vorrebbe produrre e promuovere arte di ricerca e non diventare un circo per esibizioni artistiche e intellettuali. "Il sistema dell'arte è forse il più infido di tutti, perché nei suoi livelli alti ormai le opere funzionano come prodotti finanziari e i curatori di biennali non fanno altro che succhiare energia dai movimenti politici internazionali e fare bignamini del pensiero radicale più à la page, mentre la massa degli artisti fuori circuito è strutturalmente la più atomizzata di tutta la fascia dei lavoratori della cultura", aggiunge Jacopo. Ma di tutto questo spazio cosa ne faranno? Tenerlo chiuso a oltranza sarebbe un delitto imperdonabile. Conclude Angelo: "Apriremo un piano alla volta, il ritmo di espansione in altezza seguirà quello dei progetti e delle persone disposte a realizzarli. Già solo con quelli che ci sono adesso possiamo riempirne parecchi".