Martì Guixè è senza dubbio una delle figure più interessanti della scena internazionale del design, questo soprattutto per la sua capacità di calare la progettazione in nuovi contesti e scenari. Lo spiega lui stesso, quando racconta il suo percorso e la sua attitudine progettuale: “Dall'inizio della mia carriera, ho sviluppato progetti che non sono molto specialistici”. Questo lo porta a definirsi “un designer generalista”. E aggiunge: “Penso che questa caratteristica del mio percorso progettuale sia legata al fatto che la base dei miei progetti è teorica e quindi la teoria può essere declinata attraverso qualsiasi risultato formale, o tipologia”. Quando si tratta di ispirazione, continua, a muoverlo è più “un libro che solleva problemi sulla contemporaneità” che “una rivista con foto di mobili e oggetti”, come la definisce lui. “Ecco perché in molti casi il risultato, anche se è un oggetto o un interno, la sua forma, le finiture e i materiali non sono rilevanti, ma ciò che conta è cosa significa e cosa rappresenta". Lo abbiamo incontrato in occasione della master class dedicata alla cartografia nell'epoca di Google Maps, da lui condotta e organizzata da Palomarlabs, che è stata l'occasione per questa chiacchierata.
“Il digitale è come un vaso e i fiori sono empatia”. Intervista con Martì Guixè
Dalla cartografia al cibo, passando per il nonno di Bruce Sterling, il designer condivide lampi della sua Weltanschauung, e spiega come mai artigianato e progetto sono due cose diverse – e perché tali dovrebbero restare.
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- Marco Petroni
- 22 giugno 2021
Quello della cartografia è un mondo analogico. Pensi che le nuove generazioni possano far convivere e dialogare l'universo analogico con quello digitale?
La mostra che ho curato alla Galleria Nazionale di Roma nel 2019 dal titolo “On Flower Power, The Role of the Vase in Arts, Crafts and Design” è proprio su questo. Il vaso di fiori è il modello di questo dialogo, è un esempio perfetto. Il vaso è la costruzione che rappresenta il digitale, costruito, pensato e fabbricato e i fiori sono empatia. Sono il reale, il naturale, l'effimero e il fragile. Il tutto può essere equilibrato o sbilanciato, ma alla fine rappresenta il mondo che ci sta di fronte, nel quale siamo immersi e viviamo.
Si tratta sempre di accordare mano e mente, immaginario e traduzione concreta in un progetto. Quali potenzialità vedi in questa continua relazione tra fare e pensare, tra progetto e mondo?
Credo che il design appartenga più alla mente, all'immaginario, è speculazione. Il progetto di design è questo mentre l'artigianato è più concentrato sul fare, il prodotto finale è fatto di tecniche e conoscenza dei materiali. Personalmente credo nella loro separazione, non penso che chi lavora con le proprie mani possa essere un designer che elabora visioni, e chi propone visioni tante volte non sarà in grado di realizzarle, anche se queste visioni possono avere la loro influenza. Penso che questa attitudine possa cambiare la routine quotidiana o la percezione della realtà. È questo l'obiettivo.
Bruce Sterling disse che la persona più verde del pianeta era suo nonno perché era morto, sepolto e stava diventando compost.
Nei tuoi progetti hai sempre posto l'attenzione sulla dimensione etica ponendo questioni critiche rispetto alle stampanti 3D, alla gastronomia e all'agricoltura.
Le stampanti 3D hanno un certo valore se sono capaci di dare forma a una democratizzazione della fabbricazione degli oggetti, al fatto che questi oggetti non sono fatti a mano, ma progettati, disegnati digitalmente e realizzati con una macchina. Ma questo scenario è ancora molto primitivo. Esistono tecnologie di stampa 3D che non sono molto democratiche, sono troppo costose. Con la gastronomia sono ancora molto critico, nel mondo gastronomico non è ancora arrivato il pensiero del movimento moderno, e nel design lo abbiamo già superato anni fa. Non so cosa pensare, in gastronomia c'è ancora tutto da fare. L'agricoltura in teoria potrebbe essere un paradiso, c'è più consapevolezza dell'ecologia e della sostenibilità, ma ci sono anche molte trappole e trucchi. Qui cito Bruce Sterling, che alla conferenza Doors of Perception nel 2000 disse che la persona più verde del pianeta era suo nonno perché era morto, sepolto e stava diventando compost.
Per te il cibo è un fattore d'innovazione progettuale, profondamente antropologica. Puoi chiarire questa tua idea e visione?
Alla fine, tutto il mio lavoro sul cibo riguarda il design e mette il progetto di design in attrito con l'artigianato. Non so cucinare, né mi interessa imparare. L'idea è di percepire il cibo come un oggetto: se è così allora posso disegnarlo con un progetto di design; ergonomia, usabilità, mercato, sistemi di produzione, manutenzione, confezionamento, trasporto, materiali, narrazioni, storytelling, politica... tutta la complessità del progetto può essere legata all'oggetto cibo. Eppure non esiste un progetto di design realizzato in gastronomia, è solo cucina creativa, ricreativa o acrobatica, ma senza significato, solo per compiacere i sensi. Parlo in generale, come concetto, ci sono ovviamente delle eccezioni.
Hai sempre affermato che il progetto è un atto del pensare non del fare. Come si concretizza nella tua ricerca?
C'è un momento in cui il concetto è così importante che il dettaglio è irrilevante, penso che questo sia fondamentale in questo nuovo secolo, perché sarà molto difficile controllare i dettagli, poiché entriamo in un periodo di disordine e quindi l'idea di volere definire, controllare e raggiungere un risultato estetico è obsoleto. Con il Solar Kitchen Restaurant di Helsinki nel 2011, insieme ad Antto Melasniemi, arriva un momento in cui Antto afferma che il concetto di ristorante è così potente che non importa come sia il cibo.