Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1087, febbraio 2024.
La capitale industriale, finanziaria e culturale del Sudafrica, dopo l’apartheid, non è forse un “territorio emergente”, ma deve necessariamente diventarlo. Johannesburg è un ampio arcipelago di enclave segregate segnato da rigide divisioni. Nella parte nord, economicamente dinamica, quartieri verdi, popolati principalmente da bianchi, come Rosebank o Sandton si contrappongono al centro storico e all’ex distretto finanziario, il Central Business District (Cbd), oggi afflitto da abbandono e problemi sociali.
A sud, una fascia di miniere d’oro dismesse forma un paesaggio che richiede riciclo e integrazione nel tessuto urbano. Ancora più a sud, i grandi insediamenti informali, concepiti per segregare la popolazione di colore, oggi presentano una sfida. Johannesburg non può più permettersi una segregazione spaziale così palese. Per ridurla, sono state varate alcune iniziative come la rivitalizzazione privata del quartiere di Maboneng. Benché accusati di favorire la gentrificazione, questi interventi portano innegabili benefici.
Progetti di ristrutturazione urbana come Jewel City di Gass, iniziative residenziali come i Drivelines Studios di Lo-Tek, le strutture per il pattinaggio e la formazione di Mwp e l’Hallmark Hotel di David Adjaye sono ulteriori integrazioni di un tessuto urbano trascurato. Accanto a Maboneng si trova l’ex Cbd, dove uffici e abitazioni oggi sono in rovina. Le strategie di ristrutturazione sono cruciali.
Johannesburg è un’incarnazione di utopia progressista e sofferenza dispotica, che lotta per riconciliarsi con la sua tormentata storia post apartheid.
A sud è essenziale che Johannesburg si riconcili con la fascia delle miniere. L’industria estrattiva ha frammentato la forma urbana della città, sfigurato il paesaggio naturale e creato barriere all’integrazione spaziale, mentre la cattiva gestione di questi paesaggi ha portato al disastro ambientale.
Ancora più a sud, sono iniziati i lavori per reintegrare gli insediamenti informali, con l’obiettivo di rendere zone come Soweto più diversificate, anche nelle destinazioni.
Tuttavia, esiste ancora una contrapposizione tra le zone ristrutturate, come Vilakazi Street – dove abitavano gli scomparsi Nelson Mandela e l’arcivescovo emerito Desmond Tutu – che ospita turisti e residenti benestanti, e le altre parti di Soweto ancora alle prese con la miseria, la disoccupazione e il crimine.
Nonostante la rivoluzione democratica del Sudafrica del 1994, oggi restano degli ostacoli che rallentano il raggiungimento dell’obiettivo di una città equa. Johannesburg è un’incarnazione di utopia progressista e sofferenza dispotica, che lotta per riconciliarsi con la sua tormentata storia post apartheid.
La sfida sta nell’integrare i frammenti urbani contrapposti, creando una metropoli inclusiva che si riconcili anche con i paesaggi dimenticati del suo passato minerario.
Foto di apertura di dougholder da Adobe Stock.