A 125 anni dalla fondazione dalla Fabbrica Italiana Automobili Torino, 11 luglio 1899, sembrano essere cambiati diversi mondi, più che uno solo; tant’è che “Fiat” oggi è un brand parte di un grande gruppo, ma il suo ruolo attraverso il secolo breve, per l’Italia come per diversi altri paesi, è stato di centro economico, politico e, forse soprattutto, culturale. È stata protagonista della motorizzazione italiana di massa del secondo dopoguerra con le 500 e le 600; prima ancora era stata simbolo della condizione moderna, dell’industria fordista novecentesca – col suo stabilimento del Lingotto che proprio a Ford la legava, e dove un entusiasta Le Corbusier si faceva fotografare – poi del suo tramonto e della sua trasformazione – con gli impianti di Mirafiori ma ancora col Lingotto, totalmente rifunzionalizzato da Renzo Piano in due decenni.
Una lunga parte di questa strada l’ha anche percorsa Domus, che quando di anni ne ha fatti 90, nel 2018, ha incontrato tutto il know-how e la cultura progettuale ereditata da Fiat in oltre un secolo, in occasione di quel che si può chiamare un “cold case”. In partnership con Centro Stile e divisione Heritage di quella che ormai era Fiat Chrysler Automobiles – guidata da Roberto Giolito, designer di pietre miliari come Multipla e nuova 500 – in occasione dell’esposizione Grand Basel veniva realizzato il primo modello 1:1 della Diamante, un’auto “da abitare” che Gio Ponti aveva pensato nel 1953. La proposta più grande si basava sull’Alfa Romeo 1900, ma anche una più piccola era stata proposta a Fiat. Tempi e priorità portavano però in altre direzioni, e la Diamante era rimasta su carta. Ecco come invece Giolito raccontava, sul Domus 1028 dell’ottobre 2018, la genesi “posticipata” di un modello dove tutto un entusiasmo del progettare e del fare si erano di nuovo espressi, come avevano fatto per decenni in precedenza.
Un’auto di rottura
Dai disegni e dagli appunti di Gio Ponti nasce il modello in scala reale della Diamante, realizzato tuffandosi nello spirito dell’epoca
Ponti immagina e realizza un progetto di automobile operando dal punto di vista dell’utente. Il suo studio non è un ennesimo rifacimento di fuori-serie, piuttosto l’insieme – o meglio, l’inviluppo –, di una serie di idee rivolte al miglioramento della vivibilità e usabilità di un’automobile. Il suo approccio pragmatico, mai autoreferenziale, punta a risolvere dei problemi uscendo da certe convenzioni per lui non ammissibili, per come le osserva attraverso un’analisi sul parco circolante dell’epoca.
Il forte senso di rottura che possiede la Linea Diamante è concentrato sulla sezione delle fiancate, snelle nello spessore e con vetrature meno inclinate del solito: il progettista può così immaginare una linea di cintura molto ribassata, ridimensionando la proporzione dei finestrini, da orizzontale a verticale. Viene eliminata anche la cosiddetta “spalla” sulla linea di cintura, che su molte vetture dell’epoca fuoriesce alla base dei finestrini laterali per conferire robustezza e una giusta impressione di protezione dagli urti laterali.
Così facendo, Ponti fa assumere ai tagli delle porte e delle altre parti mobili un valore grafico diverso dal solito: l’occhio insegue le divisioni tracciate sulle superfici pressoché piane dalle linee di scomposizione, come in un dipinto di Mondrian, apprezzandone le proporzioni, anziché farsi guidare dalle luci che si adagiano sui volumi, come accade sulle vetture che lui definisce “rigonfie”.
La Diamante propone un insieme coerente, organico, raccontabile, di automobile moderna, e lo fa con l’apertura e la generosità che un grande progettista ha saputo infondere nel suo concept.
Il cofano della Diamante prende una piega scoscesa per donare visibilità al posto guida. Sotto una spina dorsale in mezzeria, i due lati scendono spioventi verso la linea di terra; elemento ancora più rilevante, tutto il cofano è tagliato sulla carrozzeria da una linea perimetrale a sviluppo orizzontale, che porta con sé anche un’esigua porzione dei parafanghi, diventando così uno dei primi cofani avvolgenti della storia (almeno sulla carta), in anticipo di 20 anni rispetto alla Fiat 127 o alla Saab 99.
A livello di impostazione complessiva del progetto, ciò che risalta maggiormente sono la silhouette a due volumi molto slanciata e l’apertura “a portellone” del cofano posteriore. Ponti immagina un bagagliaio ripartito in due vani sovrapposti: quello inferiore per la ruota di scorta e altri materiali dedicati alla manutenzione, quello superiore “annesso” all’abitacolo e adibito a spazio per i bagagli o a tutto ciò che non si deve sporcare, anche se fosse “…un mantello o una pelliccia…”, come specifica.
Una carrozzeria immaginata con tali forme e scomposizioni è quindi un totale breakthrough rispetto allo standard dell’industria e, anche se un’apertura posteriore a portellone si era già intravista alla fine degli anni Trenta sulla Citroën Traction Avant speciale, si dovrà attendere la metà degli anni Sessanta perché una soluzione simile giunga sul mercato attraverso modelli di grande diffusione, con il nome di carrozzeria hatchback.
L’idea dell’auto Linea Diamante di Ponti mi ha appassionato sin dai primi momenti in cui è avvenuto l’incontro tra i curatori del progetto e il mio dipartimento, che oggi si occupa di promuovere gli aspetti culturali e legati al patrimonio storico dei brand italiani di Fca. Nell’intento di trasformare, finalmente, il progetto di Ponti in un modello di stile professionale, è stato dapprima svolto un lavoro di lettura dei disegni e delle informazioni ricavate da alcuni appunti.
Già solo da un primo sviluppo tridimensionale, partendo dalle viste ortogonali, si è presentato il problema di alcune, minime, incongruenze tra le varie tavole. Questo sembra dovuto al fatto che ogni elaborato prodotto per lo studio della Diamante sia stato un’occasione per portare avanti il progetto, almeno per alcuni aspetti di dettaglio, a iniziare dalla dimensione del lunotto posteriore, poi ristabilita più ampia, confrontando più proiezioni assieme.
In sostanza, questo è ciò che io e il progettista del Centro Stile Fca Antonio Erario abbiamo fatto nel portare in tre dimensioni lo studio di Ponti. Nelle tante scelte affrontate, ci siamo immedesimati nei cosiddetti “camici bianchi”, i fantastici modellisti dell’epoca che la sapevano talmente lunga su come si fa un’automobile e che a volte decidevano di dedicare ancora più energie del dovuto nel ben consigliare il designer su talune scelte. Abbiamo attuato un percorso di traduzione in cui ogni singolo particolare ha ricevuto le dovute attenzioni per essere realizzato secondo gli standard costruttivi dell’epoca, ivi compresi i gruppi ottici o tutto lo sviluppo perimetrale della fascia paracolpi, pensata da Ponti rivestita di gomma, seppur dotata di questi appariscenti rostri verticali sui paraurti anteriore e posteriore.
La Diamante propone un insieme coerente, organico, raccontabile, di automobile moderna, e lo fa con l’apertura e la generosità che un grande progettista ha saputo infondere nel suo concept, stabilendo delle regole aperte su cui altri specialisti in una grande azienda si sarebbero potuti cimen-tare come piattaforma integrata, ognuno per il suo argomento tecnico di competenza.
Ora, a 65 anni da quei disegni e da quei ragionamenti, abbiamo provato a vedere con più chiarezza quell’idea, con l’auspicio di poter, in seguito, approfondire il discorso anche attraverso la realizzazione degli interni dell’abitacolo: potremmo così immaginare cosa avrebbe pensato Ponti riuscendo a intravedere le sue scarpe, stando seduto comodamente al volante della Diamante, così come l’aveva disegnata.