È stato un lungo processo di costruzione e assemblaggio di più di 500 lavori che ha coinvolto oltre a Barry Bergdoll, Patricio del Real curatore del dipartimento di Architettura del MoMA, Carlos Eduardo Comas dell’Università Federale di Rio Grande do Sul in Brasile, Jorge Francisco Liernur dell’Università Torquato di Tella di Buenos Aires e un comitato consultivo di specialisti provenienti da ognuno dei dieci paesi rappresentati nella mostra: Argentina, Brasile, Caraibi, Cile, Colombia, Cuba, Messico, Perù, Uruguay e Venezuela.
Il materiale proveniente dai diversi e numerosi archivi è il fulcro principale della mostra che vuole essere essa stessa il luogo e il punto di partenza per la costruzione di un laboratorio ininterrotto di ricerca sul tema dell’architettura moderna latino-americana.
La mostra immerge gradualmente il visitatore in uno dei periodi più intensi della storia del continente, quello compreso tra gli anni 1955 e 1980, quando molteplici cambiamenti politici ed economici ne modificarono radicalmente lo scenario.
Ancor prima infatti di visitare le gallerie più tecniche che accolgono in modo corale le diverse voci e personalità dei progettisti che hanno trasformato il continente sudamericano, un ‘preludio’ di filmati evoca i momenti storici più significativi, pensato da Bergdoll per informare ma anche per sedurre lo spettatore. I filmati rappresentano periodicamente tutti la stessa immagine, suggerendo i momenti storici condivisi dalle diverse città: Buenos Aires, Montevideo, San Paolo, Rio de Janeiro, Caracas, Havana e Città del Messico.
Si aggiungono infatti progetti di pianificazione urbana, di abitazioni sia collettive che individuali, campus e università, edifici e spazi pubblici, infrastrutture sportive, edifici religiosi, edifici per la cultura, strutture ricettive turistiche. È il racconto della storia di un continente attraverso l’ambizioso lavoro degli architetti locali, chiamati a rispondere delle necessità dettate dai cambiamenti politico-sociali. I momenti più significativi di questo racconto sono ricostruiti e documentati in un lungo e variegato percorso temporale che attraversa la sala.
Nella sezione “Export” della mostra l’architettura latino-americana si confronta con il contesto internazionale con diversi progetti che hanno varcato l’oceano, quali il Padiglione Venezuelano di Carlos Raúl Villanueva per l’Expo del 1967 a Montreal e il padiglione messicano realizzato per la Triennale di Milano nel 1968.
I curatori hanno scelto di non includere nella mostra il lavoro degli architetti europei e americani che hanno operato dall’esterno nel continente. L’attenzione è così rivolta alle tante personalità provenienti dai diversi paesi sudamericani, che pur attingendo al vocabolario internazionale dell’architettura moderna, mantengono sempre un legame con la tradizione locale, creando una particolare tensione nelle opere, elaborate nella interazione tra linguaggio globale e linguaggio locale. Il risultato è un ricco e originale scambio di idee, influenze e collaborazioni, come nel noto caso delle acoustic clouds di Alexander Calder nel soffitto dell’aula magna dell’Università Centrale del Venezuela.
In conclusione, la scelta curatoriale dei materiali e la loro organizzazione fanno del percorso della mostra un’esperienza punteggiata di sorprese.