Ernesto Nathan Rogers (1909-1969) è stato uno dei più importanti teorici italiani dell’architettura del secondo Novecento. In parallelo, la sua attività di progettista si svolge quasi interamente all’interno dello studio B.B.P.R., che fonda nel 1932, subito dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Milano, con i compagni di studi Gian Luigi Banfi (1910-1945), Lodovico Barbiano di Belgiojoso (1909-2004) ed Enrico Peressutti (1908-1976).
La configurazione paritaria e le modalità di lavoro del gruppo sono particolarmente innovative per l’epoca. Nelle parole di Luca Molinari e Stefano Guidarini, quella di Banfi, Belgiojoso, Peressutti e Rogers è “un’intuizione culturale fondamentale, che ha permesso di superare la dimensione artigianale dello studio professionale per orientarsi verso una concezione dell’attività dell’architetto basata sull’apporto collegiale come principio metodologico”.
Nel periodo tra le due guerre, i B.B.P.R. partecipano da protagonisti alla prima stagione del razionalismo italiano. Tra i progetti più importanti di questo periodo, spesso realizzati in collaborazione con altre figure di rilievo della scena milanese dell’epoca, spiccano la Casa del sabato per gli sposi, padiglione temporaneo per la V Triennale di Milano (1933, con Piero Portaluppi), Casa Feltrinelli a Milano (1935) e la Colonia elioterapica di Legnano (1938). La capacità dei B.B.P.R. di confrontarsi con la scala urbana e territoriale è testimoniata dalla proposta di Piano Regolatore della Valle d’Aosta (1936-1937), presentata con un raggruppamento guidato da Adriano Olivetti e di cui fanno parte, tra gli altri, anche Figini Pollini e Piero Bottoni.
La Seconda Guerra Mondiale costituisce uno spartiacque importante anche nel percorso di Rogers, che si rifugia in Svizzera, e dei B.B.P.R., che mantengono il loro acronimo originario malgrado la morte di Banfi nel campo di sterminio di Gusen, come omaggio al compagno scomparso. Negli anni del conflitto, Rogers acquisisce una posizione sempre più centrale nel panorama della cultura architettonica milanese: tra il 1943 e il 1945 partecipa alla redazione del Piano A.R., le cui idee confluiscono, seppure in minima parte, nel Piano Regolatore della città degli anni ’50, e nel 1945 aderisce all’MSA – Movimento Studi per l’Architettura.
È proprio un’opera dei B.B.P.R. a segnare simbolicamente l'inizio della ricostruzione, culturale e materiale, del capoluogo lombardo. Il Monumento ai caduti nei campi di concentramento (1946), significativamente collocato all’ingresso del Cimitero Monumentale, è una struttura scarna e aerea in tubolari metallici, esercizio di riduzione materica ed astrazione geometrica, impostato sull’intersezione tra un cubo e una croce greca. Nelle storie dell’architettura viene spesso associato e contrapposto alla massa compatta e grave del Monumento ai Martiri delle Fosse Ardeatine di Roma, di Cino Calcaprina, Mario Fiorentino e altri (1944-1949).
Agli anni ’50 risalgono alcuni degli allestimenti più memorabili dei B.B.P.R., molti dei quali realizzati per le Triennali di Milano. Particolarmente significativi sono la progettazione della sala La forma dell’utile alla IX Triennale (1951), considerata come uno degli atti fondativi del disegno industriale italiano, e il Labirinto per ragazzi, costruito nel Parco Sempione per la X Triennale (1954).
Nello stesso periodo, B.B.P.R. si occupa anche del restauro e dell’allestimento del Museo del Castello Sforzesco (1955-1963), che raggiunge il suo climax nella sala della Pietà Rondanini di Michelangelo (recentemente riprogettata da Michele De Lucchi). Il più celebre dei negozi di B.B.P.R. è lo Showroom Olivetti sulla Fifth Avenue di New York (1954). Un enorme bassorilievo di Costantino Nivola ne occupa un’intera parete, facendone un esempio magistrale di sintesi delle arti, oltre che il momento più alto della collaborazione dello studio milanese con l’imprenditore di Ivrea.
Gli anni ’50 sono anche e soprattutto il momento in cui Rogers s’impone definitivamente come capofila della transizione della cultura italiana dal razionalismo degli anni ‘30 verso orientamenti più attuali. Direttore di Domus (1946-1947) e poi di Casabella Continuità (1953-1965), è sulle pagine di quest’ultima rivista che Rogers pubblica il testo fondatore su Le preesistenze ambientali e i temi pratici contemporanei, (Casabella 204, febbraio-marzo 1955). La nozione di “preesistenza ambientale”, introdotta in questa occasione, propone un rapporto più complesso con la storia, fondato sull’idea di continuità, e non sulla rottura (pretesa o effettiva) dall’ortodossia del Movimento Moderno.
Gli scritti di Rogers diventano l’oggetto di un intenso dibattito alla scala internazionale – celebre è la loro condanna da parte di Reyner Banham su The Architectural Review, nel 1959 – così come i progetti dei B.B.P.R., che ne sono da molti punti di vista la traduzione tridimensionale. Su tutti, la rappresentazione più compiuta e coerente della teoria delle preesistenze ambientali è la Torre Velasca di Milano. La torre è alta 106 metri, è sorretta da un’avanzatissima struttura in calcestruzzo, progettata da Arturo Danusso, ma allude sul piano linguistico e materico ai monumenti antichi del centro di Milano, dalla Torre del Filarete del Castello Sforzesco al Duomo.
La stessa relazione critica con la storia e il contesto si ritrova nei molti edifici completati dai B.B.P.R. nel decennio successivo: l’Edificio per uffici e abitazioni in corso Francia a Torino (1959), e a Milano il Sopralzo della Banca Finanziaria in via Verdi (1966), il Complesso per abitazioni in via Cavalieri del Santo Sepolcro (1961-1968), gli Uffici della Chase Manhattan Bank in piazza Meda (1958-1969), e il Complesso per uffici e abitazioni in via Piccinni (terminato nel 1970).
L’attività dello studio B.B.P.R. prosegue anche dopo la scomparsa prematura di Rogers, nel 1969. Gli esiti della sua opera di teorizzazione, però, si riconoscono soprattutto nei percorsi di alcuni suoi allievi, quasi tutti membri della redazione di Casabella Continuità negli anni ’50. Progettisti come Gae Aulenti, Giancarlo De Carlo, Vittorio Gregotti e Aldo Rossi, pur nella diversità dei loro percorsi intellettuali e professionali, proseguono e rielaborano le riflessioni di Rogers, traghettandole fino alla soglia del nuovo millennio.
Nelle parole di Gio Ponti:
Io ammiro, anzi amo la Torre Velasca di Belgiojoso, Peressutti e Rogers. Io mi sono allietato che a Milano, e non in un’altra città, fosse apparsa questa ‘forma architettonica’. Il considerare che dove essa sorge rappresenti un inserimento ambientale, è per me di minore interesse, e di maggior dubbio, che non il considerarla come episodio architettonico in sé