Di Jacques Herzog e Pierre de Meuron (entrambi nati a Basilea nel 1950) si conosce quasi tutto. Tra le firme più riconosciute nella semiosfera dell'architettura globale, lo studio Herzog & de Meuron fondato a Basilea nel 1978 non solo è autore di alcuni tra i ‘superluoghi’ più iconici degli ultimi decenni, a ogni latitudine – dalla Tate Modern di Londra (2000) allo Stadio Nazionale di Pechino per le Olimpiadi del 2008 fino al recente Tai Kwun Center for Heritage & Arts a Hong Kong (2018) – ma è soprattutto interprete di una significativa ‘piega’ (nel senso deleuziano del termine) dei linguaggi espressivi dell'architettura, alla ricerca di codici primari che precedono e quindi rinnovano quelli delle forma depositati dalla matrice moderna ereditata dalla loro generazione. Così come i protagonisti dell'arte povera concepivano il mondo come una collezione di frammenti coerenti, altrettanto è possibile individuare eterogeneità e coerenza nel lavoro poliedrico di Herzog & de Meuron, tanto si tratti di una piccola casa ligure in pietra a spacco e cemento (casa a Tavole, 1982-1988) quanto nella scheggia neo-medioevale che ridisegna una lunga fascia urbana di Milano (sede Feltrinelli Porta Volta, 2013-2016). Lavorando ai comandi di un microscopio, lo studio svizzero cattura e rielabora in vitro gli elementi salienti dei luoghi, dei paesaggi e degli usi ai quali l'architettura viene destinata, per poi agire sui codici genetici ed enfatizzarne i caratteri, alla ricerca di nuove pratiche di spiazzamento che finiscono per essere sempre più famigliari che perturbanti, forse perché sempre più vicine alla tettonica dei corpi che all'evanescenza delle speculazioni pure.