L'ICCD, l'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, nell'ambito della X edizione di Fotografia—Festival Internazionale di Roma, ha da poco ospitato Controspazio. La terra negata all'identità, un lavoro fotografico di Antonio Di Cecco, con stampe di Davide Di Gianni, sulle condizioni del territorio aquilano a circa due anni dall'avvento del sisma. La mostra, curata da Leonardo Palmieri ci ha spinto oltre la zona rossa della città per un'indagine sui centri storici minori che strutturano il territorio attorno al capoluogo abruzzese.
La dichiarazione della necessità di una relazione forte e autentica tra fotografia e territorio, che emerge del titolo Motherland di questa edizione del Festival, viene in questo lavoro portata alle sue estreme conseguenze, manifestandosi nella sua disarmante impossibilità, nell'accurata descrizione di una madreterra negata. Un lavoro in progress, che rivendica la necessità di un popolo di appartenere alla propria terra, alla propria cultura, alla propria storia, dove, come afferma lo stesso Di Cecco, "l'intento di restituire identità ai luoghi negati si manifesta attraverso la presa di coscienza sull'attuale realtà"
Antonio Di Cecco: Controspazio
Matteo Costanzo riflette sul lavoro del giovane fotografo aquilano, un rigoroso bianco e nero scattato all'indomani del sisma per contribuire all'idea di una ricostruzione sostenibile della città.
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- 28 ottobre 2011
- L'Aquila
Il lavoro, iniziato all'indomani del terremoto, ricerca le conseguenze più nascoste di questo drammatico evento, oggi non più naturale, ma politico e sociale. "Il progetto trae origine da un'urgenza civica", ci racconta il giovane fotografo aquilano, "le fotografie partecipate costituiscono la documentazione visiva del lavoro svolto dal Collettivo99 (giovani tecnici aquilani) nato con la volontà di contribuire all'idea di una ricostruzione e riconversione sostenibile della città e del territorio, evitando così di produrre un'evoluzione distruttiva, irreversibile ed incontrollata del suolo. La fotografia può, in questi termini, essere un utile strumento di ricerca e verifica."
Entrando nella navata centrale dello spazio espositivo, una chiesa sconsacrata nel complesso del San Michele di Roma, di fronte ai visitatori un grande esagono bianco, realizzato con dei "sotto misura", quegli stessi assi di legno che vengono usati per recintare e proteggere monumenti, fontane, edifici, devastati dal sisma, diventa l'elemento attorno a cui si svolge l'intero racconto. L'allestimento restituisce quell'aspetto provvisorio dei luoghi in trasformazione, della messa in sicurezza, della tutela del patrimonio, diventato ormai proprio di questi piccoli centri urbani.
Il valore di queste fotografie è che sono una denuncia implicita, non esibita, di quello che non è stato nemmeno iniziato e che invece bisognerebbe compiere
Le 24 fotografie in mostra si presentano senza alcuna didascalia. I luoghi ormai privi di identità, non hanno più la necessità di essere identificati, è l'immagine fotografica stessa l'unico elemento riconoscibile. I sei lati dell'esagono infatti rappresentano l'occasione per rileggere il lavoro attraverso una fredda catalogazione. Sei sezioni, costituite da quattro immagini ciascuna, permettono di osservare l'immagine fotografica nella sua essenza e allo stesso tempo restituiscono la disgregazione identitaria di quei luoghi. Dalle macerie sulle strade, agli ambienti interni delle abitazioni, dai ritratti di chi ancora vive quei luoghi, alla natura che lentamente si riappropria della sua terra. Una fotografia intima, silenziosa, dove le stampe di media dimensione, in un severo bianco e nero, pur non rinunciando ad un rigore estetico, rappresentano lo sguardo di un fotografo che in quel territorio è cresciuto.
Così Di Cecco descrive il proprio lavoro: "Le mie immagini hanno una impostazione rigorosa, maturata durante le numerose collaborazioni con studi di architettura, sono un'interpretazione intima dello spazio e dei luoghi". Posta al di là del grande esagono una parete di legno controventata ospita una mappa fotografica del territorio aquilano attraverso una composizione proveniente dall'Aerofototeca Nazionale dell'Istituto, che ci riporta per un istante in quella realtà del territorio prima del sisma. Mentre in una cappella laterale della chiesa un video ripropone il lento attraversamento del territorio, che è alla radice del lavoro di Di Cecco.
"Il valore di queste fotografie", come suggerisce Alberto Saibene in una nota presente nella mostra "è che sono una denuncia implicita, non esibita, di quello che non è stato nemmeno iniziato e che invece bisognerebbe compiere". Di Cecco attraverso le sue lunghe esplorazioni svela un duplice significato dell'identità, quella imposta delle new town costruite ai margini della città de L'Aquila, e quella negata di questo insieme di centri storici minori, ormai dimenticati. Tra le fessure delle assi di legno si intravede, posto su uno dei sei lati interni dell'esagono, una fotografia di Guido Bertolaso, l'ex-direttore del dipartimento della Protezione civile impegnato nel processo di ricostruzione del territorio aquilano, che ci spinge a riflettere sulle responsabilità politiche di questo racconto. Matteo Costanzo (2A+P/A)