Quella della realizzazione dell’Autostrada del Sole è una storia, è noto, che alterna primati e vergogne, record e disastri, racchiusi in un gradiente compreso tra due eventi eccezionali di segno opposto. La prima autostrada al mondo è costruita in Italia, all’inizio degli anni ’20, quando l’ingegner Piero Puricelli progetta un rettilineo a due corsie proiettato da Milano verso Varese e la regione dei Laghi. Poco meno di un secolo separa la sua apertura dal più clamoroso fallimento autostradale italiano: il crollo del Ponte Morandi, durante una tempesta estiva nell’agosto del 2018.
Più o meno a metà dello scorso secolo, tra gli anni ’50 e ’70, si colloca l’epoca d’oro di espansione della rete. È un periodo di grandissime quantità ma anche di riflessione multidisciplinare sulle possibili qualità dell’infrastruttura. Si apre in pieno miracolo economico, con il piano poliennale impostato dalla Legge Romita del 1955. Si conclude con una cesura netta nel 1975, quando la Legge 492 impone il blocco delle nuove costruzioni, rese improvvisamente anacronistiche dal prolungarsi della crisi petrolifera. Nel frattempo, la rete autostradale italiana si è decuplicata dai 500 chilometri già in attività prima della guerra a quasi 5.000 chilometri. Soprattutto, è stata portata a termine nelle sue parti fondamentali la più ambiziosa di tutte le autostrade italiane e spina dorsale dell’intero sistema: la A1, l’Autostrada del Sole.
Trascorrono otto anni dalla posa della prima pietra, il 19 maggio 1956 a San Donato Milanese con il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, e l’inaugurazione di tutti i 764 chilometri tra Milano e Napoli, il 4 ottobre 1964 da parte del Presidente del Consiglio Aldo Moro. Mai dalla fine della guerra un’infrastruttura era stata finanziata con un investimento tanto cospicuo: 100 miliardi di lire che si materializzano in 113 ponti e viadotti, 572 cavalcavia, 38 gallerie e 57 raccordi.
In una congiuntura proficua quanto effimera i poteri, le intelligenze e le manovalanze del paese si alleano per la realizzazione di un’impresa inevitabilmente collettiva. L’IRI, ente pubblico, lancia il progetto che è subito adottato da un consorzio di quattro grandi imprese private – Agip, Fiat, Pirelli e Italcementi – che ne intuiscono il potenziale, anche per i propri interessi. L’idea è dello stesso Puricelli della Milano-Laghi, ma altri ingegneri si occupano di svilupparla: Francesco Aimone Jelmoni, a cui si deve il progetto di massima, e poi Fedele Cova, amministratore delegato della Società Autostrade per l’Italia, che coordina le operazioni. È Cova a proporre la suddivisione del tracciato in lotti di pochi chilometri, un espediente volto a facilitare la gestione dei cantieri ma anche a coinvolgere la maggior quantità possibile di imprese.
L’Autostrada del Sole sorprende innanzitutto come manufatto, per le qualità tecniche, materiali ed estetiche delle opere che la compongono. A cantieri non ancora conclusi molti dei suoi viadotti sono esposti al MoMA di New York, nella mostra del 1964 dedicata a Twentieth Century Engineering, un riconoscimento meritato per una collezione di esperimenti strutturali osati da Silvano Zorzi – è suo ad esempio il ponte sul Po a Piacenza, all’epoca il più lungo d’Europa in cemento armato precompresso – da Riccardo Morandi – che lavora alla maggior parte dei cavalcavia del tratto Bologna-Firenze – e ancora da Giulio Krall, Arrigo Carè e Giorgio Giannelli, Carlo Cestelli Guidi e Guido Oberti.
Fa parte a tutti gli effetti del progetto-autostrada la Chiesa di San Giovanni Battista a Campi Bisenzio (1960-1964), architettura tra le più organiche di Giovanni Michelucci, eretta anche in ricordo dei molti caduti nei cantieri dell’infrastruttura. Prima ancora del monumentale santuario, dall’Autostrada del Sole emerge un altro edificio d’autore, decisamente più inedito per forma e programma: è il primo autogrill a ponte d’Europa, progettato per Pavesi da Angelo Bianchetti e inaugurato nel 1959 a Fiorenzuola d’Arda.
Questa messe di costruzioni di varia estetica e natura s’innesta nel territorio italiano che molti considerano unico per “il surplus di spessore geografico, antropologico e culturale” – lo ha osservato ad esempio l’architetto Giacomo Polin, autore del Il paesaggio dell’autostrada italiana (Autostrade per l’Italia, 2011). Non un deserto conquistato alla civiltà grazie all’autostrada, ma un palinsesto di segni di diversa natura e di tutte le epoche, con i quali l’infrastruttura dialoga coscientemente o suo malgrado. La comparsa fugace del borgo di Orte, così vicino alla carreggiata da sembrare sospeso su di essa appena a nord del casello omonimo, è un esempio rappresentativo di una prossimità e di un conflitto che si ripetono infinite volte lungo il tracciato. Nel territorio stratificato dell’antico Bel Paese, l’Autostrada del Sole è un inserto talvolta sensibile e talvolta violento, il cui potenziale trasformativo riverbera ben oltre i suoi confini fisici. Si riordina la rete stradale tutta, con molte statali e provinciali trasformate in breve tempo da assi ad alto scorrimento in “panoramiche”. E si divaricano i destini di centri abitati dalle storie urbane fino ad allora simili, e ormai gerarchizzati nella loro attrattività in base alla distanza dal casello di riferimento.
Ben oltre le profonde modificazioni materiali e ambientali che ha generato, l’Autostrada del Sole merita di essere descritta come un oggetto culturale, all’incrocio di temi e immaginari. La sua costruzione è alimentata fin dall’inizio dalla retorica dell’unione tra Nord e Sud, tra l’Italia industriale e il Mezzogiorno problematico – e non sfuggirà ai più attenti l’accento paternalista della denominazione “del Sole”, che indica in via prioritaria un tragitto Nord-Sud, di fuga dalle nebbie padane. Le sue vicende si legano a doppio filo con la motorizzazione di massa del paese: proprio nel 1956 è lanciata la FIAT 500 – mentre la 600 è del 1955 – e sempre nello stesso anno Gianni Mazzocchi fonda Quattroruote, fondamentale rivista di cultura dell’automobile, che dedica ampio spazio all’Autostrada del Sole e così facendo ribadisce il nesso tra hardware e software, tra la modernità delle infrastrutture e quella delle vetture che vi circolano.
Proprio sulle contraddizioni della modernità, o meglio della modernizzazione italiana, riflette Pier Paolo Pasolini nella sua celebre analisi dell’ambiguo “linguaggio tecnocratico” utilizzata da Moro per commentare l’inaugurazione dell’Autostrada del Sole. Che, dal canto suo, nei decenni successivi compare come simbolo o come location in una sequenza di corto e lungometraggi tanto lunga che meriterebbe una trattazione a sé. Una selezione rapida ed incompleta ricorderà che vi sfreccia la Bella di Lodi di Mario Missiroli sulla sua spider nel 1963, che vi si consuma il dramma di Furio e Magda in Bianco, rosso e Verdone di Carlo Verdone nel 1981 e che vi è dimenticata, in una stazione di servizio, la sfortunata Rosalba protagonista di Pane e Tulipani di Silvio Soldini nel 2000.
Com’è logico attendersi, dal suo completamento l’Autostrada del Sole è stata modificata, ampliata, raccordata e addirittura sdoppiata, nel tratto Bologna-Firenze che oggi si compone di una “Direttissima” nuova fiammante e di un’antica “Panoramica”. Come altre infrastrutture italiane, vive il paradosso di essere un oggetto ormai obsoleto per la forma di mobilità che supporta, storico per l’età e per il valore di monumento che comincia ad esserle riconosciuto, e al tempo stesso vivo e attualissimo per i flussi che continua a smistare quotidianamente attraverso l’Italia. Nei prossimi sei decenni, in cui si possono prevedere ulteriori rivoluzioni nel mondo dei trasporti, l’Autostrada del Sole sarà un ottimo caso studio per osservare come evolverà il dialogo tra la dimensione patrimoniale e quella funzionale nella gestione delle grandi infrastrutture che il mondo di oggi ha ereditato dal ‘900.