Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1071, settembre 2022.
Osservare i disegni di Álvaro Siza scelti per questo numero di Domus mi riporta alla nostra collaborazione per il progetto della Villa Getty. In uno dei suoi primi viaggi a Los Angeles, esplorai con Siza l’accidentato terreno di un canyon di Malibu che dava sul pacifico, in cui J. Paul Getty voleva incuneare un surrogato di villa romana ispirata alla Villa dei Papiri di Ercolano.
Il nostro viaggio non venne pianificato, non seguivamo un preciso itinerario, eravamo in continuo movimento camminando, osservando, facendo schizzi. Il progetto per Villa Getty non fu elaborato, ma piuttosto svelato gradualmente grazie a oltre 100 schizzi e disegni commentati, che alla fine vennero presentati come portfolio per la candidatura al concorso.
Nel suo insieme, il Taccuino Getty presenta una metafora che illustra i principi dell’architettura e del metodo di lavoro di Siza. Attraverso i suoi occhi, un territorio indefinito veniva compresso, in tutta la sua imprevedibile eterogeneità, nel formato bidimensionale di un taccuino formato A4. Nelle linee e nei segni della pagina tutto era in movimento: gerarchie e distinzioni tra sopra e sotto, tra reale e immaginario, venivano ricomposte, riorganizzate e ridisegnate.
Per Villa Getty, Siza realizzò disegni che “non avevano un punto di vista” frutto di un gesto fatto di anticipazione e di memoria. Seguendo un procedimento familiare, i disegni di Malibu vennero poi montati nello studio di Porto insieme con altri strumenti e materiali: carte topografiche, aree funzionali, disegni quotati, stampe da computer, modelli di studio e collezioni museali. Per Siza, l’apparente rigidità del sistema delle coordinate euclidee e il “progetto cartaceo” tramite il quale l’architettura parla a se stessa, forniscono una struttura alla sua impostazione estetica che trascende all’infinito le categorie della soggettività e dell’oggettività.
Nel progetto di Villa Getty e nell’insieme del corpus delle sue opere, il punto di vista di Siza rifiuta la separazione platonica tra falsa apparenza e vera essenza. La sua “macchina fotografica virtuale” è un dispositivo per la conoscenza nel quale i processi di vedere, osservare e catturare immagini sono in sincrono, non sono un unico punto di vista. Questa serie diacronica fonde la fase di cattura e sovrapposizione. Questi disegni di vibrante autenticità suscitano il consenso di Derrida: “I disegnatori e i pittori, soprattutto quelli grandi, non offrono ‘qualcosa da osservare’: danno visibilità al vedere, che è insieme qualcosa d’altro, ed è assolutamente irriducibile al visibile, che resta invisibile”.