L’attore britannico Idris Elba ha da poco annunciato di aver raggiunto un accordo con il governo della Sierra Leone per lo sviluppo dell’isola di Sherbro, nel golfo di Guinea, attraverso la costruzione di una smart city ecologica ed energeticamente autonoma. Insieme al suo socio e amico Siaka Stevens, nipote dell’omonimo ex presidente della Sierra Leone, Elba immagina di creare al largo della terra paterna una sorta di Hong Kong africana, che potrebbe accogliere fino a un milione di abitanti e attirare imprenditori stranieri e talenti delle diaspore. In assenza, per ora, di un budget e di un calendario di costruzione chiaro, i promotori dicono di voler inaugurare le prime istallazioni turistiche entro i prossimi 5 anni.
5 città del futuro in Africa, il continente più giovane del mondo
È dal colonialismo che in Africa si costruiscono “nuove città”. Ma la nuova ondata è spinta da economia, tecnologia e talento, asset in forte via di sviluppo nel continente più giovane del globo.
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- Luisa Nannipieri
- 30 maggio 2024
Un africano su due vive in città e la trasformazione economica, sociale e culturale è già in atto e non farà che accelerare.
Quello di Elba è solo l’ultimo di una serie di progetti di “città nuove” (formula passe-partout a cui corrispondono in realtà definizioni di volta in volta diverse) annunciati o iniziati sul continente dalla prima decade degli anni 2000 ad oggi. Alcuni, come il faraonico masterplan della futuristica Akon City in Senegal presentato dal rapper americano-senegalese Akon nel 2020, sono rimasti lettera morta. Altri sono in fase di costruzione avanzata ma hanno cambiato volto in corso d’opera o devono affrontare difficoltà impreviste, soprattutto quando si tratta di attirare nuovi abitanti (Diamniadio, Senegal). Altri ancora procedono a rilento o sono stati periodicamente sospesi, spesso per problemi legati al contesto politico ed economico, ma sembrano poter mantenere le promesse iniziali (Konza Technopolis, Kenya). Mentre alcuni progetti più recenti, ancora in fase embrionale, annunciano un possibile cambio di paradigma nel modo in cui istituzioni ed urbanisti affrontano il problema, concreto e pressante, della rapida urbanizzazione del continente (Ebrah, Costa d’Avorio).
Di fatto, in Africa si costruiscono da sempre “città nuove”: basti pensare a quelle sorte in epoca coloniale prima e nel periodo postcoloniale poi. In entrambi i casi si trattava di nuclei urbani nati per accogliere nuove funzioni amministrative e con una vocazione altamente politica e simbolica. Ma dietro al rinnovato interesse per i grandi progetti degli anni 2000 ci sono nuovi fattori e dei governi liberali che vedono nei partenariati tra pubblico e privato lo strumento giusto per creare delle città moderne in pochi anni. Come osservano i ricercatori sul tema, tra cui Sina Schlimmer, che coordina il programma Governing the Urban Transition in Africa dell’Istituto Francese per le Relazioni Internazionali, all’ambizione politica e al bisogno di riorganizzare o estendere le zone amministrative si aggiunge ormai la volontà di creare dei poli di conoscenza hi-tech (Sémé City, Benin), dove coltivare i talenti locali e attirare investitori stranieri (Silicon Zanzibar, Tanzania), promuovendo quindi contemporaneamente l’immagine del paese sulla scena internazionale.
Se nel 2023 gli investimenti nelle start up africane sono calati a 3,4 miliardi di dollari (erano 5 l’anno prima), il continente ha comunque assistito a una crescita esponenziale del settore negli ultimi anni. L’industria digitale è considerata un mezzo fondamentale per stimolare la crescita economica di una popolazione giovane e dinamica, offre risposte concrete a dei bisogni locali urgenti - dalla salute alla sovranità agroalimentare, fino all’inclusione finanziaria e all’occupazione - e rappresenta un mercato molto promettente. Sud Africa, Nigeria, Egitto e Kenya (detti i Big Four), sono entrati di diritto nella lista delle migliori start-up nation al mondo e attirano oltre il 75% degli investimenti del settore ma hanno dei competitor sempre più agguerriti, che puntano a ritagliarsi una fetta del mercato. Non stupisce quindi che lo sviluppo di hub-tecnologici e smart cities sia una priorità per molti governi. Il problema, riflette Schlimmer, è che: “Le città diventano così dei progetti intersettoriali e, volendo fare troppe cose, si rischia di non riuscire a farne nessuna”. La ricercatrice osserva come nessuno di questi centri urbani abbia visto la luce nei tempi rapidi annunciati: “Ci vuole del tempo per creare una nuova città e queste esperienze lo confermano. E, del resto, possiamo dire che una città pensata per i servizi o il terziario ma in cui non vive nessuno sia davvero una città nuova?”
L’Africa è il continente in cui la pressione demografica è la più alta al mondo. Si prevede che gli abitanti supereranno i 2,1 miliardi nel 2040 e almeno mezzo miliardo di loro vivrà in una zona urbana. Tra gli anni 90 e il 2020, i dati mostrano che sono già nati quasi 5000 nuovi poli urbani, mentre si sono sviluppate delle megalopoli tentacolari come il Cairo e Lagos (più di 20 milioni di abitanti) o Kinshasa (17). Insomma, con un africano su due che vive in città, la trasformazione economica, sociale e culturale è già in atto e non farà che accelerare. In questo contesto, rispondere alla domanda di alloggi, ai bisogni concreti degli abitanti e alle sfide legate ai cambiamenti climatici dovrebbe essere una priorità. Eppure, su questi fronti i grandi progetti annunciati e portati avanti finora hanno ottenuto dei risultati modesti e rimane ancora moltissimo da fare.
Diamniadio, Sénégal
Il progetto di Diamniadio, nuovo polo urbano a 30km dal centro di Dakar, è uno dei più emblematici degli anni 2000. Nei primi masterplan del 2007, la città è presentata come la soluzione per decongestionare la capitale del Senegal, a cui è collegata da una nuova linea ferroviaria e da un’autostrada, ma è anche un simbolo del paese emergente immaginato dal presidente Macky Sall. Si parla di creare alloggi per 300.000 abitanti con un’attenzione particolare all’eterogeneità sociale ma anche uffici, commerci, spazi verdi e poli ministeriali e industriali.
Oltre alla seconda università del paese, inaugurata a fine 2022 ancora in cantiere, la smart-city ecologica puntava ad accogliere società nazionali e internazionali in un parco tecnologico all’avanguardia. Ad oggi, però, la città, che non ha un’amministrazione locale e dipende interamente dalla Presidenza della Repubblica, non è considerata particolarmente attrattiva dalla popolazione (le difficoltà di costruzione hanno fatto schizzare i prezzi delle case, non tutte ancora collegate alla rete idrica ed energetica) e viene valorizzata come un polo ministeriale ed evenemenziale grazie al nuovo Centro di conferenze internazionale, alla Dakar Aréna, alla fiera o allo stadio Abdoulaye-Wade.
Sèmè City
Sèmè City, in Benin, è un grande eco-quartiere dedicato alla conoscenza e all’innovazione e fa parte di un programma di investimenti del governo varato nel 2016. Il progetto, pensato inizialmente per un terreno di circa 200 ettari vicino alla frontiera nigeriana, occuperà oltre 350 ettari sul comune di Ouidah, principale porto della tratta degli schiavi nella regione che il governo punta a sviluppare come località storica e turistica. La presidenza della Repubblica ha appena approvato il progetto esecutivo della prima fase, presentato dagli studi Hardel Le Bihan (mandatario), Ricardo Bofill e Cobloc, insieme ai paesaggisti di Niez Studio.
Il sito si articolerà attorno ad un immenso campus che accoglierà 30.000 studenti e ricercatori, cinque cluster di formazione e spazi di incubazione di start-up e aziende creative locali, ad esempio di design e moda. L’obiettivo annunciato è di offrire ai giovani delle nuove opportunità di lavoro, promuovendo il made in Africa ed evitando la dispersione e la fuga dei cervelli. Oltre a degli edifici accademici e residenziali ecosostenibili, realizzati in collaborazione con imprese e filiere locali, Sèmè City offrirà servizi moderni e connessi, che vanno dalla gestione ottimizzata dei rifiuti ai trasporti a basse emissioni a una gestione intelligente dell’energia.
Silicon Zanzibar
È uno degli ultimi progetti di hub hi-tech sul continente, che per il governo della Tanzania potrebbe permettere al paese di rivaleggiare con il Kenya nel settore e di differenziare l’economia di un arcipelago iperdipendente dal turismo. Il nucleo centrale di questo piano ambizioso è la smart-city ecosostenibile di Fumba Town, costruita su un terreno di 600.000m2 lungo la costa a sud di Zanzibar City.
Il progetto, promosso da Cps e dal gruppo sudafricano Bosch Holdings, comprende tre fasi di sviluppo e a termine dovrebbe ospitare 3000 unità residenziali, 180.000m2 di spazi commerciali e un grattacielo di 27 piani presentato come “il più alto edificio in legno in Africa”: il Burj Zanzibar, progettato dai tedeschi di Omt Architects come una lussuosa torre modulabile. Circa 500 abitazioni sulle 700 previste dalla prima fase sono state terminate e i promotori assicurano di averne già vendute 1000. Nonostante qualche incidente di percorso – il principale partner privato del progetto, l’azienda di e-commerce kenyana Wasoko, si è ritirata dal paese per problemi finanziari – per la Tanzania lo sviluppo della Silicon Zanzibar rimane una priorità.
Courtesy Omt Architects
Courtesy Omt Architects
Courtesy Omt Architects
Courtesy Omt Architects
Courtesy Omt Architects
Courtesy Omt Architects
Courtesy Omt Architects
Konza Technopolis
Il cantiere, iniziato nel 2013 a una settantina di chilometri a sud di Nairobi, ha accumulato numerosi ritardi ma è da poco entrato nella seconda fase di costruzione e procede verso la meta: quella di diventare il simbolo di un Kenya leader africano del digitale all’orizzonte 2030 e contribuire al 2% del Pil del paese. Progettata come una città percorribile a piedi ad uso misto e ad alta densità su un’area totale di oltre 1,5 milioni di metri quadri, Konza Technopolis sarà attraversata da degli assi viari in direzione est-ovest connessi all’autostrada per Nairobi e, parallelamente, a delle fasce costruite ad uso misto che incroceranno altre bande settorializzate.
Due residenziali, una universitaria, una dedicata a un polo scientifico e tecnologico e, infine, una banda riservata ad uffici ed attività commerciali che costeggerà l’autostrada. Un grande parco naturale, una fascia di verde urbano e diversi parchi di quartiere con orientamenti disparati completeranno il quadro. La prima fase si è conclusa con la costruzione delle infrastrutture di base nella parte centrale del masterplan, occupato da parcelle destinate principalmente ad edifici universitari e ad uso misto.
Ebrah
Questo villaggio di circa 6000 anime a una quarantina di chilometri da Abidjan, capitale economica della Costa d’Avorio da oltre 6 milioni di abitanti, è il fulcro di un progetto di pianificazione urbana immaginato dal duo di architetti più famoso del paese: Guillaume Koffi e Issa Diabaté. Presentato all’ultima Biennale di Venezia, il loro piano di sviluppo di Ebrah è l’ultima tappa di un percorso personale e professionale che li ha portati a spostare progressivamente l’attenzione dai singoli edifici al tessuto urbano nella sua globalità. Si tratta di una visione a lungo termine, con un orizzonte a 15 o 20 anni, che gli architetti diventati progettisti studiano da ormai 7 anni, dialogando costantemente con gli abitanti e le istituzioni.
Courtesy Koffi & Diabaté Architects
Courtesy Koffi & Diabaté Architects
Courtesy Koffi & Diabaté Architects
Courtesy Koffi & Diabaté Architects
Courtesy Koffi & Diabaté Architects
Courtesy Koffi & Diabaté Architects
Courtesy Koffi & Diabaté Architects
Courtesy Koffi & Diabaté Architects
Courtesy Koffi & Diabaté Architects
Courtesy Koffi & Diabaté Architects
Courtesy Koffi & Diabaté Architects
Courtesy Koffi & Diabaté Architects
Courtesy Koffi & Diabaté Architects
Courtesy Koffi & Diabaté Architects
“Il modo in cui sono concepite le città nuove oggi non risponde ai problemi di base delle popolazioni e implementa un’urbanistica che crea sacche di abitati precari”, osserva Diabaté. Con un progetto nato da un contesto esistente e basato sui principi di una città ragionata, condivisa con la governance locale, il duo propone un cambio di paradigma che consideri tutti gli strati sociali e le funzioni presenti nelle città africane nella creazione del tessuto urbano. Ad esempio valorizzando e integrando nel progetto gli aspetti socioculturali che spingono le popolazioni a scegliere di vivere nei quartieri informali (vicinanza casa-lavoro, inclusione in una comunità, ecc...) e strutturando delle risposte alternative ai bisogni nati dalla pressione urbana e demografica.
Immagine di apertura: L'eco-quartiere Sèmè City, in Benin. Courtesy Rbta