Jean Nouvel (Fumel, Francia, 1945) è spesso associato a concetti di smaterializzazione ed evanescenza. Si pensi alla sua Tour Sans Fins, il progetto di un grattacielo per La Défense a Parigi (1989-1992) pensato per scomparire verso il cielo ma poi mai realmente apparso – cancellato in corso d’opera –, se non come visione di riferimento per innumerevoli fantasie architettoniche minori. Del resto, Nouvel è l'architetto che più cela le soluzioni costruttive e le innovazioni tecnologiche delle proprie idee, lasciando che la loro magia appaia e sorprenda senza svelarne il trucco. Tuttavia, non avrebbe potuto forse affermarsi come uno tra gli indiscussi cardini della stagione architettonica contemporanea senza rivestirne le contraddizioni e le dualità. E dunque, a fianco all'architetto della sparizione ne appare anche un secondo dell'enfatizzazione, dell'implementazione tematica, della “funzione obliqua” assorbita dal suo mentore Claude Parent e che, prima che mera soluzione formale, è sguardo laterale. Altrettanto attento alla forza delle avanguardie e alla loro capacità di distillare l'essenza delle cose, l'architetto francese costruisce la propria cifra sullo ‘stress’ di pochi ma essenziali elementi, quasi sempre estratti dalle radici culturali e ambientali dei luoghi e delle civiltà e altrettanto sovente portati a limiti espressivi dove l'architettura guarda l'arte da pochi centimetri. La trama cinetica della facciata dell’Institut du Monde Arabe di Parigi (1987) possiede così in fondo il medesimo DNA della spettacolare volta del Louvre Abu Dhabi (2017), formata da otto strati di griglie metalliche sovrapposte che filtrano la luce tra 7.850 aperture a stella. Ma la stessa enfatizzazione del locale – fino a un estremo che si direbbe quasi Pop, se non fosse peccato – appartiene alla gigantesca rosa del deserto in cemento del Museo Nazionale del Qatar (Doha, marzo 2019), oppure alle facciate policromatiche della torre La Marseillaise (2018) a Marsiglia, declinate in circa 30 vibranti sfumature di blu, bianco e rosso per perdersi tra il cielo e i tetti della città. E ancora una volta ci domandiamo: è evanescenza oppure enfatizzazione?