“Non ti aspetteresti che la conferenza di design più grande del mondo si svolga in Africa, ma piuttosto a Milano o Londra”, mi dice Ravi Naidoo. Siamo seduti al terzo piano del Muziekgebouw aan’t Ij, e dalla facciata di vetro del futuristico edificio disegnato da 3XN possiamo ammirare la baia dietro alla stazione centrale di Amsterdam.
Africa for Europe
L’ultima edizione di “What Design Can Do”, la conferenza olandese sull’impatto del design, si è mostrata particolarmente interessata all’Africa come teatro di sfide e stimoli.
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- Nicola Bozzi
- 04 ottobre 2016
- Amsterdam
Non lontano da noi, nella sala concerti principale, l’architetto nigeriano Kunlé Adeyemi sta presentando il proprio lavoro a una folla di designer, creativi, studenti, attivisti, curiosi. Siamo a “What Design Can Do”, la conferenza olandese sull’impatto del design, ma Naidoo si riferisce a Design Indaba, istituzione nel campo delle industrie creative non solo a Città del Capo, non solo in Africa, ma nel mondo. Portata avanti per più di vent’anni da Ravi e dalla sua Interactive Africa, la manifestazione è caratterizzata da un’energia e una spettacolarità tutta africana – molto lontana dal formato plug-and-play stile TED, ci tiene a sottolineare lui – ma è animata prima di tutto da un approccio attivista. “Una conferenza non è fine a se stessa, deve avere uno scopo. Diciamo sempre che l’evento rappresenta tre giorni di think tank, seguito da 363 giorni di do tank”.
È attorno a quest’entusiasmo fattivo che si è sviluppata la collaborazione con il festival di Amsterdam, concentrato sull’impatto sociale del design dalla propria concezione e, quest’anno, particolarmente interessato all’Africa come teatro di sfide e stimoli. Come nella tradizione dell’evento olandese, il programma – parte del quale è stato ufficialmente “powered by Design Indaba” – ha raccolto un mix tra temi umanitari e presentazioni colorate ed energetiche, che rispecchiano anche due tensioni diverse, ma entrambe importanti: da un lato l’innovazione tecnologica e architettonica per affrontare problemi specificamente africani, dall’altro l’espressione di creatività e stile cosmopolita oltre i confini del continente.
Sul primo fronte, troviamo Juliana Rotich e Christian Benimana. La prima è executive director della piattaforma open-source di data management e visualizzazione Ushahidi, oltre che cofondatrice di BRCK, dispositivo wi-fi autoalimentato per portare connettività anche dove l’energia elettrica non è disponibile. Il secondo è invece membro del MASS Design Group, già presente alla scorsa edizione di WDCD, e direttore dell’African Design Centre in apertura a Kigali. Entrambi rappresentano figure – il technologist e l’architetto – prima difficili da immaginare in un contesto africano, ma ora più che mai al centro di una rivoluzione infrastrutturale che gente come Naidoo ha iniziato a facilitare dalla fine dello scorso millennio. Gli chiedo di una delle prime campagne, Hip 2B Square, e di quanto fosse importante ai tempi incoraggiare i giovani di colore a intraprendere studi scientifici. “Volevamo ispirare la nuova generazione nera a studiare programmazione e capire la tecnologia, dopo che quel tipo di educazione era stata negata ai loro genitori durante l’apartheid”. Sia Rotich sia Benimana hanno studiato all’estero, ma Raidoo mi fa notare quanto sia importante il loro coinvolgimento nei propri Paesi natali. “Questa nuova generazione sta creando tecnologia specifica per l’Africa”, mi spiega. “Non aspettano i governi, lo fanno per se stessi. Mi entusiasmano quest’ingenuità e questo spirito d’iniziativa: tanti di loro hanno studiato all'estero, ma sono tornati. Avrebbero potuto rimanere negli Stati Uniti, ma sentono di avere una missione e pensano che il futuro sia in Africa”.
L’emergere di estetiche africane orientate al futuro, invece che a una nostalgia folkloristica tipicamente coloniale, è una tensione palpabile da qualche anno e non poteva mancare a WDCD. A rappresentare l’eccellenza creativa sono stati chiamati la stilista senegalese Selly Raby Kane – i cui capi vengono avvistati su celebrity del calibro di Beyoncé – e il musicista Ibaaku, il cui sound “afro-ipnotico sperimentale” ne ha accompagnato una visionaria sfilata in una vecchia stazione di Dakar. Altrove, nel programma – che fa particolarmente attenzione alla dimensione musicale, data la location – il pubblico ha la possibilità di apprezzare un viaggio sonoro a ritroso del marocchino-americano Officerfishdumplings, che registra e remixa musica tradizionale della propria madre patria per trasformarla in composizioni audiovisive contemporanee.
Come si sa, però, non tutto in Africa è ottimismo e creatività. Il cartoonist sudafricano Zapiro racconta, per esempio, le controversie relative alla propria attività di vignettista, dai tempi dell’apartheid fino alle denunce del presidente Jacob Zuma volte a censurare la sua copertura satirica di corruzione e scandali. Il nigeriano Michael Ewemedimo di CMAP (Collaborative Media Advocacy Platform) presente invece diversi progetti mediatici – petizioni, radio e community planning – per dare voce alle comunità informali di Port Harcourt, in Nigeria, ignorate e minacciate dallo sviluppo urbano. L’emancipazione mediatica collettiva tramite il controllo della propria rappresentazione è un tema ricorrente e all’approccio attivista di Ewemedimo vale la pena aggiungere quello documentario di Eefje Blankenvoort, che insieme ad Anouk Steketee raccoglie la testimonianza di New Dawn, una popolare radio soap rwandese che usa il potere del medium radiofonico per unificare il paese (piuttosto che dividerlo, come era stato ai tempi del genocidio).
Oltre alle presentazioni e ai workshop delle break-out sessions, il tema “What Africa Can Do for Europe” è diventato anche una pubblicazione antologica con 31 progetti (più altri 18 “bonus” come link in appendice). Vi si trovano ovviamente gli speaker elencati, più una selezione di progetti molto eterogenea – un esempio sono le bambole Queens of Africa, concepite come alternativa al pallore melaninico delle Barbie canoniche e arrivate a superarle in vendite di Nigeria, un altro è il rilevatore di temperatura Lumkani, pensato per individuare incendi nelle township sudafricane e innescare allarmi in tutta la zona tramite GPS e SMS per facilitare una risposta puntuale.
Per quanto i progetti presentati nel programma e nel libro siano molti vari, si nota come paesi più avanzati come il Sudafrica la facciano un po’ da padrone. Ma Naidoo è come al solito ottimista: “L’innovazione si sta espandendo molto. Quando mi hanno invitato la mia idea non era tanto di raccontare la mia storia, quanto di dare una prospettiva di quello che i giovani talenti africani stanno facendo, ben oltre i nostri confini nazionali”. La crescente penetrazione di Internet aiuta, ma non è l’unico fattore. “Sentiamo un senso di connessione, anche se il periodo coloniale ha lasciato barriere linguistiche. I millennial interagiranno molto di più tra loro. E noi vogliamo essere una grande piattaforma pan-africana per promuovere la creatività. Vogliamo convertire l’ispirazione in azione”.
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