Un appartamento vuoto da visitare. Una forma di rappresentazione architettonica densa di significati e suggestioni, che spingono a riflettere sul nostro tempo. Il padiglione “Svizzera 240: House Tour”, vincitore del Leone d’Oro all’ultima Biennale di Venezia, è stato definito da Oliver Wainwright del The Guardian come “un posto dove un agente immobiliare potrebbe andare incontro alla morte, intrappolato in un purgatorio infinito di enormi cucine, minuscole camere da letto e corridoi che non portano da nessuna parte”. Abbiamo chiesto ai curatori Alessandro Bosshard, Li Tavor, Matthew van der Ploeg e Ani Vihervaara, architetti del Politecnico federale di Zurigo, di raccontarci il loro progetto.
“Il Leone d’Oro? Il nostro nuovo cucciolo”
Intervista a Alessandro Bosshard, Li Tavor, Matthew van der Ploeg e Ani Vihervaara, i curatori di “Svizzera 240: House Tour”, vincitori della Biennale di Architettura a Venezia.
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- Annalisa Rosso
- 15 giugno 2018
- Venezia
Per la prima volta i curatori del padiglione della Svizzera sono stati scelti attraverso un concorso pubblico. Che cosa pensate di questa formula?
Il metodo del concorso apre le porte alla nuova generazione di architetti che vivono e lavorano in Svizzera. Sarebbe una bella cosa, per loro come per molti dei nostri amici, studenti e colleghi, continuare a offrire prospettive e proposte alternative che sono necessarie all’evoluzione del discorso dell’architettura.
È interessante anche perché per molti aspetti è un’impresa piena di rischi. Affidarsi a un nome noto è sempre una scelta sicura, ma a quanto pare questa giuria amava in qualche modo le scommesse, e ha riconosciuto il potenziale insito in una scommessa fatta con qualche rischio in più.
Quale obiettivo vi proponevate quando avete deciso di partecipare al concorso? Pensate di averlo raggiunto?
Il nostro scopo era stimolare il ragionamento e far riflettere sull’aspetto del guscio interno dell’appartamento: l’architettura che è letteralmente più prossima a tutti noi, ma forse la meno compresa e analizzata. È un “punto cieco” dell’architettura che spesso rimane nascosto dietro la discussione sulla pianta o sulle questioni dell’arredamento. Avevamo la speranza di affrontare uno dei più refrattari e consueti ambienti architettonici e iniziare a staccarlo da associazioni inveterate che ne fanno uno sfondo neutrale, silenzioso, poco appariscente.
In tutta la Svizzera un ampio ventaglio di architetti ha già iniziato, con il suo lavoro, a mettere alla prova le potenzialità e i limiti di questo involucro, e perciò ci interessava ampliare questa direzione d’indagine attraverso un’ìnstallazione e un catalogo (“House Tour: Views of the Unfurnished Interior”, Park Books). Sotto questo aspetto abbiamo considerato il progetto più come la proposta di una domanda al pubblico che come la formulazione di una risposta. Perciò cerchiamo di innescare una discussione aperta, ma constatiamo che ha già raggiunto il successo nella misura in cui ha iniziato a suscitare una serie di reazioni critiche.
Qual è la reazione più positiva che avete ottenuto?
A tutt’oggi una delle cose più belle è stata che il padiglione ha fatto da eco a pubblici differenti: bambini, professori, gente genericamente famosa in altre discipline del progetto… La nostra intenzione era far pensare e riflettere, permettendo ai visitatori di essere attivamente partecipi nel coinvolgimento con l’installazione, non solo recettori passivi di un messaggio ben preconfezionato. Insomma, ottenere reazioni tanto gioiose quanto critiche da parte di gruppi disparati finora è stata una cosa molto positiva.
Quanto conta oggi la rappresentazione?
Ciò che definiamo “rappresentazione dell’architettura” comprende i linguaggi con cui gli architetti comunicano: piante, sezioni, modelli, rendering, diagrammi e anche fotografie di appartamenti vuoti. Quel che conta nella maggior parte delle rappresentazioni è che spesso contengono un alto tasso di artificio: non ritraggono la realtà alla perfezione. C’è spazio per l’errore, per l’ambiguità e per l’equivoco che, a loro volta, possono essere messi a profitto come strumenti di progetto e di critica. In contrasto con un ambiente costruito che è sempre più rigido e predeterminato, ci dedichiamo all’architettura come a una prassi concettuale che cerca letteralmente di disegnare l’esito sbagliato. Il valore dell’architettura sta nella sua capacità di fondere le idiosincrasie della “rappresentazione” con la “realtà” e, così facendo, introduce nel mondo intoppi e inefficienze che contribuiscono a svelare potenzialità latenti e a favorire la riflessione su ciò che di solito viene trascurato e ignorato.
Perciò la configurazione di “Svizzera 240: House Tour” è definita molto più da immagini di appartamenti che non da case reali. Le foto si vantano di mostrare la realtà ad altissima risoluzione, ma tutti sanno che una fotografia può essere decisamente fuorviante. Nel padiglione l’incapacità della fotografia di comunicare la scala, la dimensione, la profondità e la prossimità spaziale viene mostrata in forma costruita. Non abbiamo costruito veri prototipi di appartamenti in scala 1:1, presentando invece specificamente la materia prima dell’appartamento in quanto rappresentazione fittizia: come un’architettura non ancora compiutamente fissata e determinata, anzi, ancora virtuale e aperta alla trattativa.
Che cos’è l’“house tourist”, il turista domestico?
In generale la formula “turista domestico” si riferisce a tutti noi che affittiamo degli appartamenti e ci ritroviamo poi sempre a percorrere i territori di Internet o della città alla ricerca di un altro appartamento. Ma più in particolare si riferisce a un genere di sensibilità architettonica che ci pare produttiva. Il personaggio del “turista” l’abbiamo preso in prestito dai nostri capi e docenti Alex Lehnerer e Philip Ursprung, che hanno inventato e diffuso da alcuni anni il termine per i viaggi delle seminarwoche, i seminari settimanali dell’ETH. Il turista osserva da vicino contesti nuovi o ignoti ma porta con sé anche un produttivo tasso di ingenuità, di curiosità (e di frustrazione) che è indispensabile alla reinterpretazione e alla riscoperta di qualunque ambiente dato. Se l’architettura è il modo in cui si fanno le cose invece del che cosa si fa, si vede che la sensibilità dell’architetto è più vicina a quella del turista che non a quella di similitudini più sofisticate.
Avete vinto il Leone d’Oro per la miglior Partecipazione Nazionale “per una installazione architettonica piacevole e coinvolgente, ma che al contempo affronta le questioni chiave della scala costruttiva nello spazio domestico”. Che cosa significa per voi?
Non ce ne rendiamo ancora ben conto del tutto, ma per ora significa che abbiamo un nuovo animale domestico di cui dobbiamo imparare ad aver cura!
- Svizzera 240: House Tour
- Svizzera
- Alessandro Bosshard, Li Tavor, Matthew van der Ploeg e Ani Vihervaara
- Giardini della Biennale di Venezia
- 26 maggio – 25 novembre 2018
- Sestiere Castello, Venezia