Costruire una chiesa è ricostruire la religione, restituirle la sua essenza. Testo Walter Guadagnini.

"Costruire una chiesa è un po' come ricostruire la religione, restituirle la sua essenza": così Gio Ponti, a proposito dell'architettura sacra, della quale la Concattedrale di Taranto è esempio tra i più significativi dell'Italia contemporanea.

Ora, come poteva Mimmo Jodice affrontare un edificio di questo genere, Jodice autore nell'ormai lontano 1974 di un volume come Chi è devoto, da sempre attento alle manifestazioni della religiosità popolare e, al tempo stesso, frequentatore dei capolavori di una religiosità differente come quella che ha dato origine alle sculture e agli edifici del mondo classico mediterraneo, luogo privilegiato di ispirazione per lunghi anni? Un fotografo che, peraltro, ha abbandonato la rappresentazione della figura umana (almeno di quella vivente) ormai dal principio degli anni Ottanta, concentrandosi sul paesaggio e sulle architetture, o forse sarebbe meglio dire sui luoghi, senza per questo mai iscriversi all'interno di un genere tutto sommato ancora ben definito come la cosiddetta fotografia di architettura.

Un fotografo che, in estrema sintesi, trasforma in presenze, in personaggi, gli elementi stessi del paesaggio, siano essi naturali o artificiali, che suggerisce la presenza umana attraverso i segni del suo passaggio, visibili o invisibili, e che su tale rapporto tra la flagranza del dato reale e la suggestione dell'elemento intellettuale ha costruito le basi della propria poetica.

Come ha scritto Jodice stesso: "Io credo che noi italiani viviamo in un Paese dove la realtà e la storia hanno una tale presenza e un tale carattere che non è possibile non essere attenti a queste cose come fotografi (...) Ma è sempre il dato reale, che resta la scenografia di fondo. E io credo che la scelta italiana, del gruppo italiano che ha fatto emergere questo modo di fotografare, sia il modo più corretto, più legato all'essenza della fotografia".

Ecco il punto, il luogo di incontro tra la costruzione – reale e ideale – di Gio Ponti e la fotografia di Mimmo Jodice: è la ricerca dell'essenza del fare, del linguaggio, unita a una piena coscienza della peculiarità della cultura italiana, quel doversi, sempre e comunque, confrontare con il passato, anche nel momento in cui va costruendo, fotografando, immaginando, il presente e il futuro. Fotografare una chiesa, dunque, e una chiesa contemporanea nello specifico, è per Jodice non tanto ricostruire la religione, ma ricostruire una volta di più il proprio approccio alla fotografia, riportarla alla sua natura più autentica e insieme restituire l'essenza di ciò che viene fotografato.

Sono infatti, queste immagini dedicate alla Concattedrale tarantina, una sorta di sunto degli elementi maggiormente caratterizzanti l'approccio di Jodice agli spazi interni, alle cose in sé, al rapporto che esse instaurano tra di loro e con lo spettatore. Il fotografo non punta tanto alla rappresentazione dell'edificio, quanto alla sua interpretazione, considerando il ripetersi delle forme come fulcro della propria visione e insieme nucleo dell'opera di Ponti: il motivo della figura geometrica non solo ritorna costantemente dall'esterno all'interno, collegando ogni elemento della composizione, ma finisce, in particolare negli scranni, per divenire quel personaggio da sempre presente, attraverso la sua assenza, nel mondo fotografico dell'artista.

Non è più solo elemento strutturale, non è più solo elemento decorativo, è questo e qualcosa in più, è l'essenza del luogo, è l'icona attraverso la quale il dato reale sia trasforma, attraverso il quale avviene la metamorfosi da oggetto inanimato a personaggio, senza che questo metta in discussione la sua natura primaria di guglia, finestra, scranno.

Ed è, questo, il senso del fotografare per Jodice, che in questa serie si concretizza, oltre che nella già ricordata immagine delle sedie, nel vetro, a sua volta caratterizzato da una struttura triangolare, che impedisce la visione diretta ed esplicita dell'interno; fotografare è riuscire a vedere attraverso un velo, un ostacolo, è insieme rivelazione e occultamento: niente di più e niente di meno. Walter Guadagnini