Al centro d’arte Henie Onstad di Oslo una mostra in due sezioni è dedicata alle sperimentazioni teatrali del Bauhaus e all’influsso esercitato dalla scuola sulla cultura norvegese dell’epoca.
Anche se il Bauhaus ha chiuso i battenti nel 1933 le idee della scuola, a ottant’anni di distanza, mostrano il sapore dell’autenticità grazie a un solido revival. Al centro d’arte Henie Onstad di Oslo una mostra in due sezioni è dedicata alle sperimentazioni teatrali del Bauhaus e all’influsso esercitato dalla scuola sulla cultura norvegese dell’epoca.
La prima sezione della mostra – Bauhaus Scenekunst: Menneske-Rom-Maskin. (“Arte scenica al Bauhaus: Uomo-spazio-macchina”) – ripercorre la storia dell’impostazione di ricerca del Bauhaus nei confronti del teatro e delle relative discipline progettuali. Allestita in origine a Dessau dal dicembre scorso all’aprile di quest’anno, è stata trasferita a Oslo dove i curatori Milena Hoegsberg e Lars Mørch Finborud dimostrano come il palcoscenico possa essere usato come spazio espositivo dinamico, di cui il design può essere parte integrante. Presentando lavori dei pionieri del Bauhaus – che includono grafica, schizzi, attrezzi di scena, modelli d’architettura e costumi – la mostra si interroga sull’influsso della tecnologia sull’arte e sul modo in cui l’esistenza umana si fonde con la razionalità della macchina: problemi di rilievo ancora contemporaneo.
Il cosiddetto ‘spectodrama’ di Xanti Schawinsky (tra le prime ricerche di teatro totale), la ricostruzione dell’installazione luminosa di Ludwig Hirschfeld-Mark e lo spettacolo di luci e ombre di Oskar Schlemmer – tutti fondati sul motto della scuola del 1923: “Arte e tecnologia: una nuova unità” – insieme sono la testimonianza di una ricerca su un’epoca nuova, in cui la tecnologia era un modo di mettere in questione le idee acquisite, ma anche un modo di rafforzarle attraverso nuovi strumenti.
Il dipartimento teatrale del Bauhaus fu caratterizzato dalla ricerca attraverso il gioco e la forma, atteggiamento che la mostra riprende. Grandi blocchi colorati guidano il visitatore attraverso la mostra tra piccoli tocchi sorprendenti, come la fotografia di uno studente sul tetto della scuola appesa in alto sulla parete. Un’installazione parallela invita i visitatori a danzare, e i movimenti vengono proiettati su uno schermo trasformati in figure filiformi: forse in omaggio a Kandinsky e alla sua decodificazione – anch’essa esposta all’Henie Onstad – dei movimenti della danzatrice Gret Palucca.
L’esposizione mette concretamente in luce l’atteggiamento interdisciplinare del dipartimento teatrale del Bauhaus. Ci si tuffa in una ricerca sulla forma e sul colore, sugli strumenti e sulle tecniche non fondata su argomentazioni disciplinari, ma sulle proprie convinzioni. Cosa che vediamo verificarsi anche oggi. I professionisti di oggi sono in grado, come ai tempi del Bauhaus, di muoversi tra le discipline usando il proprio punto di vista sui processi e sugli scopi invece dei materiali e dello spazio. È forse una delle attrattive del Bauhaus, messa in luce in alcune grandi mostre dedicate alla scuola in anni recenti (la mostra del Barbican del 2012, per citarne una che ha assolto benissimo questo compito). La ricerca e il bisogno di nuovi strumenti e di nuove tecnologie paiono al centro dell’interesse tanto dei professionisti quanto degli appassionati di arte e di design di oggi. La mostra si propone come importante sfondo storico in una società in cui gli strumenti digitali sono disponibili “a chiunque”: sono il modo di usarli, la loro diffusione e la loro credibilità a distinguere dall’utente gli artisti, i designer e gli architetti.
L’influsso della scuola tedesca sui creativi norvegesi è già stato documentato, e la seconda sezione della mostra dell’Henie Onstad cerca di mettere in luce il rapporto tra i due paesi, con particolare attenzione alle arti, al design, all’architettura e alla pedagogia. L’ampio senso del titolo della mostra – Bauhaus på Norsk (“Il Bauhaus e i norvegesi”) è stato scelto volutamente per sottolineare come l’ideologia della scuola coincidesse con quella di alcuni movimenti modernisti e artistici dell’epoca. È stata svolta un’accurata ricerca su questi rapporti, dal diario di viaggio dello studente di Dessau Ola Mørk Sandvik al matrimonio di Marianne Brandt con il pittore norvegese Erik Brandt. Gran parte della storia del design norvegese è ancora da scoprire e da documentare, e in questo senso la mostra costituisce un importante contributo.
L’ovvio entusiasmo dei curatori è evidente ma, anziché fare della mostra un commento e un modo per concentrarsi di nuovo sulla Norvegia, le due sezioni dell’esposizione sembrano contrapporsi e integrarsi a fatica. Il senso e gli obiettivi sono molto diversi, e le due rassegne sono unite dagli oggetti e dalla cronologia più che dai concetti che intendono comunicare. Mentre Menneske-Rom-Maskin porta il segno dei professionisti che presenta, Bauhaus på Norsk appare più un archivio aperto che una mostra. Non che manchino la passione e le scoperte importanti, ma non c’è quello che la mostra sul teatro fa con tanta efficacia: liberarsi dagli ostacoli che il Bauhaus ancor oggi può porre al nostro modo di capire la forma. La mostra invece lascia che sia lo stesso godimento della scoperta artistica, vissuto in quegli anni nella scuola, a far da guida allo snodarsi di un racconto godibile, raffinato, ricco d’informazioni.
Fino al 31 agosto 2014 Bauhaus in Norwegian
Henie-Onstad Kunstsenter
Sonja Henies vei 31, Høvikodden (Oslo) Curatori: Lars Mørch Finborud, Milena Høgsberg, Thomas Flor
Assistante curatore: Malene Dam