“È un vero scheletro di teatro, ma penso che sia l’essenziale”. Così Alberto Burri – uno dei rari artisti italiani effettivo ponte verso gli USA, a cominciare dalla prigionia come “non cooperatore” a Hereford (Texas) nel 1943 – scrive in calce a uno schizzo assonometrico organizzato come una prescrizione medica, resto di una professione mai esercitata.
Ricostruire un atteggiamento di civiltà
Ricostruire oggi il Teatro Continuo di Alberto Burri non ha solo il senso del risarcimento di una ferita o di omaggio nel centesimo anniversario della nascita dell’artista. Significa, anche, ricostruire un pezzo di sistema del paesaggio urbano di Milano, la parte mancante d’un racconto.
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- Giacomo Pirazzoli
- 13 novembre 2014
- Milano
Ecco, dunque, il Teatro Continuo realizzato nell’ambito della sezione “Contatto Arte-Città” della XV Triennale di Milano (1973). Corre il pensiero a ritroso, tra Le Cimetière marin (1920) di Paul Valéry e Ossi di seppia (1925) di Eugenio Montale; ovvero, avanti nella linea del tempo, verso il Grande Cretto realizzato da Burri tra il 1984 e il 1989 in Sicilia, a Gibellina. Per il quale forse vale sostituire “teatro” con “città”: “È un vero scheletro di città, ma penso che sia l’essenziale” – così essenziale da essere stato trasformato mille volte in scenografia teatrale, ancora a confermare il fondativo dialogo tra il teatro e la città.
Ricostruire oggi il Teatro Continuo non ha solo il senso del risarcimento di una ferita – la demolizione legata allo stato di degrado in cui versava nel 1989 compromise i rapporti di Burri con la città di Milano – o quello di omaggio nel centesimo anniversario della nascita dell’artista. Ricostruire è faccenda delicata sempre, a maggior ragione nel caso di un monumento difficile come un teatro, per il suo prima e per il suo dopo, per il dov’era e com’era che di solito fa rumore a priori e attira mugugni immancabili, quanto inutili, nella fattispecie.
Ricostruire è faccenda delicata sempre, a maggior ragione nel caso di un monumento difficile come un teatro.
Ricostruire è, nel caso presente, una mossa filologica plausibile anche grazie ai disegni autografi e alla coerente semplicità che dichiarano. Qualche volta – come per il gruppo della Fontana di Giunone di Bartolomeo Ammannati che ci è capitato di ricostruire a Firenze, al Museo Nazionale del Bargello, nel 500° anniversario della nascita dell’artista – il medesimo termine può avere senso congetturale; dato che in quel caso si tratta di un’opera parzialmente dispersa, disegnata per un luogo – l’allora Sala Grande di Palazzo Vecchio – che da Giorgio Vasari fu trasformato nell’attuale Salone dei Cinquecento, mentre la Fontana veniva scolpita. Di più, un’opera per la quale non sono noti disegni originali, mentre esistevano figure tridimensionali in marmo sparse e qualche vaga descrizione.
Ricostruire è, nel caso presente, una mossa filologica plausibile anche grazie ai disegni autografi e alla coerente semplicità che dichiarano.
Ancora: il verbo ricostruire, in italiano, può avere un significato doppio tra disegno e progetto. Così gli architetti dei Prix de Rome ricostruivano, ridisegnandoli, edifici classici perduti, talvolta riportandoli al Nord, realizzati come dis-placement – ante litteram l’opposto del site-specific. Tradisce ancora il disegno, con aggiunta di aleatorietà, il Palazzo di Giustizia fiorentino di Leonardo Ricci, costruito ovvero ri-costruito basandosi su pochi disegni di massima, oggi imbarazzante architettura postuma quanto il Teatro di Olbia di Michelucci – così come risulterebbe essere, se realizzata ora, la grande scultura-padiglione pensata da Burri stesso per una piazza del suo paese natale, Città di Castello.
Con il Teatro Continuo significa, dunque, ricostruire un pezzo di sistema del paesaggio urbano della città di Milano, parte finora mancante d’un racconto che comprende altri lavori coevi quali i Bagni Misteriosi di Giorgio De Chirico (copia in situ, originale ora al Museo del Novecento) e l’Accumulazione Musicale e Seduta di Arman, ugualmente realizzati per la XV Triennale. Anche se Burri classico getta il cuore un po’ oltre, facendo del Teatro Continuo il caposaldo e la misura dei tracciati che congiungono l’Arco della Pace con la Torre del Filarete nel Castello, e trasversalmente l’Arena civica e il Palazzo dell’Arte, sede della Triennale: quattro architetture di epoche diverse unite da un’opera contemporanea; come appunto avrebbe fatto un architetto classico.
Burri getta il cuore un po’ oltre, facendo del Teatro Continuo il caposaldo e la misura dei tracciati che congiungono l’Arco della Pace con la Torre del Filarete
Ricostruire un site-specific del 1973, e non un generico “oggetto” di varia forma e colore pensato da un artista come “scultura” (o “quadro”) da spostare indifferentemente al luogo, vuole dire ricostruire un’opera radicata in quel luogo, quanto un’architettura della città – chissà se Aldo Rossi avrebbe accettato questa definizione.
Ricostruire tensione verso lo spazio teatrale, questione evocativa di grande significato rispetto alla tradizione milanese fino a tutto il Novecento. Ricostruire un palco a partire dal vuoto aperto all’attraversamento dello sguardo, in attesa delle figura umana.
Ricostruire un’opera cinetica che accoglie una scena variabile; “la piattaforma sarà in cemento, le quinte in ferro, colore naturale delle lamiere da un lato, dall’altro dipinte di bianco (il colore può essere cambiato quando si voglia) saranno girevoli, comandate a distanza, indipendenti. L’amico Enrico Cartelli che è un fenomeno per la meccanica studierà il meccanismo”, così Burri prosegue nella sua prescrizione da medico. La descrizione da catalogo (1990) è: “Base rialzata in cemento armato facciavista 56 x 1.700 x 1.050 cm e 6 quinte 600 x 250 x 25 cm, in acciaio rotanti sull’asse longitudinale, verniciate su una faccia con colore bianco” – tra le sculture. Ricostruire un atteggiamento di civiltà è uno dei significati nascosti dell’impegno di Gabi Scardi, curatrice indipendente, responsabile di “NCTM e l’arte”, progetto di supporto dell’arte contemporanea supportato da privati, lo studio legale associato NCTM; nel contesto di un Paese che riserva ormai da anni alla cultura non molto altro che riforme a costo zero, è il terziario a provvedere.
Ricostruire un atteggiamento di civiltà è uno dei significati nascosti dell’impegno di Gabi Scardi, curatrice indipendente, responsabile di “NCTM e l’arte”.
Ricostruire l’opera tocca all’impresario e collezionista bergamasco Tullio Leggeri – unico al mondo che a prezzo di liti formidabili sia stato in grado di fare per noi la maquette dove i bambini possono salire per capire Forte Pozzacchio (1914), enorme site specific ovvero anti-edificio interamente scavato nella roccia, vicino Rovereto; Leggeri contiamo di incontrarlo nel cantiere del Teatro Continuo di qui a marzo 2015, per proseguire live questi ragionamenti. In definitiva, sarà da ricostruire una linea d'ombra orizzontale e sei verticali; niente tetto: Burri non chiude sopra, non completa il riparo ancestrale, piuttosto fa come un passo indietro rispetto al tipo di lavoro che riconosciamo dell’architetto. Burri lascia le stelle su nel cielo, senza mai nominarle.
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