L'architettura del mondo

Alla Triennale, la grande mostra curata da Alberto Ferlenga propone uno sguardo complessivo su infrastrutture, mobilità e nuovi paesaggi, temi che, da alcuni anni, sono tornati d'attualità secondo modalità nuove.

Un progetto ambiziosissimo, quello della mostra "L'architettura del mondo" alla Triennale di Milano, curata da Alberto Ferlenga con Marco Biraghi, Benno Albrecht, Giulio Barazzetta, Giacomo Polin e Massimo Ferrari. L'esposizione – da non perdere, se vi trovate in città – si propone infatti la sfida di dare uno sguardo complessivo a un tema che, da alcuni anni, è tornato d'attualità secondo modalità nuove, e si domanda a cosa ci riferiamo quando parliamo di infrastrutture. La mostra è, insomma, dichiaratamente un'ammissione di complessità, il che non guasta mai, soprattutto in ambiti come questo, in cui spesso – fatalmente – si tende a non riuscire a dominare quello spazio grigio che delimita il fascino ingegneristico proprio delle grandi opere da una loro, certa o presunta, muscolarità ingegneristica.

Così, il piano terra della Triennale assume le fattezze di uno spazio espositivo a sé stante, diviso in padiglioni come una fiera in miniatura, ognuno col suo tema e il suo linguaggio visivo. I curatori aprono la mostra, doverosamente, con la storia: "Una storia ancora utile", "Dal punto di vista dell'architettura" titolano, quasi all'unisono, i due saggi critici di Ferlenga e Biraghi che introducono l'esposizione.

Trovano qui il loro giusto posto tanto le figure immense dei maestri del Novecento – da Otto Wagner a Le Corbusier, da Hans Poelzig a Eliel Saarinen, passando per Sant'Elia, Bonatz, Lurçat – quanto necessari approfondimenti sull'opera non sempre notissima di alcuni autori legati a doppio filo ai propri territori.

In apertura: Giuseppe Maldera: acquedotto del Sinni, Gravina di Laterza. L’immagine mostra una delle tante infrastrutture minori che innervano il territorio italiano. Qui sopra: 3S Studio, Silvia Dagna Serena Galassi Simona Maurone architetti associati. Sistemazione e riuso come passeggiata a mare di un tratto ferroviario dismesso comprendente un tunnel e un tratto di linea, localizzato a Albisola Superiore (Savona). L’opera completata nel 2011, indica le potenzialità di progetto insite nel vastississimo campo delle infrastrutture dismesse. Photo Foto D. Voarino

Andrea Iorio, per esempio, racconta la Lubiana di Plecnik e Serena Maffioletti il Ticino di Rino Tami. Poi, con un certo salto, ci si immette nella contemporaneità. Una contemporaneità in cui la dimensione infrastrutturale è raffinata, dotata di un'estetica gentile, assolutamente architettonica. L'allestimento di Claudio Conter e Filippo Orsini è analogico, ma convincente. Grandi tavoli in cemento e tondini di acciaio che ricordano strutture reticolari ospitano descrizioni fotografiche di oggetti divisi, per così dire, per specie poetiche: c'è posto per la microscala dei ponti pedonali, per la filosofia dei percorsi lenti e dei bordi strada, ma anche per la dimensione "hard" di metropolitane, teleferiche, stazioni e porti. Quello che sarebbe stato un immancabile sguardo al riuso qui resta purtroppo, invece, solo un accenno fotografico. Un'interessante parete è affidata a 45 video report realizzati da giovani architetti e ricercatori di formazione italiana, riguardanti altrettante città del mondo rappresentate attraverso alcune dinamiche lì in corso intorno alla questione infrastrutturale.

Silvano Zorzi, viadotto sul torrente Teccio, A6 Torino-Savona. Uno degli esempi migliori di quanto l’ingegneria italiana tra gli anni ’50 e i ’70 del Novecento fosse all’avanguardia nel mondo con progettisti del livello di Zorzi, Nervi, Morandi, Musmeci, Favini

Sfruttando quindi l'estensione anulare del piano terra della Triennale, la mostra prosegue con un vasto approfondimento sulla questione italiana. Sulla lunghissima parete destra che costeggia il cammino semicircolare, si srotola la storia del Novecento delle infrastrutture italiane, raccontata attraverso il suo rapporto con l'opera degli architetti più importanti che, tra gli anni '50 e gli anni '80, affiancarono l'opera degli ingegneri civili nel nostro paese. Quindi, alla vicenda delle autostrade italiane e dei grandi progetti di Musumeci, Nervi, Quaroni e Morandi, fanno da controcanto magnifici disegni e visioni, tra gli altri, di Albini, Scarpa, Mollino, De Carlo, Dardi, Canella, Samonà, Sottsass, Purini, Rossi, Venezia, non senza la liceità di quel certo orgoglio localista che annette alla serie anche figure presenti soprattutto nella storia milanese, come Giuseppe De Finetti, Piero Portaluppi e Silvano Zorzi.

Un'interessante parete è affidata a 45 video report realizzati da giovani architetti e ricercatori di formazione italiana, riguardanti altrettante città del mondo rappresentate attraverso alcune dinamiche lì in corso intorno alla questione infrastrutturale.
L’immagine di Alvise Raimondi, selezionato tra i giovani fotografi che sono esposti in mostra, illustra uno dei casi “virtuosi” più noti in Italia, quello del Minimetro di Perugia, opera di Jean Nouvel, e parte fondamentale del sistema di trasporti leggeri su cui negli ultimi anni si è impegnata la città umbra

Sulla sinistra, dopo un piccolo focus sulle infrastrutture nel cinema italiano, il percorso si articola in una successione di padiglioni tematici dedicati a quanto è attualmente in fase di realizzazione in Italia in materia di mobilità e infrastrutture. L'orizzonte esaminato è molto ampio e comprende, con ricchezza di grandi modelli, tavole progettuali, video e fotografie, temi che variano dalla produzione energetica alle opere stradali come strumento di riqualificazione territoriale: dalle nuove linee metropolitane di Napoli e Roma alle grandi stazioni di Bologna e Napoli-Afragola, da un approfondimento sull'opera di Calatrava per il km 129 dell'autostrada A1 presso Reggio Emilia al progetto MOSE per Venezia. Un ultimo approfondimento è ancora in chiave locale, con una chiusura dedicata alla Pedemontana lombarda, agli ingressi previsti a Milano per l'Expo 2015 e a un'analisi della permeabilità percettiva dell'A4 Milano-Venezia. Tutto il cammino è sormontato da pannelli sospesi che ospitano le (molte) importanti parole chiave della mostra.

La chiusa di Rockenau lungo il Neckar (1933) di Paul Bonatz è uno degli interventi con cui l’architetto tedesco, tra gli anni ’20 e ’30, trasforma un’opera infrastrutturale di grande portata in una vasta occasione di valorizzazione paesaggistica. Photo Daniele De Lonti

Infine, con l'ennesimo stacco pindarico e percettivo, si approda all'ultima parte della mostra, che ritorna prepotentemente alla scala iperglobale, dedicandosi, con la riproduzione di video su grandi schermi, all'illustrazione delle colossali opere a difesa delle sabbie o del vento da tempo in atto in Africa, Cina, Sudamerica, e ispirate ad alcuni precedenti novecenteschi. Una piccola (troppo piccola) sezione video apre poi una minima riflessione sui flussi di dati e sui metodi di rappresentazione degli spostamenti metropolitani. Ma è un tentativo – peraltro tardivo – di includere come frontiera dell'avanguardia della discussione qualcosa che è invece già centro del dibattito da anni, e cioè sull'identità del concetto di infrastruttura al tempo delle reti dell'informazione. Questioni che non è davvero più il caso di porre per l'ennesima volta in forma di domanda, ma che avrebbero dovuto entrare prepotentemente nel discorso come affermazioni consolidate, della stessa dignità delle altre. Perché il problema della mostra è appunto questo: un evidente desiderio di esaustività di una questione potenzialmente (e anche attualmente) inesauribile, malcelato dietro a dichiarazioni di ordine opposto. La molteplicità è una ricchezza, naturalmente, e l'inclusivismo può rendere possibili chiavi di lettura intelligenti; tuttavia, la proliferazione di rizomi che costringe a continui elenchi di tematiche rischia di divenire incontrollata e di lasciare al visitatore poco più che la consapevolezza del fatto che deve esistere qualcosa che accomuna il ponte pedonale Moses di RO&AD architecten ad Halsteren, il Kilometro Rosso di Jean Nouvel a Bergamo e la Pedemontana; anche se non si sa bene cosa sia. Forse solo una parola, così generica da aver perso ogni significato.

Quattroassociati, AMSA-A2A: termovalorizzatore Silla II, Figino, Milano. Costruito nel 2001 nei pressi della tangenziale, costituisce un esempio di rapporto indovinato tra architettura e infrastruttura in ambito peri-urbano. Photo M. Carrieri

Ovviamente, la mostra cerca di conferire un minimo di taglio interpretativo a quanto espone e questo rsulta abbastanza chiaro nel denso catalogo (praticamente un saggio a se stante) a cura di Ferlenga, Biraghi e Albrecht, che attribuisce un valore ambientale delicato e complesso a tutte le opere che hanno a che vedere con la mobilità di uomini e cose e che costituiscono, appunto, "L'architettura del mondo". Ma che infrastrutture e paesaggio (nel senso più esteso possibile) siano temi profondamente intrecciati, è forse un fatto noto. Oppure non lo è per tutti e, in tal caso, avrebbe bisogno di essere comunicato in modo più mirato. Senza essere diluito in una commistione e alternanza di scale che disorienta il profano e frustra il tecnico. Tuttavia, si tratta di una mostra necessaria che, pur nei suoi limiti, è un vero piacere visitare e sarebbe un peccato lasciarsi scappare.

Mario Paolo Petrangeli, Ponte strallato sul Po, linea AV/AC Milano-Bologna