Gae Aulenti (1927-2012) comincia la sua carriera da progettista in un momento di profonda evoluzione della cultura architettonica italiana. Subito dopo la laurea al Politecnico di Milano (1953), si avvicina a due dei principali luoghi di elaborazione teorica sull’architettura dell’epoca: la rivista Casabella Continuità, diretta da Ernesto Nathan Rogers, con cui collabora tra il 1955 e il 1965, e lo IUAV – Istituto Universitario di Architettura di Venezia, dove lavora a partire dal 1960 come assistente di Giuseppe Samonà.
La Casabella di Rogers è in prima linea nel promuovere il superamento di una visione monolitica e forzosamente internazionalista del Movimento Moderno. Prendendo le distanze dai maestri della modernità, e soprattutto dai loro emuli, che ne hanno trasformato l’etica in stile, Rogers si rivolge alla storia e al contesto (le “preesistenze ambientali”) come i riferimenti indispensabili per il rinnovamento dell’architettura.
È in questo contesto che si afferma il così detto movimento Neoliberty, a cui sono solitamente ricondotti una serie di progettisti dalle sensibilità e dai linguaggi per molti versi comparabili: i torinesi Roberto Gabetti (1925-2000) e Aimaro Isola (1928), Vittorio Gregotti (1927), associato all’epoca con Lodovico Meneghetti (1926) e Giotto Stoppino (1926-2011), e anche Gae Aulenti. Nelle parole di Marco Biraghi: “Spesso accomunata e confusa con una sensibilità e una sollecitudine nei confronti dei valori della memoria collettiva, la breve ma significativa stagione ‘neoliberty’ è in realtà il tentativo di rintracciare vie alternative a un repertorio moderno ormai sempre più congelato in forme ripetitive e scontate”.
È una riflessione che ben si applica all’attività di Gae Aulenti, che si dichiara “interessata a progettare le differenze, piuttosto che l’omogeneità”. Dallo zeitgeist dei tardi anni ’50, Aulenti deriva anche il suo interesse trasversale alle diverse scale della progettazione, che partecipano tutte alla costruzione dell’ambiente abitato inteso nella sua interezza. Oltre ai molti esperimenti nell’ambito della grafica e del disegno di scenografie (ad esempio per Luca Ronconi), la sua attività si concentra soprattutto nei campi del design, dell’architettura d’interni, del restauro e della progettazione di spazi pubblici.
Il più famoso tra gli oggetti disegnati da Gae Aulenti è probabilmente la lampada Pipistrello (1965), prodotta da Martinelli Luce ma nata come arredo site-specific per il negozio Olivetti di Parigi. Adriano Olivetti, per la quale Aulenti progetta anche lo showroom di Buenos Aires (1968), e Gianni Agnelli, di cui ristruttura l’appartamento milanese in Brera (1970), per poi diventare nei fatti l’architetto di famiglia, sono i due committenti fondamentali per il lancio della sua carriera, tra gli anni ’60 e ’70.
Nello stesso periodo, partecipa ad alcune grandi mostre, che la consacrano tra i protagonisti della sua epoca: la XIII Triennale di Milano (1964), dedicata al tempo libero e per la quale progetta (con Carlo Aymonino e altri) una parte di allestimento della sezione italiana, e la storica esposizione collettiva Italy. The New Domestic Landscape, curata da Emilio Ambasz al MoMA di New York (1972).
L’architettura ha il compito di regolarsi rispetto al suo contesto. Non solo quello fisico, ma anche quello concettuale
A partire dagli anni ’80, e nei decenni successivi, la carriera di Gae Aulenti è scandita da un lato dal disegno di alcuni prodotti poi diventati iconici (si pensi, tra tutti, al Tavolo con ruote del 1980), dall’altro da una sequenza di ristrutturazioni di edifici di grande pregio, quasi tutti a funzione museale. Il Musée d’Orsay (1986), all’interno della stazione omonima di Parigi, è certamente la sua realizzazione più celebre. Il progetto è impostato sul dialogo tra l’antica volta a botte in ferro, dalla caratteristica trama a cassettoni floreali, e i volumi dei nuovi spazi espositivi, rivestiti in arenaria chiara che valorizza la luminosità dei dipinti impressionisti della collezione. Risalgono alla stessa epoca l’allestimento del Musée National d’Art Moderne al Centre Pompidou di Parigi (1985), la ristrutturazione di Palazzo Grassi a Venezia (1986), sempre per gli Agnelli, e il progetto per il Museo Nacional d’Art de Catalunya di Barcellona (1996).
Tra gli anni ’90 e 2000, mentre prosegue la sequenza dei musei (nel 1999 inaugurano le rinnovate Scuderie del Quirinale, a Roma), Gae Aulenti si cimenta sempre più spesso con edifici di nuova costruzione, tra cui spicca l’Istituto Italiano di Cultura a Tokyo (2005), e con la progettazione di spazi pubblici, come l’ingresso alla stazione di Santa Maria Novella di Firenze (1990), la piccola piazza San Giovanni a Gubbio (2005), e la risistemazione di Piazzale Cadorna a Milano (2000), con il rifacimento della stazione che vi si affaccia. Con le sue molteplici pensiline, i pilastri rossi sovradimensionati, la grande fontana e la sorprendente scultura Ago, filo e nodo di Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen, il piazzale milanese combina in un insieme coerente ed esuberante design, architettura, progettazione urbana ed arte. Amato, ma anche criticatissimo, rappresenta da molti punti di vista una sintesi e un punto di arrivo ideale (seppur non cronologico) della carriera di Aulenti.
Nelle parole di Carlo Bertelli (sul Musée d’Orsay):
Il Musée d’Orsay è un museo che nasce come l’opposto del Beaubourg in tutto: per il taglio cronologico, per il riferimento alla tradizione francese, per il rapporto con la città, per la preminenza data alla funzione museale e alla sua conseguente riscoperta. Si è ammirati di come tutto ciò tenga fin nei minimi particolari, conservando dovunque un taglio sicuro e un’inesitante eleganza