“Nel 1954 il governo svedese commissionò la costruzione dell’acceleratore di particelle più grande del mondo. La costruzione fu completata nel 1969, diversi metri sotto la zona rurale di Mälaröarna. La popolazione locale chiamò quella meraviglia tecnologica: The Loop. Queste sono le sue strane storie”.
Con questa specie di backstory viene introdotto Tales From The Loop, il volume che riunisce diverse illustrazioni di Simon Stålenhag e che adesso è servito come ispirazione per una serie tv antologica di 8 episodi dallo stesso titolo, messa online da Amazon Prime Video. Sono illustrazioni accomunate da un medesimo spirito e tema, ogni puntata prende spunto da una di esse per creare una trama di fantascienza. Sono paesaggi di campagna svedese in cui compaiono artefatti tecnologici da un futuro-passato, oggetti molto più avanzati rispetto all’ambiente che li circonda (gli anni ‘70 e ‘80 svedesi) ma che sembrano vecchissimi, arrugginiti, passati, ormai abbandonati. Reliquie del futuro.
Il libro di illustrazioni che ha ispirato Tales From The Loop, la nuova serie Amazon
Il titolo è esattamente lo stesso e il suo autore è l'illustratore Simon Stålenhag, un maestro nel coniugare paesaggi rurali e retrodesign. Una storia che comincia nel 2015, con una campagna Kickstarter.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
Simon Stålenhag, Tales from the Loop, 2014.
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- Gabriele Niola
- 15 aprile 2020
Tales From The Loop è decisamente la prima serie tv basata su un libro di illustrazioni. Un esercizio di passione per la fantascienza (essendo antologica ogni puntata affronta una storia diversa con protagonisti diversi presi dal paesino che sorge sopra l’acceleratore) in cui ogni episodio ha a che fare con un aspetto diverso di ciò che sogniamo, temiamo e ci aspettiamo dal futuro più sfrenato: dimensioni parallele, viaggi nel tempo, premonizioni… Se spesso il cinema di fantascienza ha sfruttato il design per dare credibilità alle sue storie future, qui è il design che usa la fantascienza per gonfiarsi di senso. Non è Black Mirror, in cui ogni puntata ha proprio uno stile diverso e in certi casi è ambientata in un altro mondo, tutto qui parte da quello strano mix tra inquietante, disperato, solitario e fallito che si trova in questi disegni alle volte fintamente lieti, altre dichiaratamente grigi.
Quella di Simon Stålenhag è una storia di successo conquistato da sé, nel 2015 infatti aveva raggiunto una tale fama e un tale seguito online, proprio postando questo tipo di lavori, da far partire una campagna kickstarter per realizzare una pubblicazione. I dollari raccolti furono 321mila e, una volta pubblicato, questo primo volume è stato un bestseller (nei 5 anni successivi ne ha realizzati altri due, Things From The Flood e The Electric State). Simon Stålenhag è stato poi contattato anche per lavori pubblicitari come realizzare le illustrazioni per la promozione del videogioco No Man’s Sky. Curiosamente un altro lavoro in cui il protagonista era il paesaggio (il primo videogioco in cui l’esplorazione non ha limiti, i pianeti visitabili sono infiniti perché generati automaticamente).
La ragione per la quale proprio da queste illustrazioni è nata una serie tv (ma se è per questo tramite kickstarter sono arrivati anche un gioco di ruolo e uno da tavola) è che Stålenhag centra perfettamente il mix tra nostalgia per gli anni ‘80 di Stranger Things con la passione per il design industriale che popola la fantascienza contemporanea. “Le parti dell’immagine su cui lavoro di più sono quelle che servono ad unire gli elementi di fantascienza con il paesaggio, l’abbigliamento e tutto quello che è stato reale, roba che viene dalla mia infanzia e adolescenza”, c’è insomma in quelle illustrazioni un’attenzione pari sia nel creare astronavi o sfere con cavi, sia nel riprendere un certo modello di Mercedes o Saab, un certo giacchetto o un diner.
I paesaggi rurali, raramente materia da fantascienza, diventano posti dedicati all’abbandono tecnologico. Come se la città, luogo invece d’elezione della modernizzazione, scaricasse i suoi scarti in campagna e li lasciasse arrugginire.
Niente di tutto questo viene detto, tutto è suggerito. La semplicità rurale e soprattutto i vasti scenari vuoti, freddi e alieni all’uomo di cui trabocca la Svezia sono uniti con una pregnanza incredibile a macchinari a tratti amichevoli (bellissimo il design che fornisce ai suoi robot, ogni tanto animaleschi come giganteschi T-Rex benevoli, altre volte incredibilmente empatici come cani fedeli) ma sempre capaci di suggerire tutt’altro. Le illustrazioni di Stålenhag sono perfette per fare da ispirazione per una serie perché in esse ciò che si vede è importante tante quanto quel che non si vede ma è suggerito. Come siamo arrivati a questa scena, cosa ha portato quegli artefatti in quella posizione, a cosa sono serviti in passato, che legame hanno stretto con la popolazione locale.
La tecnologia è quasi sempre molto più grande dell’elemento umano e abita il paesaggio dominandolo, ma il suo design è ben più raffinato del solo gigantismo. Tutti gli oggetti sono accomunati da linee coerenti, non sono eterogenei nella progettazione ma sembrano usciti dalla stessa fabbrica, o quantomeno sembrano basarsi sui medesimi principi tecnologici. È quindi il loro design, a dare un’idea di futuro ben precisa, uno che mantiene forti basi utilitaristiche e commerciali (si intuisce che tutti questi artefatti avevano funzioni ben precise) ma che non vuole per nulla integrarsi con la natura, spezzando anzi quei colori e quelle forme. Come le gigantesche pale eoliche che sorgono nelle zone più ventose, così questi elementi si innestano con prepotenza anche quando sono giganti addormentati, velieri abbandonati e riconquistati dalla vegetazione.
Non a caso Simon Stålenhag viene dai videogiochi, prima di sfondare definitivamente e diventare illustratore a tempo pieno, quando ancora pubblicava solo online i suoi lavori, era designer di videogiochi, per i quali creava robot e hovercraft e mai poteva esplorare la sua infanzia e quella parte di sé e del paese che lo circonda che invece è così importante nella sua visione della fantascienza.
La serie tv di Amazon non è ambientata in Svezia anche se cerca di replicare paesaggi molto simili e soprattutto il tono solitario (televisori scandinavi degli anni ‘60, telefoni a rotella sono stati spediti in America direttamente dalla Svezia per poterli inserire nell’arredamento), di certo però coglie l’aspetto più paradossale e inaspettato di queste commistioni con storie sorprendenti ed umanissime.