Dentro la RAI di Gio Ponti a Milano, con noi di Domus



Oltre Gio Ponti: nella Rai di Milano il design è sovrascrittura

Che forma ha un luogo dove è nata la TV? Sette decenni di oggetti e di spazi pensati, ripensati e stratificati al 27 di Corso Sempione ci raccontano come la vita di Rai sia una questione di design.

Entrando nel trovarobato Rai di Milano nel 2024, 70 anni dall’inizio della prima programmazione televisiva in Italia, posata in un angolo sulla destra, si può trovare una lampada. “Una”: una in mezzo ad uno scoppio di altre duecento, chiaramente; una riconoscibilissima Atollo di Magistretti, tronco cilindrico, attacco conico, semisfera paralume. Un manto di vernice l’ha però resa psichedelicamente fine ’60 con un pattern a toni di bordeaux, arancio e giallo.

A mo’ di madeleine proustiana, o di funghetto di Gilliam, quell'oggetto apre il complesso Rai di corso Sempione 27 come farebbe una chiave di comprensione: tutto quell’annodarsi di studi, corridoi e capannoni vive in un continuo sovrascriversi della storia, delle necessità, della funzione in fin dei conti, sulla forma; su qualsiasi forma, specialmente se predefinita o di forte identità; sulla lampada di Magistretti come sull'edificio di Gio Ponti. Ancora una volta, è una questione di design.

domus - design at Gio Ponti Rai, Milan
La forma di una lampada Atollo, e una sua reinterpretazione psichedelica nel trovarobato Rai di Corso Sempione. Foto Ramak Fazel

È una questione di stratificazione di intere epoche, ere, ed è come se fosse stata scritta fin dall'inizio: la Rai di corso Sempione viene pensata per la radio prima della guerra, e completata dopo che tutto il mondo è cambiato; nasce per la radio, ma tempo due anni e già ora di TV, che inizia la sua programmazione regolare nel gennaio del 1954 proprio da Milano, dopo qualche anno di sperimentazione a Torino.

Che linguaggio ha un edificio per la TV? il modo in cui è fatto è anche quello in cui funziona? Sarebbe stato relativamente facile rispondere con un progetto negli anni della hi-tech, con un edificio macchina, un edificio oggetto, materialmente fatto di comunicazione, coi piani che si spostano e con tutta la tecnologia in vista, come il Beaubourg di Renzo Piano e Richard Rogers.

Tutto porta vite dentro questo tempio della sovrascrittura, dove un vaso di vetro posato su Gio Ponti fa un lavoro simile a quello di una mano di vernice su Magistretti: trasfigurare la storia trasportandola dentro una narrazione.

Ma gli anni hi-tech erano ancora di là da venire, e la TV parlava ancora il solo linguaggio delle sue torri, come quella che nasce proprio in Sempione, affiancando Torre Branca sempre di Ponti (anche Parigi, diciamolo, non parlerà sempre il linguaggio Beaubourg: la Maison de la Radio di Henry Bernard è un monolite circolare astratto ed è del 1963).  Nel progetto di Ponti, l'innovazione tecnologica è gestita dall'architettura, dall’edificio, e non dagli oggetti: dentro il sobrio monumento di pietra, è la distribuzione – geniale – di solidi muri a dettare le regole, più vicina al Gaudí della Pedrera che non ad un tecnoalieno alla Haus-Rucker, con il nucleo centrale che attorno ad una sola cabina di regia a pianta poligonale fa orbitare come spicchi diversi studi e auditorium.

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Il soffitto cassettonato dell’auditorium centrale, e le attrezzature portate dall’ingresso dei telegiornali nel suo spazio. Foto Ramak Fazel

È proprio nell'auditorium centrale che la sovrascrittura si fa chiarissima come linguaggio della vita di questo luogo: sul pattern originario delle pareti coi “tutini” – i semicilindri in gesso messi a punto dall'ingegner Tutino per il controllo del suono nello spazio – e dei soffitti cassettonati con le loro lampade troncoconiche, è il pattern degli anni 2000 a posarsi, quello delle americane portaimpianti che incapsulano lo studio del telegiornale regionale, assieme ad un nuovo strato di ledwall, affiancato dalla postazione del Tg3 dirimpettaia, dove un tavolino di Eileen Gray fa capolino da dietro il banco che per il pubblico nazionale sarà il corrispettivo visivo delle notizie.

C’è però uno di quegli spicchi appena nominati, che più di altri racconta cos’è “il design secondo Rai”, quello che Rai produce e non quello che introietta: è una cappella, allestita e realizzata dalle maestranze d’azienda. Rai ha prodotto e produce design come scenografia, ha prodotto intere idee di luoghi, come questa chiesetta italiana, posizionata nel cuore del palazzo, con pilastrini e drappi di velluto (e un presepio a scomparsa) atemporale nelle sue note barocche. Per chi le ha prodotte? A quale destinatario è indirizzato questo design? Fin dall'inizio, in realtà, alle orecchie. Quelle di chi ascoltava i radiodrammi; verrebbe da pensare ai mondi radiofonici psico-mélo che Mario Vargas Llosa faceva comporre al suo Pedro Camacho, ma qui stiamo parlando di mondi che passando per le orecchie di un intero Paese ne hanno per pochi ma essenziali anni cementato le fondamenta culturali: e allora si spiegano la scala interna allo storico studio, metà in pietra e metà in legno per produrre il suono di ambienti diversi, ma anche la macchina dei rumori, una scatola portatile fatta di finestre, sportelli e tapparelle da azionare per rendere quei luoghi aurali ancora più veri. Solo dopo, sono arrivati anche gli occhi, e con le loro esigenze anche diversi fabbricati aggiunti a quello originario. Produrre per gli occhi, si sa, occupa spazio. 

domus - design at Gio Ponti Rai, Milan
l laboratori di scenografia Rai in Corso Sempione. Foto Ramak Fazel
Rai ha prodotto e produce design come scenografia, ha prodotto intere idee di luoghi.

Lo spazio dei grandi laboratori di scenografia, dove per decenni pittori e artigiani hanno prodotto i fondali e le texture materiche, la scena di Miss Italia come l’effetto corten di una trasmissione attuale, per gli studi di Sempione come per i centri di produzione milanesi di Fiera e via Mecenate,  e per gli esterni come Salsomaggiore. La falegnameria è un ancor più voluminoso reparto di engineering di questi paesaggi, come lo è il reparto dei costumi con le sue distese di etichette e bauli – sì, bauli – dove diventa uno sport identificare a quale puntata di quale titolo corrisponda quella giacca gessata in lurex – perché no: l'ordine non è totalmente cronologico.

Assieme agli oggetti, gli spazi sono un archivio di storia Rai nei segni che restano – insegne della Fonit Cetra, l'etichetta discografica da sempre legata alla radio tv di Stato –  come anche un archivio di storia dell'architettura, nelle sedie Selene – ancora Magistretti – che spuntano nei luoghi più impensati, ma soprattutto in epifanie inattese come i muri della falegnameria rivestiti in silipol, marchio di fabbrica del Franco Albini del métro milanese, in pieno territorio di un Gio Ponti che in quest’occasione si dimostra singolarmente parco nell’uso di piastrelle. 

Al 27 di corso Sempione quindi bisogna accettare la presenza di un mondo nel mondo, accettare un paesaggio materialmente composto dagli oggetti che si sono moltiplicati dentro e attorno alla grande scatola di pietra; solo dentro la massa quasi solida di questo paesaggio si schiudono, come radure, come scene, i diversi ambienti: studi, regìe, studi trasformati come quello dove si rimasterizza tutta l’opera lirica che Rai cura, e una mensa sotterranea dalle evocazioni subacquee, nei toni azzurri, bianchi e blu delle sue piastrelle illuminate dai lucernai.

E poi chiaro, in chiusura di tutto questo esplorare c’è quell’unica parte del paesaggio che, in termini di design, sia stata davvero concepita con intenzioni formali, cioè il blocco della direzione, quello delle foto mitologiche, quello che si visita durante Open House. Le pietre dell’ingresso: grigie nell’accesso comune, impegnate a convivere coi varchi di controllo a raggi x, policrome nell’accesso d’onore, oggi interrotto dall’installazione di un bancomat ma, si dice, ripensato per diventare museo dei costumi. Il mancorrente della famosa scala, la lamina di legno che curva nei parapetti piastrellati interrompendoli e scavandoli. Gli uffici coi loro arredi dalla sontuosità morigerata e funzionale, echi di tardo Novecentismo nelle boiseries monolitiche – razionalismo italiano che dava forma a qualsiasi oggetto come se dovesse essere realizzato in pietra – nelle plafoniere a tubi, sposati a dettagli curvi che sanno già di dopoguerra, senza voler scomodare il Neoliberty. 

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Il corrimano continuo nella scala principale: un gesto di design del quotidiano in Rai firmato Gio Ponti. Foto Ramak Fazel

In questi spazi dove nulla era stato lasciato al caso, tutto è identificato – grucce marcate Rai sono state appese agli attaccapanni – e tutto, come nel resto del complesso, è in realtà sovrascritto: l’avanzare degli anni ha fatto cambiare telefoni e incolonnare, decennio dopo decennio, nuovi blocchi di pulsanti e interfono (espressione novecentesca per eccellenza); e, escludendo il silipol premiato nel 1964 con la metropolitana, sembra di poter riconoscere dentro questi uffici anche il primo Compasso d’Oro integrato nell’edificio, le placchette fine ’80 di interruttori e prese, vincitrici nel 1989.

Immobili orologi conservati mentre l’ora arriva da altre fonti, mobilissimi soprammobili dalla permanenza non assicurata, tutto porta vite dentro questo tempio della sovrascrittura, dove un vaso di vetro posato su Gio Ponti fa un lavoro simile a quello di una mano di vernice su Magistretti: trasfigurare la storia trasportandola dentro una narrazione.

Ramak Fazel: Nato in Iran nel 1965 e cresciuto a Fort Wayne, Indiana, Ramak Fazel ha sviluppato una ricerca autoriale dove le questioni legate ad una dimensione esistenziale sospesa tra appartenenza geografica, politica e culturale trovano espressione in una produzione poliedrica e multiforme. Dopo la laurea in ingegneria presso la Purdue University (1988), Fazel intraprende un fertile percorso nel mondo della fotografia e della grafica, prima con gli studi a New York e la collaborazione con fotografi americani come Mark Seliger e Bruce Davidson, e poi, nel 1994, con il trasferimento a Milano. Qui, per oltre quattordici anni collabora con riviste di design e architettura (tra cui Abitare, Casa Brutus e Domus), con numerose aziende europee quali Flos, Vitra e Desalto, e con il mondo accademico, tenendo lezioni e seminari presso università e accademie europee e americane, tra cui la SUPSI (Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana, CH), la Design Academy di Eindhoven (NE) ed il San Francisco Art Institute. Attualmente vive tra New York, Los Angeles e Milano. Il suo lavoro è stato esposto, tra gli altri, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino, allo Storefront for Art and Architecture, New York, alla XIV Biennale di Architettura di Venezia ed alla Chicago Architecture Biennial.

Direttore Responsabile:
Enrico Motta
Ufficio Stampa:
Carlo Casoli
Responsabile Eventi ed Allestimento scenico:
Lorena Sardi
Hanno collaborato per la segreteria di Direzione:
Antonella Guida
per la Radiofonia:
Fabio Breschi
per la sicurezza:
Salvatore Saccardi
per la visita e la storia del Palazzo:
Gianfranco Arman
per la scenografia:
Luisa Gabriele
per i costumi:
Alessandro Cantone
per gli studi:
Stefano Bettinaldi, Nadia Ripamonti
per la post produzione:
Francesco Baggetta, Gabriele Fanchini
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