Tra i colossi che oggi stanno lavorando alla costruzione di un metaverso ci sono Facebook/Meta e Microsoft, ma anche protagonisti del mondo dei videogiochi come Epic Games (che con Fortnite sta creando una sorta di metaverso dedicato al solo intrattenimento), la piattaforma Roblox, la cinese Tencent e addirittura realtà apparentemente estranee come Tinder.
Che cos’è il metaverso? È un mondo digitale e immersivo, a cui accedere principalmente – ma non esclusivamente – tramite la realtà virtuale. Non più un semplice videogioco in VR, ma un ambiente aperto in cui incontrare gli avatar degli amici, fare shopping nei negozi specializzati in accessori digitali, assistere a concerti, andare in discoteca e anche lavorare, sostituendo le riunioni su Zoom con meeting immersi in un ambiente VR.
E quando arriverà il metaverso, diventando effettivamente realtà? In verità, non ci sarà un giorno preciso in cui il metaverso sarà ufficialmente inaugurato: già oggi strumenti come Horizon Workrooms di Facebook/Meta (pensato per le riunioni di lavoro) o ambienti come AltSpaceVR (più simile a un social network immersivo) di Microsoft rappresentano degli embrioni di metaverso, che espandendosi e ampliando le loro funzioni con il passare del tempo si trasformeranno gradualmente in un metaverso compiuto.
La vera sfida per il futuro sarà rendere interoperabili tutti questi metaversi separati e creare un vero e proprio mondo virtuale, aperto e interconnesso. Ma prima di tutto, guardiamo al passato, per capire da dove arriva il concetto di Metaverso.
Che cos'è il metaverso? Una breve storia dal cyberpunk a Mark Zuckerberg
Oggi le Big Tech lo raccontano come il luogo del futuro, dove passeremo molto del nostro tempo. Ma trent’anni fa, quando il cyberspazio entrò nel nostro immaginario, era un posto squallido e pericoloso. Com’è successo che ora vogliamo viverci?
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- Andrea Daniele Signorelli
- 19 novembre 2021
All’improvviso, decise di togliersi il visore per la realtà virtuale e uscire dal metaverso. Dopo lungo tempo, si ricordò così del calore del sole, della freschezza dei fiumi, del vento sul volto. Tutte sensazioni che, immerso in un ambiente digitale, non era più stato in grado di provare. Colpito dal ritrovato contatto con il mondo fisico, avrebbe voluto tornare nel metaverso solo per avvertire i suoi compagni, ancora rinchiusi nella realtà virtuale, della ricchezza di ciò che potevano trovare là fuori.
Subito, però, si rese conto che avrebbe anche dovuto spiegare che nel mondo fisico non ci si può teletrasportare, non si può volare e si rischia di farsi male per davvero. Il mondo fisico che a lui aveva restituito sensazioni così forti, per i suoi compagni del metaverso sarebbe stato un ambiente monco, ancorato a limiti fisici ed esperienziali. Per loro, era il metaverso a rappresentare il mondo reale. Il luogo in cui lui aveva invece deciso di tornare era un luogo impoverito e limitato. Ogni tentativo di convincerli del contrario sarebbe stata fatica sprecata.
Il mito della caverna di Platone – che oggi potremmo quasi definire distopico – torna utile ancora una volta per mettere in evidenza rischi, opportunità e limiti del metaverso: la replica digitale e aumentata del mondo fisico, da vivere in realtà virtuale e a cui stanno lavorando società come Meta di Mark Zuckerberg, Epic Games (quella di Fortnite), Tencent con Roblox, Microsoft e non solo. È un ambiente digitale che viene venduto come un mondo da sogno: una versione più ricca e priva di limiti della realtà, in cui immergerci ogni volta che ci sarà l’occasione giusta per farlo. Un’utopia.
È però la stessa decisione di utilizzare il termine “metaverso” a rivelare l’ambivalenza di questa colossale scommessa digitale. In ogni sua iterazione letteraria, il metaverso si è sempre realizzato in un mondo distopico. Non solo: questi metaversi narrativi spesso non sono altro che una grigia replica del mondo fisico o un freddo ambiente popolato da forme geometriche in bianco e nero. La prima versione di metaverso, con il nome però di cyberspazio, è quella che ritroviamo nell’opera base del genere cyberpunk, Neuromante di William Gibson. Qui, il cyberspazio è la rappresentazione grafica dell’informazione che connette tutti i database e i computer del mondo. Niente di straordinario, insomma: una sorta di versione in realtà virtuale di internet. Che però nasconde parecchi pericoli.
L’incarnazione successiva è invece del 1992 e si trova all’interno di un altro classico del cyberpunk: Snow Crash, di Neal Stephenson. È su queste pagine che appare per la prima volta il termine “metaverso”, per indicare il luogo virtuale in cui gli utenti si immergono per sfuggire a una società post-democratica e dominata da megacorporation di stampo mafioso. Il metaverso di Stephenson è però tutto tranne che idilliaco: è un luogo insidioso, spesso squallido, in cui si è diffusa la droga/virus “Snow Crash” che mette a rischio la vita degli hacker che lo frequentano. Certo, può anche essere divertente – sicuramente il protagonista Hiro si diverte nelle sue sfide virtuali con la Katana – ma di certo non è stato creato a scopo di intrattenimento.
Anche il metaverso di Stephenson ricorda una replica più o meno fedele del mondo reale, con qualche aggiunta: “[Hiro] si trova in un universo informaticamente generato che il computer sta creando nel suo visore e spingendo nei suoi auricolari. In gergo, questo posto immaginario è noto come il Metaverso. [...] Gli sviluppatori [...] possono costruire edifici, parchi, segnali e anche cose che non esistono nella Realtà, come grandi spettacoli di luci sospese sopra le nostre teste, quartieri speciali dove le regole dello spaziotempo tridimensionale sono ignorate e zone di combattimento libero dove le persone possono darsi la caccia e uccidersi a vicenda”.
E poi c’è Matrix, che nel 1999 porta il metaverso a un nuovo livello da incubo: lì, il mondo virtuale è una fedelissima replica di quello fisico, costruita dalle macchine allo scopo di tenere buoni gli esseri umani che, nella realtà, vegetano in una sorta di allevamento intensivo utilizzato per sfruttarne il calore e la bioelettricità naturali. In ognuna di queste opere, quindi, il metaverso (o cyberspazio, o Matrix) è un luogo più da incubo che da sogno. E forse proprio quella di Matrix è l’allegoria migliore del metaverso che sta nascendo nella nostra realtà, in cui ci viene offerto un eden virtuale per nascondere la testa sotto la sabbia e condurre simulacri soddisfacenti di vita, mentre là fuori impervia la catastrofe climatica, la pandemia, le diseguaglianze e lo sfruttamento. Eccolo, il metaverso promesso da Zuckerberg: un ambiente in cui possiamo invitare nelle case digitali gli avatar degli amici anche se c’è un lockdown, in cui potremo sciare anche quando la neve non esisterà più, in cui possiamo già oggi fingere di vivere in ville meravigliose anche se nella realtà siamo costretti a vivere con dei coinquilini fino a 40 anni.
L’ambiente immaginato dalla controcultura hacker e anarchica come monito anticapitalista viene cooptato dallo stesso capitalismo, che lo fa suo, lo reimpacchetta e ce lo rivende; ribaltandone interamente la concezione negativa che ne è alla base, ma mantenendone lo stesso nome (suona quasi una beffa). Non è la prima volta: l’internet aperto degli albori – che doveva liberare da ogni vincolo l’informazione, la cultura e anche l’umanità – si è trasformata nei giardini recintati di Facebook, Google e gli altri colossi digitali. La sharing economy che doveva liberarci dal lavoro salariato si è concretizzata nello sfruttamento della gig economy di Uber e Deliveroo. I bitcoin e la blockchain che dovevano sovvertire l’ordine finanziario sono diventati il nuovo giocattolo di hedge funds e speculatori che con essi si sono arricchiti ancora di più.
E adesso è il turno del metaverso di Meta/Facebook, che invece di creare, come scrive il New York Times, “una nuova frontiera digitale dove le norme sociali e i sistemi di valore vengono riscritti da capo, liberati dalla sclerosi culturale ed economica” diventa vittima di Mark Zuckerberg, che con la sua scarsissima fantasia da ingegnere miracolato non riesce a immaginare altro che riunioni di lavoro con avatar dei colleghi, serate casalinghe con avatar di amici e partite a ping pong con avatar dei parenti.
La domanda inevitabile da porsi, quindi, è perché mai dovremmo vivere un simulacro della realtà fisica che annoia anche solo raccontarlo. A questo punto, possiamo solo augurarci che abbia successo e ci trascini al suo interno il metaverso che sta costruendo Epic Games attraverso Fortnite. Per lo meno – in base a ciò che ne sappiamo oggi – il mondo digitale di Fortnite non ricorda tanto Snow Crash, ma semmai l’unico metaverso di cui finora non abbiamo parlato: quello di Ready Player One, che si chiama Oasis e se non altro ha il vantaggio di essere incredibilmente divertente: corse clandestine, combattimenti spaziali, discoteche in cui si balla volando e tutto quello che vi potete immaginare.