Con le sue forme ondulate di cemento, l’Aqua Tower è diventata una presenza familiare del centro di Chicago. Quello che pochi sanno, però, è che una delle sue controparti più prossime – progettata nello stesso periodo – non fa parte dello skyline urbano, ma si trova in un modesto angolo del South Side di Chicago. Qui, il Lavezzorio Community Center accoglie allegramente le famiglie residenti con un ondeggiante “muro a strati” realizzato con cemento ricevuto in dono. Il centro fornisce spazi per riunioni e servizi sociali, continuando il percorso dei miei primi progetti concepiti per le comunità dei quartieri storicamente privi d’investimenti. Progettare questi edifici nella fase iniziale della mia carriera ha contribuito a plasmare la mia convinzione che l’architettura con la A maiuscola sia per tutti, non solo per pochi privilegiati. Ha anche alimentato la fondata motivazione che un buon progetto può portare a una serie di risultati positivi per le comunità.
Quando lo studio si è visto affidare incarichi più grandi e più visibili come Aqua, io e il mio team li abbiamo sviluppati in parallelo al lavoro incentrato sulla comunità. Questo ci ha permesso di perseguire i nostri interessi e i nostri valori in molti contesti differenti. Ci ha anche consentito di stabilire legami personali che altrimenti non avremmo stretto, perché progettare per ottenere il massimo vantaggio per la comunità richiede rapporti diretti con le persone che conoscono il luogo meglio di tutti. Per noi, l’ascolto della comunità locale, insieme con l’indagine in prima persona e la ricerca, rappresentano i passi fondamentali di questo lavoro, e ci consentono d’identificare risorse, sfide e opportunità già esistenti, dalla scala urbana fino al singolo isolato.
Un buon progetto può portare a una serie di risultati positivi per le comunità.
Oggi la pandemia sta spingendo committenti pubblici e privati a cercare soluzioni ambiziose per i problemi del clima, della salute e della giustizia, aprendo l’ambiente costruito a un importante ciclo di cambiamenti. Una serie di politiche progressiste – dalle riforme municipali agli sforzi internazionali come il Green Deal – forniscono piani d’azione chiari che possono coinvolgere i progettisti di tutto il mondo.
Per il nostro settore, si tratta di opportunità senza precedenti. Eppure, sento ancora ripetere che l’architettura sta perdendo la sua autonomia – una paura che spinge gli architetti a proteggere la propria libertà artistica ponendo il linguaggio formale al di sopra di tutto. Forse un certo numero di architetti considererà sempre ogni influenza esterna come una distrazione dal progetto. Non sono d’accordo. Per affrontare problemi complessi, come il cambiamento climatico e la disuguaglianza sociale, una metodologia fon-data sull’ascolto e sulla collaborazione è quanto mai urgente. A mio avviso, coinvolgere più prospettive non indebolisce l’architettura: anzi, ne accresce l’importanza. Dobbiamo far evolvere le nostre pratiche e il nostro sistema educativo per poter reagire alle richieste della società e creare al tempo stesso un’architettura convincente. L’ autonomia pura era un privilegio del passato, che gli architetti oggi non dovrebbero più perseguire.
Nel mio studio, le due direzioni progettuali che portiamo avanti da tempo si stanno ora fondendo in una, nel tentativo di fare sempre di più a ogni scala per soddisfare i bisogni più urgenti. Che tipo di architettura – e di città e di pianeta – emergerà quando tutti i progetti saranno profondamente collegati alle comunità cui sono rivolti e loro se ne prenderanno cura? Sta a noi, tutti insieme, scoprirlo.