Philippe Starck (1949), nato nella ricca banlieue occidentale di Parigi, e formatosi nella capitale francese all’Ecole Nissim de Camondo, si afferma a partire dagli anni ’80 come il primo star-designer nella storia della sua professione. Se i protagonisti del design italiano del Dopoguerra democratizzano la disciplina, popolando le case “moderne” con i loro oggetti, Starck contribuisce a mediatizzare la figura stessa del designer, proiettando la sua personalità (da enfant terrible, secondo molti) e i suoi prodotti nell’immaginario dell’uomo postmoderno. Amore e desiderio sono due concetti fondativi dell’approccio di Philippe Starck alla progettazione, attività a cui riconosce il compito ambizioso di “migliorare la vita della maggior quantità di persone possibile”. È una visione inclusiva ed ottimista, che si vuole in un’ideale continuità con quella dei riconosciuti maestri italiani, come Achille Castiglioni (verso il quale ammette esplicitamente il proprio debito). A questo proposito, in una conversazione del 1998 con Elizabeth Laville, Starck riflette in questi termini sul rapporto tra forma e funzione (intesa come ruolo, in senso lato) dell’oggetto progettato: “Dobbiamo sostituire la bellezza, che è un concetto culturale, con la bontà [goodness], che è un concetto umanista”.
Philippe Starck
“Sono un fanatico dell'economia, nel senso psicanalitco del termine – l'economia totale. Un prodotto che svolge la propria funzione con il minimo sforzo”. (Philippe Starck)
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Alcuni anni fa ho inventato il concetto di ‘nondesign’: il designer sarebbe scomparso dietro una sorta di memoria collettiva. La lampada Miss Sissi ne è un esempio. Non si può dire che l’abbia progettata io, l’hanno fatta tutti. (...) È indubbiamente la lampada più copiata e imitata al mondo
Il disegno del prodotto è certamente uno dei fulcri principali dell’attività di Philippe Starck. Affacciatosi sulle scene nella Francia degli anni ’80, trascrive nei suoi oggetti anche l’esuberanza e l’irrequietezza del clima culturale di quel decennio. Così, per Starck il processo di “riduzione” che conduce alla configurazione finale non sfocia mai nel pauperismo; allo stesso modo, la forma è senza dubbio quella “necessaria”, ma intendendo come tali anche la poesia e la sorpresa. Philippe Starck fornisce infinite interpretazioni dell’arredo per eccellenza, la sedia: moltissime quelle prodotte da Kartell (dalla Dr. No del 1996 alla Miss Trip del 1997, dalle Marie Ghost e Louis Ghost del 2002 alla la più recente A.I. del 2019), come da Vitra e Magis, tra gli altri. Firma oggetti tradizionalmente anonimi, come lo spazzolino da denti (a cominciare dal Fluocaril del 1989), il celeberrimo spremiagrumi Juicy Salif (1990), per Alessi, e il fermaporta (Dédé è messo in vendita da Magis nel 1994). Con le sue lampade richiama forme quasi archetipiche (la Miss Sissi del 1991, per Flos), omaggia le sue fonti d’ispirazione (tra cui proprio Castiglioni, a cui è dedicata Rosy Angelis del 1994, sempre per Flos) e si avventura nel surrealismo del lampadario Marie-Coquine (2011), per Baccarat.
Negli anni ’90, collaborando con Thompson si avvicina al mondo del prodotto tecnologico (il telefono a comandi vocali Alo è del 1996). Progetta, inoltre, praticamente ogni mezzo di trasporto esistente: sue sono le linee retrò dell’Aprilia Motó (1995) e le forme avveniristiche del Sailing Yacht A (2015), gigantesca barca a vela i cui alberi raggiungono i 100 metri di altezza, e ancora gli interni della prima stazione spaziale commerciale Axiom (2019). Starck Eyes (nato nel 1996), Starck Naked (1998) e Starck Paris (2016) sono solo alcune delle collezioni e dei marchi lanciati da Philippe Starck per commercializzare le sue creazioni: rispettivamente occhiali, intimo e profumi. Nella stessa logica s’inseriscono la linea Good Goods (1998) per La Redoute, di cui Starck descrive l’offerta nei termini di “non prodotti per i non-consumatori del mercato morale del futuro”, e la OAO Food Company (1998). Philippe Starck è altrettanto prolifico nel campo della progettazione d’interni. Citando la biografia di Jonathan Wingfield, Starck è interessato a “creare spazi che generano emozioni potenti. Vuole assicurarsi che, entrando nei suoi edifici, ciascuno scopra quello che sta cercando, e anche di più. ‘Sono luoghi dove andare perché fuori fa freddo, perché si ha fame, perché si ha sete, per divertirsi”. Un’analoga impostazione teatrale accomuna tre dei suoi progetti simbolo degli anni ’80: il club Les Bains Douches (1981), dove secondo Conway Lloyd Morgan “il realismo socialista incontra il punk sulla pista da ballo”, la camera privata di Danielle Mitterand all’Eliseo (1983) e il Café Costes (1984), tutti a Parigi. E se quest’ultimo ambisce a reinventare ed attualizzare gli spazi e le forme di socialità del café parigino, la recente ristrutturazione dello storico ristorante Quadri a Venezia (2018) tenta un’operazione simile nella città lagunare.
Ciò che è popolare è elegante, ciò che è raro è volgare
Il nome di Philippe Starck, però, resta collegato in particolare ad una tipologia d’interni: gli hotel, di cui comincia ad occuparsi nella seconda metà degli anni ’80, a fianco dell’imprenditore Ian Schrager. Dal Royalton di New York (1988) al Delano di Miami (1995), dalle collaborazioni con le catene SLS e Mama Shelter alla Palazzina G di Venezia (2009), e ancora agli interni della Rosewood Tower di Jean Nouvel a San Paolo del Brasile (2016), Starck si pone in aperta opposizione con il funzionalismo impersonale e generico di molti spazi dell’ospitalità, impegnandosi sistematicamente nella loro iper-personalizzazione. Philippe Starck non studia architettura, ma il titolo gli è assegnato dall’Ordre des Architectes francese come riconoscimento dell’originalità delle sue opere giovanili. Starck costruisce innanzitutto tre edifici in Giappone (il Nani Nani del 1989 e l’Asahi Beer Hall del 1990, entrambi a Tokyo, e il Baron Vert del 1992, ad Osaka) e poi più spesso in Francia, dove realizza, tra gli altri, la torre di controllo dell’aeroporto di Bordeaux (1997), l’estensione dell’Ecole Supérieure des Arts Décoratifs a Parigi (1998), e Le Nuage di Montpellier (2014), concepito come il primo edificio privato gonfiabile d’Europa. Oltre a questi incarichi specifici, Starck mantiene vivo il suo interesse per la prefabbricazione, come premessa necessaria ad un’architettura democratica e sostenibile. Al primo esperimento Maison de Starck (1994), per il catalogo 3 Suisses, segue l’esperienza del progetto P.A.T.H. – Prefabricated Accessible Technological Homes (2014, in collaborazione con Riko).
Estremamente prolifico, si stima che nei suoi primi quattro decenni di carriera Philippe Starck si sia impegnato in più di 10 mila progetti. Al tempo stesso, si è espresso a più riprese contro la sovrapproduzione di oggetti, e ha mostrato un crescente interesse verso la progressiva dematerializzazione e digitalizzazione delle esperienze umane nell’epoca contemporanea, in una più ampia ottica di decrescita. Virtuoso dei materiali plastici, intesi in un primo momento come veicolo per ridurre la quantità di materia necessaria, negli ultimi decenni Starck ha recepito lo spirito del tempo e ha piuttosto moltiplicato le sperimentazioni su materiali riciclati e di origine naturale.
Attraverso le parole di Jonathan Wingfield:
Inventore, creatore, designer, direttore artistico, Philippe Starck è certamente tutto questo, ma più di ogni altra cosa è un uomo onesto, che discende direttamente dagli artisti del Rinascimento