Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1071, settembre 2022.
Come ho cercato di argomentare nel mio libro Climax Change! How Architecture Must Transform in the Age of Ecological Emergency (Actar, 2022) la portata dei cambiamenti che le attività edilizie dovranno affrontare nei prossimi due decenni è enorme. Con l’inevitabile necessità di decarbonizzare le nostre economie, il mondo dell’architettura richiede un cambio di rotta paragonabile – se non ancora più rapido – a quello provocato un secolo fa dal Modernismo e dallo Stile Internazionale. Con la deglobalizzazione in atto, dobbiamo reinventare la logica di mercato dell’architettura del XX secolo.
Mentre il settore edilizio contribuisce per il 38 per cento alle emissioni di gas serra e il cemento da solo è responsabile dell’ecocidio in corso nella sorprendente misura dell’otto per cento, gli architetti devono rivoluzionare completamente il loro modo di operare. Per fortuna, oggi sono molti i percorsi attraverso i quali l’architettura può invertire la rotta verso una pratica più ecologica.
La svolta ambientalista dell’architettura portoghese
A fronte dell’emergenza climatica ed ambientale, anche l’architettura deve intraprendere un cambio di rotta verso pratiche più ecologiche. Da Álvaro Siza a studio OODA, i primi segni di svolta progettuale a favore della sostenibilità.
View Article details
- Pedro Gadanho
- 01 ottobre 2022
Come ho illustrato nella mia mostra “Architectures of Transition”, dedicata ai Paesi nordici, dagli edifici net-zero e net-positive all’integrazione della natura, dai progetti interspecie ai materiali alternativi più ecologici, se gli architetti vogliono avviare un cambiamento nelle loro pratiche, oggi non mancano le opzioni tra cui scegliere e con cui interagire. Una cosa è certa: dobbiamo superare il consunto mantra commerciale della sostenibilità.
Nella situazione attuale, l’architettura deve essere resiliente, adattativa e, preferibilmente, rigenerativa. Nella direzione in cui stiamo andando, anche se l’innovazione tecnologica rimane dalla nostra parte, l’architettura dovrà spesso tornare a una sensibilità pre-moderna nei confronti del luogo, dei climi locali e di risorse sempre più scarse. L’architettura è un medium ostinato e, naturalmente, la resistenza al cambiamento perdura.
Nonostante l’innalzamento delle acque, le ondate di calore e i fenomeni atmosferici estremi – ma anche le guerre per l’energia, le crisi della catena di approvvigionamento e i prezzi alle stelle dei materiali da costruzione – gli architetti continueranno a scommettere che nella loro pratica non cambierà nulla e ricorreranno a ogni tipo di scusa prima di prendere in considerazione qualsiasi mutamento. La scena architettonica portoghese fornisce buoni esempi di questo stato di cose. Un noto architetto, vincitore del Pritzker Prize, ha dichiarato che “la buona architettura è, per definizione, sostenibile”. Di conseguenza, se ti consideri un “buon architetto” non devi fare nulla per contrastare ciò che sta accadendo. Sempre lo stesso architetto, pur di avere un terreno che si adattasse al suo progetto, ha utilizzato l’intero budget per riconfigurare la geografia del sito, senza nessuna ragione ambientale evidente e causando la disperazione del committente. La metrica dei muri rurali esistenti – questa era l’argomentazione presentata – era ‘sbagliata’ rispetto alle proporzioni architettoniche che il capomastro era solito impiegare. Per me, questo episodio ha rappresentato il canto del cigno dell’acclamato rispetto dell’architettura portoghese per l’idea di luogo.
Quello che, nelle generazioni di Fernando Távora e Álvaro Siza Vieira, era un gesto di resistenza contro l’omogeneizzazione del Modernismo, cioè le caratteristiche di un sito come catalizzatore della progettazione architettonica, è caduto in preda ai capricci e agli sprechi dello stile personale. Laddove la squisita architettura di Siza era guidata dal paesaggio, dai panorami e dall’attenzione anche verso una vicina radice d’albero, i recenti ‘capolavori’ portoghesi sono diventati spesso solo un esercizio formale per ammirare il proprio ombelico. Ci sono molte cadute di questo tipo nel modo in cui alcuni architetti locali difendono lo status quo del loro studio contro la necessità di rivalutare i propri principi-guida. Una di queste è l’idea che se l’architettura è durevole, allora è automaticamente sostenibile. Questo poteva essere vero quando materiali come la pietra o il legno erano abbondanti e disponibili localmente. Non quando la pietra locale è esaurita e proviene da una cava in Cina. Né quando il cemento, ormai riconosciuto per il suo enorme contributo al danno ambientale globale, continua a essere il simbolo estetico della permanenza.
Fortunatamente, ci sono generazioni più giovani, sempre più consapevoli delle enormi sfide che devono affrontare che, pur conoscendo le migliori pratiche ereditate dalle generazioni precedenti, desiderano anche entrare a far parte di un mercato edilizio ecologicamente sano. Come sostengo in “Generation Proxima”, la mostra a cui sto lavorando per il Center for Architecture di New York, in Portogallo ci sono studi emergenti che, pur riallacciandosi alle tradizioni locali e allo spirito di un “Modernismo morbido”, stanno trovando nuovi significati per il concetto ormai logoro di sostenibilità.
Esplorando nuovi materiali ecologici, rivedendo i metodi di costruzione, utilizzando meno risorse, affrontando il tema della giustizia climatica o reintroducendo la natura come principio-guida in interventi urbani di grande impatto, le pratiche di “Generation Proxima” indicano auspicabilmente una svolta ambientalista di cui si sente il bisogno e che potrebbe rimettere sulla mappa i precedenti principi estetici ed etici dell’architettura portoghese.
Mentre le cose si muovono velocemente, uno dei pionieri del design ecologico a Porto, il collettivo di architettura e arte Skrei, che ha dieci anni di vita, si è già diviso in due diversi studi, entrambi caratterizzati da uno spirito di sperimentazione in loco che mette in discussione le moderne tradizioni costruttive. Il primo, Pedrêz, prende il nome da una gallina portoghese nota per la sua capacità di fabbricare un riparo con qualsiasi cosa trovi sul terreno. Pedrêz spesso esplora i materiali tradizionali a base di terra, ma ha anche costruito la sua prima casa di canapa, utilizzando un sostituto del cemento basato su una fibra che un tempo era ampiamente coltivata in Portogallo – e che ora sta tornando, anche se per scopi cosiddetti farmaceutici.
Il secondo, Atelier Gorvell ha recentemente iniziato a sperimentare il recupero in loco, usando una macchina che crea nuovi agglomerati a partire da materiali esistenti e che è stata impiegata per la ristrutturazione dell’appartamento di un artista americano che vive a Porto. Con il suo incrocio interdisciplinare di artigianato e architettura, Gorvell sostiene un sistema di costruzione radicale a km zero che evita la maggior parte delle emissioni prodotte di solito da un cantiere.
Esistono poi altri studi che, pur non avendo un’agenda ecologica così dichiarata, attraverso le loro strategie progettuali finiscono per dimostrare come l’“architettura sostenibile” possa discostarsi e potenzialmente oltrepassare il fattore minimo di benessere delle certificazioni LEED. Ateliermob, uno studio che esiste dal 2005, lavora con la cooperativa Trabalhar com os 99% (dal 2016). Nel loro rinnovamento del palazzo Marquês de Abrantes, al pari dei vincitori del Pritzker Lacaton & Vassal, rivelano come la mancanza di risorse possa essere una potente dichiarazione estetica e politica. Allo stesso modo, Nuno Pimenta ricorre a legname di recupero e materiali industriali riciclati per costruire strutture temporanee che, in contrapposizione a nozioni illusorie di permanenza, evocano la vicinanza dell’architettura tradizionale giapponese ai cicli naturali.
Warehouse è un collettivo di arte e architettura che si occupa di esperimenti partecipativi. Nel loro progetto Ma Bibliothèque, a Dakar, affrontano la logica della giustizia climatica e condividono le proprie conoscenze ecologiche e le competenze architettoniche con una comunità di scolari disagiati, in modo da assemblare una struttura comunitaria basata su materiali di recupero. Atelierponto, con sede nelle Azzorre, è probabilmente il più vicino alle espressioni minimaliste dell’architettura portoghese più tipica e recente.
Tuttavia, le loro preoccupazioni per la natura, la biodiversità e le risorse geologiche e botaniche locali li portano ad approcci più sensibili alle condizioni del sito, come si vede nel loro intervento effimero Inbetween, premiato con il FAD Prize.
Per non prendere in esame solo progetti di piccole dimensioni, che probabilmente non hanno la capacità di trasformarsi in soluzioni di massa, lo studio OODA di Porto ha dimostrato più volte che le risposte aziendali a clienti e programmi di dimensioni importanti possono integrare pienamente ambiziose soluzioni naturali, come prova la recente collaborazione con MVRDV per il grande intervento di rigenerazione di una vecchia raffineria di petrolio, a poche centinaia di metri dalle pionieristiche piscine di acqua di mare di Siza Vieira a Leça.
La svolta ambientalista dell’architettura è inevitabile. Speriamo che questi siano solo i primi segni positivi di un cambiamento che nasce da una tradizione architettonica molto rispettata.
Immagine in apertura: Douro Hotel , Winery. Courtesy © Fusao e OODA