C’è grande fermento, nei primissimi giorni di marzo, nei laboratori della Waag Society Fablab di Amsterdam, dove un gruppo di 12 designer con base in Olanda ha unito le proprie forze per sperimentare un nuovo prodotto e ampliare le prospettive della pratica del design. Ognuno è alle prese con uno stesso quantitativo di materiale e con un fornello: gli strumenti per creare le basi di “Ricette in resina naturale”, la collezione di oggetti che verrà presentata a Milano, all’interno del programma Milano Makers di Alessandro Mendini. Motore del progetto è Carmine Deganello, che con Antonio Luchinelli ha sviluppato una nuova resina termoplastica: fatta di ingredienti naturali e destinata ad aprire nuovi orizzonti di produzione all’interno della design community, questo materiale è anche capace di stimolare quegli interrogativi fondamentali sul ruolo della produzione stessa che il design potrebbe porsi.
Ricette in resina per chef-designer
In occasione del programma Milano Makers di Alessandro Mendini, 12 designer olandesi presentano Ricette in resina naturale, una collezione di oggetti creati con una nuova resina termoplastica fatta di ingredienti naturali.
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- Elise van Mourik
- 12 aprile 2013
In accordo con la visione fortemente collaborativa di Milano Makers, l’iniziativa “Ricette in resina naturale”, coordinata da Deganello insieme a Peter Van Kester, è un prodotto collettivo. Lo spirito del progetto pare malleabile tanto quanto il materiale, che si adatta a quasi ogni genere di sperimentazione, senza alcun bisogno di altro se non di un’attrezzatura simile a quella di una cucina ben fornita. “È come invitare delle persone a una cena durante la quale ciascuno prepara e condivide il proprio cibo”, spiega Deganello.
Innanzitutto, dal momento che non contiene alcun componente tossico o sintetico, la resina si presenta come un’alternativa sostenibile alle termoplastiche esistenti e al loro ampio raggio di applicazioni. In più, la resina è interamente rinnovabile, cosa che rende possibile eliminare del tutto ogni spreco dal processo di produzione e immaginare la riconversione degli oggetti prodotti in materiale grezzo. Nel migliore scenario possibile, tale materiale consentirebbe non solo di ridurre la distanza ben nota tra scarti e prodotto, ma anche di rendere reversibile il processo di produzione, partendo dai rifiuti per arrivare al prodotto, senza ricorrere necessariamente a mezzi industriali o a una conoscenza specifica delle modalità di produzione.
Si potrebbe affermare che, mentre le plastiche sono state introdotte un tempo per espandere radicalmente la libertà del design e favorire una produzione seriale senza limiti, è alle qualità di questa resina naturale che ora il design deve la possibilità di andare oltre una mera qualità plastica che favorisca una produzione di massa, per diffondersi invece in una società autocostruita, in cui i confini del prodotto e la posizione del produttore si dissolvono in una più fluida economia degli oggetti.
Sposando appieno questa linea, il giovane designer olandese Sander Wassink propone The Bricoleur of Modernity, in cui lavora la resina insieme ad alcuni componenti standard facilmente reperibili in qualsiasi negozio di attrezzi. Riconsiderando quei componenti come delle risorse piuttosto che dei prodotti finiti, la distinzione tra il materiale e la sua funzione si attenua, e questo fa sì che una certa poesia affiori dagli elementi più ordinari e dai pezzi prodotti in massa. “Ricerco un’estetica industriale fatta di ingegnose, meravigliose connessioni“, sostiene. Attraverso l’uso della resina, Wassink ridefinisce in modo scherzoso gli standard industriali, puntando a un’economia di oggetti non finiti, piuttosto che a un regime in cui tutti gli oggetti siano destinati a diventare obsoleti. Durante il workshop di due giorni con Carmine Deganello e Antonio Luchinelli, altri designer hanno sfruttato le qualità materiali della resina, servendosi di tecniche low-cost di facile applicazione. Tra questi c’è Jorrit Taekema, che trasferisce le venature di uno stampo in legno grezzo sulla superficie della plastica; ma anche Sjoerd Jonkers, che lavora con modelli di cartone a basso costo e semplici da assemblare, che permettono — potenzialmente — di riprodurre gli oggetti in casa.
Tenendo a mente che la resina viene lavorata molto facilmente, tali approcci low-tech sostanzialmente favoriscono l’interscambio tra modello e oggetto, sfidando il ruolo predominante della fabbrica e il suo sistema economico. Infine, considerando il modello come il prodotto e portandolo a casa, i ruoli del designer e del produttore industriale possono rinnovarsi per favorire la pura potenzialità degli oggetti, non dovendoli produrre soltanto. Così Roel Huisman immagina che un modello regolabile possa servire a produrre un intero set di stoviglie, realizzate e riciclate in cucina.
Mentre generalmente un nuovo materiale ha bisogno di raggiungere un certo standard in termini di durabilità, ci si può chiedere se il carattere provvisorio della resina, in questo caso, non rappresenti piuttosto un valore aggiunto per i prodotti e per il design, che deve sostenere le nostre necessità materiali. Secondo una talevisione, sembrerebbe che la ricerca dell’efficienza spiani la strada a ciò che è più efficace, il che si tradurrebbe nell’abbandonare l’inflessibilità del sistema della produzione di massa a favore di una forma di produzione più aperta e distribuita. “Il progetto è sostanzialmente un grande punto interrogativo”, ammette Deganello. “Ma abbiamo appena cominciato e abbiamo bisogno di poter sperimentare liberamente”.
È chiaro che la resina non può servire soltanto come alternativa alle altre plastiche ma, dal momento che rappresenta un materiale così semplice, ha il potenziale di riesaminare radicalmente la produzione seriale, portando l’industria fuori dalla sua impasse economica e verso un campo di forze tecnico-creative in cui possa divenire accessibile come strumento. “È una provocazione!”, conferma Carmine Deganello. Dovremmo augurarci che, in questa primavera, “Ricette in resina naturale” ci mostri non solo i modi di progettare e produrre con la nuova resina, ma ispiri la design community a partecipare al discorso critico sulla necessità che la cultura della progettazione si circondi di tali esperimenti.
Il vero problema è se il ruolo del designer possa cambiare radicalmente, considerando che, una volta esaurita la fase di sperimentazione, la produzione di oggetti potrebbe non trovarsi più nelle sue mani, e che la società può reclamare il potere di decidere quale realtà costruire. In questo possibile futuro di una società di non professionisti, la sperimentazione reale non cesserebbe e il design si avventurerebbe in una nuova direzione: una linea d’intenti che non lasci più spazio a promesse volte a garantire il futuro delle vecchie conquiste della progettazione, ma che piuttosto sia tanto malleabile quanto questa nuova resina. In attesa del pieno aprirsi di questi scenari, possiamo andare alle ex Officine Ansaldo di Milano a vedere gli esiti del lavoro di esplorazione dei designer olandesi e dei due capi-progetto italiani—lavoro che ha portato a produrre la prima edizione limitata di oggetti di design in questa speciale resina—e a partecipare in loco ad alcuni dei loro esperimenti sul materiale.