Il mare di fronte a Genova, ha detto spesso l’architetto Renzo Piano, è un mare abitato. Le navi entrano ed escono dal porto, sostano in rada e manovrano all’interno di quel sottile confine della città che è la Diga Foranea. Da oltre un secolo, più che la costa, è la diga a tracciare il vero limite sud della città.
Di recente, l’Autorità Portuale ha scelto il progetto per il suo ampliamento: uno sviluppo necessario al porto per continuare ad essere competitivo nel sistema di scali della nuova Via della Seta, dove le merci sono sempre più trasportate da mega-navi cargo. Rendere le infrastrutture adeguate alle nuove dimensioni dei cargo è la priorità per il futuro non solo dei porti, ma di tutte le vie di navigazione: ciò che di recente è successo al cargo Ever Given, nel canale di Suez, non ha fatto altro che evidenziare questa urgenza.
Nel caso di Genova, non tanto il progetto, quanto il metodo seguito per arrivare a una sintesi, è stato l’aspetto più interessante.
Il 9 gennaio scorso, dopo una prima scrematura, l’Autorità Portuale si è trovata con tre possibili scenari e, anziché valutare e decidere chiusa negli uffici e negli studi tecnici, ha tentato un esperimento a oggi unico in Italia per un cantiere di questa portata: il dibattito pubblico.
Tra gennaio e febbraio, infatti, i dettagli sono stati pubblicati su un sito internet molto chiaro rispetto a tutti i tecnicismi in campo. Poi, 67 gruppi di lavoro si sono confrontati in una serie di incontri e discussioni trasmesse in streaming – causa Covid, ma probabilmente replicabili ed efficaci anche in altri contesti – seguiti da più di 150 mila persone. Un public débat alla francese, una scelta sostenuta prima di tutto dal Presidente dell’Autorità Portuale, Paolo Emilio Signorini, che ha preferito una strada più articolata, e soggetta ad imprevisti, piuttosto che usufruire del suo ruolo di Commissario e di un decreto semplificazioni che avrebbe consentito una forte autonomia nel processo decisionale.
A coordinare e gestire il dibattito è stato chiamato Andrea Pillon, docente di Governance all’Università di Torino e socio di Avventura Urbana, società di consulenza tra le prime ad aver sperimentato in Italia gli strumenti della negoziazione per i progetti di infrastrutture pubbliche. Prevenire i conflitti tra le organizzazioni – dagli ambientalisti, ai gruppi urbani locali, alle parti sociali, ai sindacati dei servizi del porto – è una strada che, se sembra rallentare la fase di progettazione, al contrario può accelerare i tempi e snellire la fase di realizzazione dell’opera.
Sulla necessità di costruire una nuova Diga Foranea per il porto di Genova non ci sono mai stati dubbi. Da anni le difficoltà di manovra erano evidenti e la riorganizzazione degli spazi sullo specchio acqueo portuale era una priorità, anche in seguito al crollo della Torre Piloti nel 2013, colpita da una porta container durante una manovra tra le banchine.
Delle tre proposte arrivate alla fase finale del dibattito pubblico, due erano molto simili, mentre la terza prevedeva una trasformazione radicale con l’ingresso del traffico cargo da ponente, anziché da levante come avviene oggi.
Ma è stata l’analisi costi-benefici uno dei temi più approfonditi nelle discussioni, con due progetti quantificati in 1 miliardo di euro e il terzo in 1,6 miliardi di spesa.
C’è un aneddoto che racconta quanto la Diga Foranea di Genova si fosse già scontrata, 120 anni fa, con questo genere di analisi. All’epoca della costruzione della prima diga della città, infatti, pare che il banchiere Luigi Raffaele De Ferrari avesse chiesto al governo di fare l’opera perché strategica per il porto della città. Ma il governo rispedì la richiesta al mittente, e il banchiere si rivolse dalla moglie, la Duchessa di Galliera (Maria Brignole Sale De Ferrari), per ottenere un assegno con cui avviare il cantiere. “I genovesi”, ha detto il sindaco della città Marco Bucci, “si sono pagati la loro diga grazie a una visione strategica che è durata almeno 120 anni”.
La visione strategica ha spostato il focus del dibattito dai numeri alle previsioni di benefici, e sul piatto sono state messe le opportunità, lo sviluppo del mercato, la sostenibilità ambientale.
La nuova diga non è porto ma è la città che cresce, che spinge un po’ più in là i suoi confini
La nuova Diga Foranea di Genova, infatti, non è solo una striscia di cemento che raddoppierà le dimensioni del canale di ingresso al porto – dagli attuali 200 metri a 400 metri – ma creerà un nuovo avamposto di 800 metri di diametro per le manovre delle navi.
Secondo il sindaco Bucci “la nuova diga non sarà inerte: oltre a sbarrare le onde e a proteggere le navi, avrà anche ricadute economiche per la città. Parlo di energia, parlo del fatto che ci possano essere pale eoliche molto basse che non rovinino il panorama e l’ambiente, e parlo del movimento delle onde che può creare energia per la diga e per il porto”. Il sindaco ne ha già parlato con l’architetto Renzo Piano, il quale già dieci anni fa aveva lanciato l’idea di una serie pale eoliche per creare energia dalla diga.
“La nuova diga non è porto” ha chiarito Paolo Emilio Signorini “ma è la città che cresce, che spinge un po’ più in là i suoi confini.”
Oggi, scelto il progetto (l’Alternativa 3), la strada è chiara: il cantiere dovrà inaugurare nel 2022 e, senza interferire sul traffico portuale di routine, si concluderà nel 2026. Lavori in simultanea, cantieri in parallelo, come è già stato sperimentato nell’altra grande operazione di questa città, il Ponte San Giorgio.
Ma l’ampliamento del porto non è che il punto zero. Le merci, una volta arrivate a Genova, dovranno proseguire verso nord ed attraversare i corridoi europei, ed è su questo terreno che si gioca la vera sfida: nessuno ha più intenzione di mandarceli su gomma e autostrada, ma grazie ad una rete ferroviaria potenziata, veloce e moderna. Nave più treno: sarà questa la visione, il “modello Genova”, per i prossimi 120 anni di sviluppo?