Per raccontare la storia degli autogrill italiani servirebbe davvero la prosa svelta e irrequieta di Alberto Arbasino, quella scrittura esuberante de La Bella di Lodi, che proprio tra autostrade e stazioni di servizio vive le sue scalmanate trasgressioni. L’ascesa e la “fase eroica” degli autogrill, in fondo, durano il tempo di un amore estivo o, più prosaicamente, di un boom economico.
Le tappe fondamentali di questa avventura, realmente italiana, sono quelle della costruzione delle autostrade nazionali: nel 1955 la Legge Romita lancia un ambizioso piano decennale di sviluppo della rete; nell’ottobre del 1964 è inaugurata l’intera Autostrada del Sole, tra Milano e Napoli; dal 1973 la crisi petrolifera raffredda gli entusiasmi e ridimensiona gli investimenti.
Mario Pavesi (1909-1990), imprenditore novarese noto per aver dato il nome ai “Pavesini”, e Angelo Bianchetti (1911-1994), progettista milanese di formazione razionalista, specializzato in padiglioni fieristici e architetture pubblicitarie, sono tra i protagonisti più geniali di questa rapida epopea. A loro si deve l’invenzione dell’autogrill a ponte, forse la più iconica e amata delle “infrastrutture” italiane della seconda metà del ‘900.
Pavesi rilancia a più riprese sul successo del suo primo punto vendita autostradale, aperto nel 1947 sulla Milano-Torino, nei pressi del suo stabilimento di Novara. Alla fine degli anni ’50 commissiona a Bianchetti gli autogrill di Lainate (1958), Giovi (1959) e Varazze (1960), tre chioschi a pianta circolare contornati da monumentali esostrutture metalliche – soprattutto i primi due, perché lungo l’Autostrada dei Fiori lo spazio mancava già all’epoca.
Bianchetti rivisita una tipologia collaudata e che gli è famigliare, quella del padiglione per eventi. La adatta qui a un programma diverso, come spazio di vendita e di ristorazione, ma soprattutto al contesto decisamente atipico della strada a scorrimento veloce. La caratteristica più importante è la visibilità: dell’autogrill, che l’automobilista percepisce già in lontananza come un festoso landmark brandizzato; e dall’interno dell’autogrill, tutto vetrato per permettere di osservare non tanto il paesaggio, quanto lo spettacolo delle auto in corsa sul rettifilo adiacente. Nell’arco di due decenni, fino al 1977, Bianchetti realizza quasi 70 autogrill di questo tipo.
Il meglio, però, deve ancora venire. Nel 1959 Bianchetti e Pavesi viaggiano insieme attraverso gli Stati Uniti. Qui hanno modo di osservare da vicino i punti di ristoro della catena Howard Johnson’s e soprattutto le stazioni di servizio Oasis, progettate da Pace Associates per la Illinois State Toll Highway Commission a partire dal 1956. Le “oasi” dell’automobilista dell’Illinois, di cui la più celebre è certamente la Des Plaines Oasis Station (1956-1958, oggi demolita), sono ponti trasversali alla strada e accessibili da entrambe le carreggiate.
Il road trip americano si dimostra utilissimo proprio perché Bianchetti e Pavesi stanno costruendo contemporaneamente un edificio dello stesso tipo: il 23 dicembre 1959 il duo taglia il nastro dell’autogrill a ponte di Fiorenzuola d’Arda, il primo del suo genere in tutta Europa, emerso in pochi mesi dal tavoliere nebbioso della Pianura Padana. Malgrado un certo disaccordo tra le diverse fonti, si può affermare che l’intuizione tipologica avviene pressoché contemporaneamente sui due lati dell’oceano.
Da un lato, Bianchetti ne aveva anticipato le grandi linee morfologiche con il Palazzo delle Nazioni alla Fiera Campionaria di Milano, i cui primi disegni risalgono al 1948. Dall’altro, l’esempio statunitense si rivela prezioso per definire l’articolazione degli interni e gli equipaggiamenti tecnici di un’area di servizio che vuole essere realmente e visibilmente moderna. Come racconta Paolo Scrivano in Building Transatlantic Italy. Architectural Dialogues with Postwar America (2013) la disposizione degli arredi e il disegno delle cucine delle “oasi” americane è riproposto sostanzialmente senza variazioni.
Bianchetti costruisce 11 autogrill a ponte, tutti per Pavesi, con struttura in acciaio o in cemento armato, e tutti accomunati da un simile layout. Gli spazi di vendita sono al piano terra, mentre il ristorante panoramico è in quota, spettacolare belvedere su un paesaggio artificiale di lamiere aerodinamiche e asfalto liscissimo. Le differenze formali sono anche notevoli: a Novara (1962) l’aggetto delle solette esalta l’orizzontalità del ponte; a Feronia (1964) l’autogrill si costruisce per sovrapposizione di volumi compatti, trasparenti o opachi; a Montepulciano (1967) sorprende l’asimmetria della gigantesca trave portante in acciaio corten, che esibisce un unico punto d’appoggio, a lato della carreggiata in direzione sud. Ovunque, un elemento di continuità e riconoscibilità sono i frangisole arancioni, oggi purtroppo in gran parte sostituiti.
Negli anni ’60 si moltiplicano i successi e le imitazioni degli autogrill a ponte. Su tutte merita una menzione, per la qualità dei risultati, la serie dei mottagrill della cordata Motta-Melchiorre Bega, inaugurata a Cantagallo nel 1960 e proseguita a Limena nel 1965-67, con la collaborazione di Pier Luigi Nervi. Già all’inizio del decennio successivo, però, la nuova congiuntura economica suggerisce a Pavesi e agli altri imprenditori del settore di optare per soluzioni meno colossali e dispendiose: il sipario cala, rapido e perentorio, su una tipologia che resta l’espressione di un solo, irripetibile decennio.
In anni più recenti, il Gruppo Autogrill si è dimostrato incapace, per incompetenza o per dolo, tanto di commissionare architetture di qualità, quanto di salvaguardare il patrimonio di strutture moderne ereditato dai precedenti gestori. La recente demolizione del padiglione di Lainate è deprecabile in sé, e lo è ancora di più se si confronta la visionarietà che fu dell’edificio di Bianchetti con la mestizia dell’insignificante “autogrill-vulcano” contemporaneo, completato qualche anno fa sull’altro lato dell’autostrada. C’è da sperare che gli autogrill a ponte conoscano un destino migliore, e che le esigenze funzionali e d’“efficientamento energetico”, pur comprensibili, non diventino un alibi per ulteriori distruzioni.
Gli autogrill a ponte di Bianchetti meritano di essere conservati per almeno due ragioni, tra le tante. A confronto di molti riconosciuti capolavori del tardo razionalismo italiano, queste architetture colte ma spensierate, quasi “piratesche” e intenzionalmente nazionalpopolari, sono oggi una testimonianza più fedele del sentire dell’epoca audace più che rigorosa, frenetica più che ponderata, in cui nacquero. Inoltre, la loro potenza iconica le ha rese definitivamente indipendenti dalla funzione e dalle finalità che le generarono: l’immaginario collettivo le ha adottate e le ha ricollocate dalla sfera del commercio e del consumo a quella del viaggio e della scoperta. L’augurio è che nessuno si permetta di privare il paesaggio autostradale italiano di queste geniali astronavi abitate, “messe di traverso” sulla strada delle vacanze.