Il numero di settembre di Domus 1049 si concentra sul futuro del dinamismo urbano, analizzando le caratteristiche che lo rendono ben più di una somma delle sue parti. David Chipperfield nel suo editoriale riflette su come le nostre idee sulla città sono messe sostanzialmente in discussione dal modo in cui esse si sono sviluppate negli ultimi 50 anni, affermando che “la storia della città è la storia della civiltà”.
Nell’Agenda di questo mese Rowan Moore analizza i valori sociali e storici fondamento degli spazi urbani, avvertendo che le classiche forme d’impegno civico e quelle dell’edilizia speculativa “sono ingannevolmente simili” nella loro rigidità. Jennifer Hattam scrive dalla Turchia, dove i programmi di edilizia di massa finanziati dallo Stato pretendono di creare “città nuove”. Infine, Vittorio Magnago Lampugnani documenta il tanto celebrato centro storico, delicato palinsesto di valori sedimentati, che non si possono conservare come investimento né riprodurre per imitazione formale.
Chipperfield incontra l’architetto indonesiano Andra Matin, il quale spiega il suo particolare metodo di lavoro, che collega tradizioni costruttive locali differenti con le aspirazioni moderniste sperimentate in tutto il mondo per creare progetti caratterizzati da resilienza ambientale, credibilità sociale e bellezza. Per Affinità ci spostiamo, invece, a Berlino, dove lo studio di Arno Brandlhuber ha completato un nuovo complesso residenziale, presentato accanto ad altri due edifici di abitazioni realizzati da studi di architettura di sensibilità affine, che raccolgono la sfida di offrire uno spazio di vita di grande qualità a buon mercato.
Nella sezione Design e Arte, Jimena Acosta Romero sostiene un design intersezionale e femminista, che deve interrogare costantemente la propria logica per poter contribuire all’equità sociale. La rubrica mensile curata Jasper Morrison e Francesca Picchi analizza il design danese dal 1920 al 1970, periodo di “coerenza, perfezione e raffinatezza”. Mentre crescono le affermazioni revisioniste relative a statue e memoriali, Anja Löesel commenta la quieta potenza degli Stolpersteine, le pietre d’inciampo di Gunter Demnig in memoria dei perseguitati dal regime nazista. Stanislaus von Moos, ripercorrendo attraverso i secoli la storia delle costruzioni come filo conduttore dell’arte, colloca il lavoro del duo Peter Fischli e David Weiss nell’ambito di una tradizione più vasta, come eredi e progenitori di un coinvolgente dialogo multidisciplinare.
Tra le Riflessioni, osserviamo i primi taccuini di schizzi di Álvaro Siza per un progetto di edilizia sociale portoghese a cui avrebbe lavorato per 20 anni. A Baltimora, Justin Hollander analizza il modo in cui la città, in via di spopolamento, può ridimensionarsi entro nuovi confini, grazie a una combinazione di tecnologia, partecipazione comunitaria e competenza urbanistica. Proseguendo nella nostra esplorazione dei rapporti personali con il luogo Svetlana Aleksievič, premio Nobel, ci offre un brano sull’accumulo di vita vissuta nella cucina dell’era sovietica. Fulvio Irace rivisita dall’archivio di Domus gli ideali utopici espressi nella realizzazione della Brasilia modernista di Lúcio Costa e Oscar Niemeyer, poco apprezzata dall’Europa degli anni Sessanta, prova della differenza tra urbanistica e condizione urbana.
Nel Diario di questo mese, pagine dedicate all’attualità, Simone Paliaga ci parla di come cambierà da settembre l’organizzazione scolastica, orientata a diventare più flessibile e collaborativa. Elena Sommariva intervista Giulio Ceppi, unico architetto del comitato interdisciplinare nominato dalla ministra italiana per l’Istruzione Lucia Azzolina. Nella sezione dedicate all’arte Valentina Petrucci analizza l’opera del giovane artista tarantino Roberto Ferri, il quale nelle sue tele rimedita la grande tradizione della pittura barocca. Silvana Annichiarico continua con la selezione di tre talenti emergenti nel mondo del design. Il direttore editoriale Walter Mariotti conclude la sezione con la rubrica Pausa caffè, in una conversazione con Franco Bernabè, manager trentino, italiano e globale che ha guidato alcuni tra i maggiori gruppi industriali del Paese.