Spiega Andrea Bellini, condirettore di fresca nomina del museo (insieme a lui c'è Beatrice Merz: anche qui, la duplicità che ritorna…): "È un progetto speciale e site-specific, concepito per la Manica Lunga del Castello. Un corridoio lungo 147 metri e largo appena 6, l'esatto contrario del classico e neutrale white cube: l'idea è di trasformare la costrizione spaziale in valore aggiunto, commissionando una serie di esposizioni pensate appositamente per questo luogo. L'anno prossimo mi piacerebbe affidare qualcosa a Daniel Buren, per esempio".
Carr ha raccolto la sfida e rilanciato. Dividendo la spazio in due sezioni, ciascuna delle quali composta da altrettante stanze che si riflettono tra loro, a visualizzare anche dal punto di vista architettonico il concetto di duplicazione. E quindi mettendo insieme una quarantina di artisti diversi sotto il profilo poetico, geografico e generazionale – dal defunto Andy Warhol al venticinquenne lituano Gintaras Didziapetris –, presenti ognuno con una coppia di lavori. Così i protagonisti storici delle avanguardie dell'ultimo mezzo secolo convivono con personaggi emergenti. Concettuali (il cubano Wilfredo Prieto) e poveristi (Michelangelo Pistoletto) si trovano fianco a fianco con il nuovo che avanza (Lara Favaretto e le sue valigie smarrite in Lost & Found; la giovane Alek O. che usa oggetti della propria memoria, tipo un vecchio cavatappi, fondendoli e trasformandoli in piccole sculture minimaliste). E le opere s'intrecciano in un gioco di specchi, tra "vedere doppio" e déjà-vu, non senza qualche scarto e sfalsamento di senso. Emblematica, in tal senso, la prima stanza. Dentro s'incontrano il primo lavoro del concettuale Giulio Paolini (Disegno geometrico del 1960), Gemelli di Alighiero Boetti (due autoritratti del 1968 solo apparentemente identici e accorpati in un fotomontaggio, con l'artista che tiene per mano un se stesso uguale ma diverso) ed Essere fiume 6 di Giuseppe Penone, lavoro del 1998 consistente in due grandi pietre che sembrano uguali, mentre una è stata prelevata da un torrente di montagna e l'altra è stata scolpita sulla falsariga del modello.
Se per Penone l'arte "copia" la natura, per Maurizio Cattelan l'arte "copia" l'arte raddoppiandola (e siamo oltre il celebre detto di Oscar Wilde, secondo cui era la vita a copiare l'arte e non viceversa). Nel 1997 l'artista, famoso per le sue provocazioni, decide di riprodurre integralmente la mostra di Carsten Höller alla Galleria Art de Paris e di esporla nell'adiacente spazio di Emmanuel Perrotin, identica persino nel comunicato stampa e nei prezzi delle opere. Moi-Même, Soi-Même è un reperto di quel furto d'autore, un ritratto di Carsten Höller da dietro (naturalmente a Rivoli è presente pure l'originale dell'artista derubato): "Per questo abbiamo inserito anche due pezzi emblematici di Warhol, Marylin del 1967 e Flowers del 1971", commenta Carr, "perché lui è stato un precursore nel mettere in gioco il concetto di autenticità e di pezzo unico, lavorando sulla raddoppio, sulla serialità, sulla ripetizione". Una lezione, quella warholiana, fatta propria dal quarantenne Jonathan Monk che replica in due opere (anch'esse quasi identiche) il famoso A Bigger Splash del maestro britannico David Hockney: salvo che ai titoli, Before A Bigger Splash e After A Bigger Splash (prima e dopo un tuffo più profondo), non fa riscontro nei dipinti alcuna traccia del tuffo.
"Exhibition, Exhibition" si chiude con l'ennesimo e vertiginoso effetto di rispecchiamento. L'ultima opera richiama infatti la prima ed è firmata nuovamente da Giulio Paolini. In Dopo tutto, realizzata per la Manica Lunga e terminata il 19 settembre 2010 (giorno precedente all'inaugurazione), è un autoritratto del pittore che, nella stessa prospettiva dello spettatore, osserva il proprio disegno "esplodere" in frammenti di puzzle. Come se il vero doppio dell'oggetto artistico (e anche della nostra percezione visiva) fosse proprio lo spazio in cui viene esposto. Ivo Franchi
Exhibition Exhibition
fino al 9 gennaio 2011
Castello di Rivoli, Torino