Nuovi luoghi per il lavoro culturale, tra condivisione e ibridazione

Dopo i lunghi mesi passati a lavorare nelle mura domestiche, le nuove realtà creative indagano le nuove potenzialità degli uffici, preferendo ai vecchi modelli statici dei luoghi più flessibili e contaminati dalle altre discipline. A Milano, Superattico e DOPO? ne sono un esempio.

Come un po’ tutti gli ambiti lavorativi, il ritmo operativo degli studi di architettura e design è stato forzatamente cambiato, se non addirittura fermato, nei lunghi periodi di quarantena trascorsi a intermittenza dall’inizio della crisi sanitaria. Ma questo stop obbligato di un intero settore, chiuso senza avvertimenti nelle mura domestiche, è stata anche l’occasione per riflettere sulle nuove modalità di lavoro e le nuove potenzialità della spazialità fisica. A Milano i giovani collettivi di architettura hanno preso la palla al balzo, decidendo si sfruttare questo momento di incertezza.

Il designer Luigi Savio – a capo della creative agency ab(Normal) – insieme ai colleghi Margherita Marri, Jacopo Rosa (Captcha), Martina Corbella (Pale Blue Dot) e Filippo Oppimitti, ha aperto in piena pandemia Superattico, uno spazio ibrido in pieno centro milanese, ora nuova sede lavorativa dei collettivi ma non solo. “Questo spazio l’abbiamo preso subito dopo il primo lockdown per una banale questione di necessità” racconta Savio. “In quel periodo lavoravamo tutti nelle rispettive case, o in condivisione o in un monolocale di pochi metri quadrati in cui non avevamo neanche la possibilità di uno spazio dove fare chiamate. Ci siamo resi conto che era necessario prendere un posto dove lavorare, anche solo come pretesto per uscire fuori di casa durante i periodi di isolamento. Abbiamo trovato questo spazio un po’ per fortuna, un po’ per il calo dei costi d’affitto, in una zona circondata da una serie realtà professionali a noi vicine”. 

(ab)Normal, Captcha e Pale Blue Dot, Superattico, Milano, via Eustachi 40. Foto Piercarlo Quecchia

In via Eustachi 40, Superattico si nota subito dalla presenza accattivante su fronte strada: un piccolo locale con spazio funzionale soppalcato sul fondo, e un ingombrante tavolo-scultura scomponibile in tre per ospitare le tre realtà indipendenti. “L’idea era nata dalla semplice volontà di affittare un ufficio, ma l’occasione di avere una vetrina su strada era troppo ghiotta per non sfruttuarla, abbiamo quindi subito tirato su un possibile calendario che ruota intorno all’architettura e al design speculativo” continua il dialogo Margherita Marri. “Fin dall’inizio c’era questa tensione di tenere insieme più cose. Volevamo sostanzialmente tenere insieme tre livelli: un luogo dove potersi appoggiare e lavorare quotidianamente, uno spazio mostra, e la libreria. Ovviamente per lo spazio piccolo a disposizione non potevamo pensare a un sistema espositivo complesso, ma più a programma che lavora su pratiche emergenti, le quali hanno grazie a questo luogo la possibilità di esporre per la propria volta i propri lavori e connettersi con il mondo della galleria contemporanea grazie al fronte strada. È una piattaforma fisica dove noi gestiamo solo l’infrastruttura”.

“Il terzo elemento è la library. Chi viene a esporre da noi ha la possibilità di fornirci la bibliografia che costituisce la cornice concettuale del proprio lavoro, la quale viene poi acquisita all’interno della library. Per cui a una persona che visita la mostra e non ha soldi per comprarsi i libri, offriamo la possibilità immediata di studiartelo e approfondirlo”. Lo spazio ha già ospitato dalla sua inaugurazione Sacrifice, una mostra di Adjustments Agency che esplora le basi rituali delle cerimonie di inaugurazione dell'architettura e la loro traduzione nel mondo della finanza aziendale, e Echos, mostra fotografica a cura di Carolina Sartori.

(ab)Normal, Captcha e Pale Blue Dot, Superattico, Milano, via Eustachi 40. Foto Piercarlo Quecchia

Nell’intimo spazio, insieme al programma espositivo saranno anche previsti una serie di talk e incontri pubblici, ma ad una scala completamente diversa da quella delle grandi istituzioni culturali. “Qui ci si ritrova in dodici e si chiacchiera, ci ritroviamo più nell’incontro informale tra amici che nell’istituzionalità dei grandi incubatori. Questo rapporto molto ravvicinato con le persone cancella il limite della soglia. Molto spesso le persone passano, si incuriosiscono e ci chiedono cosa facciamo, ritrattando quello scollamento enorme che c’è tra chi ha bisogno di un professionista delle esigenze architettoniche e questa casta di intellettuali o spacial practicer che si occupano di approfondimento”.

Lontani dal centro città, ma non da questa nuova tendenza, troviamo lo spazio DOPO?, di cui è prevista l’inaugurazione ufficiale il 12 marzo. Iniziativa di Bianca Felicori, Carlotta Franco, Salvatore Peluso, Fosbury Architecture, Parasite 2.0 e Plasticity – realtà che hanno strettamente collaborato con Luigi Savio e Margherita Marri durante il workshop estivo The Possibility of an Island, ora alla sua seconda edizione.

  

Radicalmente diversi dalla dimensione domestica di Superattico, l’architettura di DOPO? è ricavata da un’ex officina situata tra la stazione metropolitana di Corvetto e quella di Porto di Mare. “Dopo? è una domanda le cui risposte possono essere molteplici, o non esistere. Il concept, ispirato alle organizzazioni di categoria che svolgevano attività ricreative alla fine della giornata lavorativa, è nato dalla volontà di indagare le tematiche del lavoro nel contemporaneo” recitano nel loro manifesto: uno spazio polifunzionale che ospita al suo interno, durante gli orari lavorativi, professionisti di ogni settore: designer, scenografi, architetti, ricercatori.

Si tratta di un luogo di lavoro ma anche di incontro, con laboratori, studi indipendenti e scrivanie in spazio condivisi con professionisti provenienti da diversi settori. Il modello di lavoro collaborativo pensato – che si inserisce come una novità nel già saturo mercato di co-working space – vuole essere un polo d’attrazione per la città, in grado di generare nuovi e continui flussi di utenza e far conoscere ad un pubblico più ampio la realtà di quartiere.

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