Ikea è tutto tranne che una “semplice” fabbrica di mobili a buon mercato e non si è inventata solamente di vendere dei prodotti smontati. La questione riguarda il design nei suoi aspetti più nobili - su tutti la democraticizzazione - che il brand svedese negli anni ha onorato affrontando la materia in ogni sua declinazione: prodotti, sistemi, spazi, comunicazione, user experience. Ha anticipato coraggiosamente temi oggi scontati e ha saputo affermare la sua presenza in una misura che va oltre il truciolato e le brugole, tanto che oggi a Londra c’è una mostra dedicata esclusivamente alla borsa di plastica blu con cui la gente esce alla fine di una giornata nei grandi magazzini.
La verità è che quel design che è nomade, fluido, trasformabile, pieghevole, sfoderabile, richiudibile e tutti gli altri concetti che sanno un po’ di pandemia e coronavirus, Ikea li aveva tradotti in prodotti già da tempo e aveva intuito - prima che se ne parlasse così insistentemente - che il ruolo delle aziende d’arredo non è tanto quello di assecondare i comportamenti dei suoi clienti, ma di inventarne di nuovi e introdurli già sottoforma di risposta, ovvero di prodotto.
Partendo da un archivio sterminato di mobili e complementi fotografati negli iconici cataloghi e conservati nell’Ikea Museum - a cui Domus ha fatto visita qualche mese fa - e incentivata anche dal fenomeno abbastanza spontaneo di re-selling di vintage, Ikea da un po’ di tempo ha deciso di rimettere a “catalogo” alcuni dei pezzi che l’hanno resa celebre.
Li hanno osservati, provati, “aggiustati” per renderli più adatti al presente. E quegli oggetti, invecchiati veramente bene, sono tornati sul mercato in varie fasi negli ultimi mesi. Nei prossimi giorni la collezione Nytillverkad, di cui fanno parte sedute, mobili contenitori, ma anche tessili e decorazioni, tutti creati tra gli anni ‘50 e ’80, si arricchirà di una selezione ulteriore di pezzi. In gallery i preferiti di Domus.
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