Nate a cavallo tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, le sneaker – anche note come plimsolls, pumps, crepes, kicks e chissà quanti altri termini gergali – sono inizialmente prodotti derivati dall’evoluzione degli studi sulla gomma, non a caso i primi, storici marchi (come Dunlop e Superga) erano tutt’altro che dediti alla moda. La loro funzione sportiva – tanto da meritargli il comune sinonimo di ‘scarpe da tennis’ – ne caratterizza gli esordi, ma è l’adozione a pilastro dello streetwear a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso a rivoluzionarne per sempre il ruolo e la semantica.
La storia delle sneaker in 20 modelli imprescindibili
Capo d’abbigliamento imprescindibile, mettono in dialogo moda, design, cultura popolare e politica. Ne abbiamo ripercorso la storia attraverso 20 modelli di culto, tra grandi classici e innovazioni che ne rappresentano il nuovo status quo.
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- Lorenzo Ottone
- 30 settembre 2021
Inizialmente, tra i ‘60 e i ‘90, l’uso delle sneakers in contesti urbani è specialmente legato a contesti giovanili, controculturali e determinati dall‘unire la praticità delle calzature al lancio di messaggi iconoclasti che andassero contro la cultura dominante e la formalità della moda tradizionale.
Si pensi a come Mario Schifano e l’allora compagna Anita Pallenberg indossassero sneaker da tennis in tela bianca durante il loro soggiorno newyorchese dei primi Sessanta al fine di avere maggior libertà di movimento nelle fughe dalla polizia che puntualmente faceva irruzione negli happening e nei party illegali della scena Pop.
Se in questi decenni le sneaker indossate in contesti urbani sono le stesse prodotte per gli atleti, è solamente in tempi più recenti che le case produttrici hanno operato una separazione netta tra le produzioni heritage e quelle tecnologicamente più all’avanguardia.
Il più grande cambiamento in fatto di costume, però, è avvenuto nell’ultimo decennio quando – complice il raggiungimento di nuovi traguardi in materia di design, ergonomia e comunicazione – si è affermato un nuovo modo di concepire la sneaker, ora elemento cardine del mercato del lusso e capo trasversale a età e contesti sociali. Le scarpe da ginnastica sono oggi calzature adottate tanto in scenari urbani giovanili quanto nel mondo dell’alta moda e negli uffici, dove hanno sostituito per desiderabilità e status le scarpe formali.
Ne abbiamo ripercorso l’evoluzione in 20 modelli iconici dal punto di vista del design e dell’impatto sulla cultura popolare.
- Converse Chuck 70 High Top nella colorazione parchment/garnet/egret. Foto: Converse
Un classico senza tempo, le Converse All Star – o Chuck Taylor All Star – sono un caso esemplare di evoluzione, adattamento e trasversalità di clientela capace di rimanere per decenni sulla cresta dell’onda senza snaturare il concept originale, anzi facendone un punto di forza. Nate, come molte altre sneaker in canvas di inizi ‘900, come prodotto di aziende attive nel campo della gomma, le Converse acquistano il loro design che tutt’ora – salvo minori modifiche estetiche – nel 1923 per iniziativa dell’ex giocatore di basket e dipendente dell’azienda Chuck Taylor. Ciò fa delle Converse All Star delle scarpe imprescindibilmente figlie della cultura americana: non solo la loro originale silhouette che abbraccia la caviglia è conseguenza delle necessità ergonomiche dei giocatori di basket, ma la loro affermazione popolare passa anche per le Olimpiadi americane del 1936 di cui sono scarpa ufficiale prima, e per i marines della cui uniforme le Converse diventano parte a partire dagli anni ‘40. Le felici scelte di marketing, come l’introduzione della toppa circolare con stella, assieme all’intuizione di offrire un carnet di colori abbinabili a quelli delle divise delle squadre di basket fa sì che con gli anni Sessanta le All Star si impongano sui molteplici concorrenti come la scarpa da basket per eccellenza, tanto nell’NBA che nel circuito dei college. È proprio la diffusione nei campus a agevolare il passaggio delle Converse da capo esclusivo allo sport a cardine dello streetwear. Nonostante l’iniziale declino delle All Star come scarpa da basket negli anni ‘70, quando i giocatori gli preferiscono modelli in pelle e con suole più alte, che sopraggiunge la vera fortuna delle scarpe, tanto nelle comunità afroamericane che in quelle bianche. Da quando nel 1977, poi, i Ramones si posano con delle Chuck Taylor hi-top nere sulla copertina del loro album d’esordio non ce n’è più per nessuno. A partire dal 2013 la Converse ha messo, inoltre, in produzione le Chuck Taylor ‘70 (utilizzate anche per la collaborazione di successo con Comme Des Garçons del 2015), modello con punta in gomma di dimensioni minori, tela più spessa e suola più alta maggiormente fedele a quello utilizzato sui parquet da basket sul finire degli anni Sessanta.
La scarpa da tennis per eccellenza, capace di passare, grazie alla sobrietà del suo design, dalla terra rossa alla strada con fluidità unica e impeccabile. La Superga 2750, un’icona popolare italiana, è caratterizzata da una suola in gomma vulcanizzata pensata dall’imprenditore della gomma Walter Martiny e poi ulteriormente raffinata con l’inglobamento del marchio in Pirelli a partire dal 1951. Pur entrando a far parte dello streetwear e anche dell’alta moda – per tutti gli anni ‘80 le sneaker Superga venivano usate sulle passerelle milanesi come alternativa alle scarpe formali – il marchio torinese ha continuato a disegnare scarpe di successo nel mondo del tennis, come le Superga 2750 Cotu Panatta, evoluzione anni ‘70 con motivo Superga applicato sul lato esterno e indossate da Adriano Panatta nell’anno di grazia 1976, in cui il tennista italiano conquistò Coppa Davis, Roland Garros e Internazionali d’Italia.
Lo sviluppo delle sneakers è sempre andato di pari passo con le innovazioni tecnologiche in ambito di design, anatomia e pneumatica. Non è, infatti, un caso che le Green Flash siano state messe a punto dalla Dunlop, storica azienda britannica che sul finire dell’800 aveva brevettato lo pneumatico partendo da studi domestici sulla bicicletta del figlio del fondatore John Boyd Dunlop. Le Green Flash diventarono un’icona pop ante litteram calzando i piedi del campione di tennis Fred Perry, a sua volta poi imprenditore nel campo della moda. Le Green Flash seppero essere innovative per i tempi ravvivando la tradizionale scarpa da ginnastica bianca con brillanti dettagli verdi, da cui il nome.
A pensarci bene è ironico il fatto che le Adidas di maggior successo nella storia del brand (i 22 milioni di paia venduti entro il 1988 gli valsero addirittura un Guinness World Record) siano quelle che per prime ruppero maggiormente con la sua tradizionale estetica. L’assenza delle tre strisce in evidenza, solamente suggerite da un triplo pattern traforato su entrambi i lati della scarpa, rende le Stan Smith un’anomalia nel catalogo Adidas. Denominate dapprima Adidas Robert Haillet, dal nome del tennista francese che ne era endorser nei Sessanta, dal 1978 le scarpe acquisiscono la storica denominazione di Stan Smith con cui otterranno il grande riscontro commerciale, oltre a venire impreziosite dal ritratto stilizzato sulla linguetta; un tratto distintivo che Adidas utilizzerà poi su altre collaborazioni speciali, come quella con il membro degli Oasis Noel Gallagher. L’altrettanto iconica tab verde smeraldo sul tallone è, indubbiamente, stata ispirata dalla Dunlop Green Flash. Oggi le Stan Smith sono state rilanciate in una versione vegana da Adidas, marchio decisamente attento al tema della sostenibilità nel footwear.
Modello giapponese nato per le Olimpiadi del 1966 in Messico, le Onitsuka Tiger sono entrate a far prepotentemente parte dello streetwear occidentale solamente dal 2003 quando, complice il re-branding e rilancio delle sneaker sul mercato, furono adottate nella colorazione gialla con dettagli Asics neri da Uma Thurman in Kill Bill 2 in un esplicito tributo voluto dal regista Quentin Tarantino a quelle indossate – assieme alla celebre tuta giallonera – da Bruce Lee nel suo ultimo (e incompleto) film del 1972 Game of Death. Le Onitsuka Tiger, tra le calzature più innovative in fatto di tecnologia per l’atletica leggera negli anni Sessanta, sono state vittima di un semi plagio da parte di un’allora nascente Nike, all'epoca chiamata Blue Ribbon. I fondatori, gli atleti Phillip Knight e Bill Bowerman, dopo aver stipulato con il brand giapponese un contratto per la distribuzione americana delle sneaker, ne studiarono a fondo la tecnologia all’avanguardia per poi riproporla nelle loro calzature da atletica presentate alle Olimpiadi di Monaco del 1972, le Nike Cortez ‘72, rese celebri sul grande schermo da Tom Hanks in Forrest Gump. Da qui in poi il brand sarà l’astro nascente del footwear sportivo globale, a discapito del marchio giapponese.
Rimaste pressoché inalterate dalla loro prima immissione sul mercato, le Vans (o, originariamente, Van Doren) rappresentano un altro modello di sneaker che, seppur nate a fini sportivi, hanno trovato fortuna nello streetwear e nel seguito di culto generatosi con i cluster giovanili, dai seguaci del Punk Hardcore agli studenti Ivy dei campus americani, passando ovviamente per gli skater. D'altronde, nascendo per le strade come alternativa invernale al surf, la disciplina dello skateboard – per cui nel 1966 il signor Van Doren ideò questa scarpa che aggiungeva alla tipica sneaker in canvas un’alta e solida suola – si è sempre collocata a cavallo tra lo sport e la sottocultura. Questa dicotomia si riflette nell’appeal tutt’ora trasversale delle Vans, capaci di adattarsi con successo a una pletora di look anche molto differenti tra loro, e di cui il pattern a scacchi bianconeri è uno dei principali tratti identificativi.
La Suede è il modello Puma per antonomasia, ideato come scarpa da tempo libero per gli atleti partecipanti alle Olimpiadi Messico ‘68 (Tommy Smith ne indossa un paio nero nella celebre premiazione del pugno chiuso) e caratterizzato da una suola piuttosto alta in caucciù bianco dalla parte frontale zigrinata e da una tomaia in pelle scamosciata – originariamente disponibile solo in blu per atleti sotto contratto Puma e nero per quelli legati ad altri brand. Le Suede, inizialmente denominate Crack (termine che nello slang giovanile dei tardi Sessanta indicava una persona dinamica, capace e alla moda), a partire dal 1972 acquistarono una forma leggermente più affusolata diventando, temporaneamente, Clyde. La nomenclatura deriva dall’accordo, il primo di esclusività retribuita ($5,000 dollari sul piatto) tra un brand di abbigliamento e uno sportivo, il giocatore dei New York Knicks Walt Frazier, soprannominato Clyde per il suo vistoso stile dandy reminiscente di quello del celebre bandito Clyde Barrow – personaggio che a cavallo tra i ‘60 e i ‘70 aveva goduto di un notevole revival nella cultura pop, come testimoniato da moda e canzoni del tempo. Per Frazier, Puma produsse oltre 300 colorazioni diverse della Clyde, in modo che l’eccentrico atleta potesse indossarne una diversa ad ogni gara. Nel 1977, terminata la carriera di Frazier e il contratto con Puma, le sneaker furono, naturalmente, ribattezzate Suede e, complice l’appeal della star dei Knicks sui più giovani, diventano popolarissime tra i pionieri dell’Hip Hop delle comunità afroamericane newyorchesi. Le Suede sono le sneaker che per prime sottolineano come la moda sia capace di mettere in dialogo sportswear e streetwear, anticipando di due decenni il fenomeno delle Nike Air Jordan e l’attuale popolarità delle sneaker sulle passerelle.
Le Adidas Superstar sono un altro esempio, al pari di Converse All Star e Puma Suede, di sneaker che trova un successo popolare dopo essersi affermata, prima, sui parquet dell’NBA. La grande innovazione delle Superstar è rappresentata dalla punta rinforzata in gomma bianca e zigrinata, quasi a riprodurre la sezione di un pallone da basket. Per essere consegnate alla storia, però, ci vogliono gli anni ‘80 e – anche in questo caso – la scena Hip Hop, tanto che questo design degli anni Sessanta viene collocato nell’iconografia di due decenni dopo. Il trio di rapper RUN-DMC le indossa spesso senza lacci abbinate a tute Adidas, cantandone in diverse canzoni come in “My Adidas” (1986). È proprio il potenziale commerciale rappresentato da questa canzone che porta il marchio tedesco a siglare un contratto di esclusiva di $1.6 milioni con il trio di Hollis, Queens, il primo tra un brand e un gruppo rap – una mossa non solo inedita ma anche rischiosa agli occhi dei benpensanti del tempo. La sneaker ha saputo diventare una tale istituzione del footwear che LEGO ne ha addirittura prodotto una sua versione, ovviamente da costruire.
Note nel mondo della moda e dei collezionisti di sneaker semplicemente come GAT – acronimo di German Army Trainer – le scarpe per gli allenamenti e il tempo libero dei soldati dell’esercito della Germania Ovest sono un modello dal design unico e dalla storia elusiva. Le GAT vengono messe in produzione negli anni ‘70, su commissione del ministero della difesa tedesco. Qua documenti, prove e memorie si accavallano, lasciando dubbi sulla manifattura delle sneaker che, mano a dirlo, ancora una volta è un affare di famiglia tra i fratelli Adi e Rudolf Dassler, rispettivamente fondatori di Adidas e Puma nel 1948. Se le cuciture della scarpa ricordano quelle delle calzature disegnate da entrambi i Dassler per Jesse Owens alle Olimpiadi tedesche del 1936, lo stampo della scarpa è distintamente proprio delle Adidas Samba, anche se prive delle iconiche strisce e impreziosite da dei rinforzi geometrici in pelle scamosciata off-white sulla punta. In seguito alla caduta del Muro di Berlino nel 1989 e il ridimensionamento dell’esercito dell’Ovest, molti soldati ritornati alla vita civile si trovarono con queste sneakers che divennero così - grazie al notevole surplus disponibile – una scarpa economica e popolare. Nel 1999 è però Margiela a cambiarne per sempre la sorte, acquistandone uno stock e proiettando la scarpa nel mondo della moda di lusso. Nel 2001 il colosso francese ne propone una versione decorata da scritte a mo' di graffiti con cui si invita i clienti a fare altrettanto, personalizzando la scarpa a piacere. Oggi la Bundeswehr Sportschuh è diventata una sneaker di culto tra i devoti del workwear e armywear usato, mentre la GAT Replica di Margiela vi fa rivivere l’ebrezza di sentirvi come dei soldati della Guerra Fredda al costo di poco meno di €400. Lo stile prima di tutto.
New Balance è stato uno dei primi brand a intuire l’importanza dello sviluppo tecnologico in sneaker destinate anche allo streetwear. Dalla fine degli anni ‘70 il brand americano sviluppa il concept già caro a Nike di scarpe da running con tomaia che unisce nylon a pelle scamosciata. Se nel 1980 con le 620 New Balance immette sul mercato le sneakers più leggere mai prodotte sino ad allora, è con le 990 del 1982, le prime prodotte in Inghilterra, che viene stabilito il primato per le sneaker più costose di sempre ($100). Le 990 sanno anticipare quell’ibrido tra scarpa da atletica e comfort che renderà i futuri modelli l’epitome della "dad shoe", indossata anche nel modello 992 del 2007 dal guru della Apple Steve Jobs. Merito del successo delle New Balance risiede anche nei Casuals che le adottarono negli stadi britannici degli anni ‘80, diventando fondamentali traghettatori dello sportswear a ricercatissimo abbigliamento di lusso.
Se passate per New York vi capiterà di sentire chiamare queste sneakers “uptown”, perché è lì, nell’inner city della Grande Mela di inizio-metà anni ‘80 che le Air Force 1 raggiunsero uno stato di culto. Inizialmente prodotte tra il 1982 e il 1984, una volta dismesse, la richiesta nel solo quartiere di Harlem fu tale da portare i rivenditori a scrivere a Nike per rimettere la scarpa in produzione. Un ripensamento lungimirante dato che oggi le Air Force 1 sono uno dei modelli di maggior successo di Nike, disponibili in un’infinità di colorazioni e collaborazioni e in cinque diverse altezze – dalla super low alla super high con chiusura a velcro. Queste sneaker, il cui nome è un tributo alla performatività e potenza dell’aereo presidenziale statunitense, furono le prime ad impiegare la celebre tecnologia Air del brand americano.
Le Reebok Freestyle sono delle hi-top in pelle bianca, quintessenzialmente anni ‘80 che si inseriscono sul filone di scarpe sportive dall’appeal street come le Air Force 1, uscite anch’esse nel 1982, anno chiave per l’evoluzione tecnologica e culturale di questo capo d’abbigliamento. Il loro successo è indissolubilmente legato alla cosiddetta Fitness Craze del periodo, quando l’America diventò ossessionata con le lezioni di aerobica in VHS. Le Freestyle, infatti, sono le sneaker indossate da Jane Fonda, protagonista dei celebri corsi video. È il loro triplo cuscinetto che avvolge la caviglia a renderle particolarmente innovative sotto il punto tecnologico rispetto ai concorrenti. Abbinate tanto a body in tessuto viscoso dalle tinte pastello quanto ai jeans stone washed, con le Freestyle Reebok riuscì a superare per numero di vendita il colosso Nike.
Le Air Jordan sono le sneakers con cui Nike ha sovvertito le regole del gioco. Disegnate appositamente per Michael Jordan, all'epoca star nascente dell'NBA appena arrivato in forze ai Chicago Bulls, le Air Jordan erano una scarpa hi-top da basket in pelle la cui principale caratteristica è la colorazione in cui il rosso ed il nero dominavano sul bianco, andando contro le regolamentazioni dell'NBA. Pur di sfoggiarle sul parquet, Jordan era disposto a pagare una multa di $5.000 a partita, operazione che trasformò le Air Jordan I in veri e propri simboli di iconoclastia giovanile. A renderle poi un culto tra i ragazzini del tempo, oltre all'appeal generato dall'esclusività della scarpa utilizzata dal solo Jordan, erano anche accortezze grafiche come il logo alato Air Jordan disegnato da Peter C Moore e ispirato dai distintivi dei piloti d'aereo. Il logo, un'allusione al modo spettacolare con cui Jordan si elevava in salto, fu fondamentale nell'accattivare un pubblico giovane. Addirittura Will Smith nella sitcom Il Principe di Bel Air ne fu endorser.
Con il tempo la serie Air Jordan ha introdotto importanti novità nel mondo Nike, come la sottrazione dello swoosh (Air Jordan II, 1986), l'evoluzione della tecnologia Air nei cuscinetti delle suole e l'introduzione del celebre Jumpman logo di Tinker Hatfield su bozzetto di Moore (Air Jordan III, 1988) che tutt'ora caratterizza le sneaker.
Si può dire che le Jordan hanno saputo essere le eredi delle Puma Suede nella loro capacità di trasformare una scarpa da basket in un fenomeno di streetwear, in questo caso però di proporzioni inedite e tutt'ora motore di un collezionismo di culto.
Se per molti sono le Vans a incarnare l’epitome della scarpa da skateboard, le Airwalk One ne hanno rappresentato una valida alternativa nel corso degli anni ‘90. L’Airwalk One è una scarpa che all’estetica preferisce performatività e durabilità. Fu disegnata con questo preciso scopo in mente dagli skater George Yohn e Bill Mann per i loro colleghi nel 1986, come a sottolineare che Vans si fosse avvicinata eccessivamente al mondo della moda e dello streetwear. Le Airwalk, con la loro silhouette robusta e bombata, hanno anche avuto il merito di influenzare gli stilemi di altre celebri scarpe da skateboard quali Etnies e DC, capaci di raggiungere grande popolarità tra i ‘90 e i ‘00.
Alcune calzature possono entrare a far parte della storia delle sneaker pur non essendo mai state messe in commercio o tantomeno in produzione. È il caso delle Nike MAG, progettate dal Tinker Hatfield come oggetto di scena indossato da Michael J Fox in Ritorno al Futuro II (1989). A trasformare le sneaker in oggetto di culto, più che la silhouette ultra alta o le suole ultra leggere per i tempi, fu il sistema di chiusura autoallacciante, un trucco cinematografico azionato da un set di batterie nascosto alla camera. Dopo anni passati a sognare e sperare in una produzione delle sneaker, nel 2011 Nike ha finalmente accontentato i cultori del film con un’edizione limitata della scarpa che peccava però di n unico fondamentale dettaglio: l’autoallacciatura. Nel 2015, però, Michael J Fox si presenta alle telecamere del programma statunitense Jimmy Kimmel Live! con un paio perfettamente identico e funzionante con tanto di suola elettroilluminata, riaprendo dunque il dibattito attorno alle MAG. A un anno di distanza Nike, finalmente, rilascia le scarpe sul mercato in un’edizione limitata di 89 paia (chiaro tributo all’anno di uscita della pellicola) messe in palio tramite una lotteria i cui proventi sono stati completamente donati alla fondazione di Michael J Fox per la lotta al Parkinson.
Le Air Max 95 sono solamente uno dei modelli con tecnologia Air con cui la Nike si smarca su tutti gli altri competitor nei ‘90, creando una legacy di modelli dal design avveniristico che pur nascendo per il running non celano di puntare da subito alle strade, ai ragazzi, ai club. Modelli che a oltre vent’anni di distanza dal loro debutto sul mercato continuano a risultare attualissimi e desideratissimi, tra riedizioni, colorazioni in edizione limitata e collaborazioni esclusive. Le Air Max 95 furono disegnate da Sergio Lozano con un concept inedito che poneva la sneaker in parallelo con l’anatomia umana: la suola con cuscinetti Air rappresentava la spina dorsale, i pannelli gradienti sui lati i muscoli, l’allacciatura la cassa toracica e il tessuto che corona la scarpa la pelle. Le Air Max 95 – come altri modelli della serie, specialmente le TN – diventano presto icone della scena Grime londinese di inizi Duemila, ma la loro colorazione neon li rende scarpe dal fascino alieno, quasi Cyberpunk.
Yeezy è la linea Adidas realizzata dal 2013 in collaborazione con il rapper e imprenditore Kanye West. Yeezy rompe completamente con la tradizione del marchio tedesco, proponendo sneaker che – stando alle parole di West – sono ispirate tanto da disegni antichi di 3000 anni quanto dalla silhouette delle Lamborghini e dalle calzature viste in Akira, film d’animazione Cyberpunk giapponese del 1988. Le Boost 350, le seconde della serie Yeezy, sono forse quelle maggiormente rappresentative dell’immaginario Yeezy e quelle che hanno avuto maggior eco sul mercato. Con Yeezy Adidas ha introdotto a pieno titolo nelle calzature destinate allo streetwear l’uso dell’ultraleggero e performante poliuretano termoplastico (TPU), tecnologia sino ad all’ora destinata esclusivamente alle suole della produzione per atletica. La tomaia della scarpa, invece, è realizzata con tecnologia Adidas Primeknit, un tessuto fibroso in jacquard che avvolge il piede come una calza. Questo tipo di tessuto si è sviluppato a partire dalla rivoluzionaria introduzione delle Nike Flyknit alle Olimpiadi di Londra del 2012, sneaker che hanno influenzato un nuovo approccio dettato dalla ricerca tecnologica per la realizzazione di scarpe destinate anche al tempo libero.
Nonostante la casa di moda Balenciaga non abbia una tradizione di scarpe da ginnastica dalla sua, le Triple S hanno avuto il merito di cambiare drasticamente il corso del mercato e le regole del gioco, sia in fatto di design che di consumo. Disegnate da Demma Gvasalia e David Tourniaire-Beaucie, le Triple S – come suggerisce il nome stesso – nascono dalla rivoluzionaria sovrapposizione di tre diverse suole (da running, da basket e da atletica) su cui si innesta la tomaia di una tipica scarpa da ginnastica anni ‘90, in stile Reebok, Asics o new Balance. Questa scarpa ha lanciato il trend delle luxury sneaker, ma soprattutto ha dimostrato che le sperimentazioni che in passato avremmo etichettato come follie da prototipi possono trovare un’applicazione di successo sul mercato. Così sproporzionate e costose da diventare simbolo dell’opulenza post-moderna della cultura degli influencer e, di conseguenza, capaci di sfruttare l’iniziale stupore del pubblico – e relativi meme – come cassa di risonanza. Sull’onda della svolta segnata nel 2013 dal restyling delle Adidas Ozweego da parte di Raf Simons, le Triple S sono le sneaker che più di altre hanno aperto le porte per l’affermazione delle sneaker oversized e chunky nella moda contemporanea. Un instant classic.
Con l’ascesa delle catene di abbigliamento il mercato delle sneaker si è aperto a un’ampia gamma di copie budget, più o meno fedeli, delle scarpe presentate sulle passerelle dell’alta moda. L’accessibilità di capi di lusso, altrimenti dedicati a un pubblico elitario, è stato un elemento chiave nel sovvertire la concezione dell’uso delle scarpe da ginnastica negli ultimi anni. La transizione delle sneaker da calzatura prettamente sportiva a capo esclusivo capace di sostituire la vecchia scarpa formale anche in ambienti alti, professionali e maturi racconta molto dei nuovi canoni estetici della società contemporanea. Balenciaga è stato tra i maggiori responsabile di questo ribaltamento di costumi, che passa per il 2017 e l’uscita della Sock Sneaker. È però la sua fedelissima versione di Zara (ai limiti del plagio) che ha sdoganato a pieno la calzatura, facendo sì che la visione estetica di Balenciaga diventasse accessibile a una clientela ampia e trasversale. La scarpa, che può ricordare una versione ulteriormente avveniristica e calata nella contemporaneità delle Nike MAG di Ritorno al Futuro II, è caratterizzata da una tomaia in tessuto knitted e elastico che avvolge il piede per poi salire sulla caviglia trasformando il concept della sneaker hi-top in un calzino futuristico.
Lanciate nel Luglio 2020 dalla catena di supermercati tedeschi Lidl come parte di una linea di abbigliamento budget che non superava i €12.99, queste sneaker hanno rappresentato, e allo stesso tempo messo a nudo, il nuovo (folle) status quo del mercato delle sneaker. Una brillante mossa di marketing, più che un capolavoro del design, le sneaker Lidl hanno portato il concept dell’esclusività del drop in edizione limitata tanto caro ai colossi dello sportswear e del lusso nel contesto massificato di un supermercato a basso costo. È proprio l’effetto scaturito da questo clash culturale, amplificato a sua volta dalla meme culture, ad aver trasformato le sneaker Lidl in un must, così desiderabile da innescare gli stessi meccanismi che caratterizzano il mercato online delle sneaker da collezione. Un’asta, addirittura, ha toccato i €6000 per un paio. Nella silhouette che vuole esplicitamente rifarsi alle calzature chunky in stile Balenciaga Triple S, Nike Huarache o Puma LQD, si ritrova il sunto di una cultura post-moderna ormai ripiegata su sé stessa, tra l’indulgenza per il divertissement e (forse) il situazionismo. Le sneaker Lidl oggi sono nuovamente in produzione e disponibili al loro prezzo budget. Bolla scoppiata e successo commerciale assicurato per un brand che è entrato nella storia delle calzature pur facendo del proprio business core tutt’altro.