La differenza tra i due film di Dune diretti da Denis Villeneuve e la nuova serie Hbo Dune: Prophecy, in Italia su Sky, sta nascosta nei credits. Nella serie, la scenografia è curata da Tom Meyer, che in curriculum ha una serie di film tra fantascienza e supereroi caratterizzati da un design abbastanza generico e poco rilevante. Nei film di Villeneuve, invece, c’era Patrice Vermette, collaboratore storico del regista e già responsabile del design eccezionale di Arrival. Inoltre, nella serie è presente un concept designer il cui lavoro maggiore, prima di questo, è stato Tenet di Christopher Nolan, una produzione importante che però non brillava per il design; nei film di Villeneuve, invece, erano stati coinvolti due concept designer già utilizzati per Blade Runner 2049, un film che è un traguardo significativo dal punto di vista visivo.
La nuova serie di Dune ha un design tutto sbagliato
Scordatevi la potenza dei film di Villeneuve, o le intuizioni di quello di Lynch: Dune: Prophecy, il nuovo telefilm di Hbo, scopiazza il Trono di Spade e fallisce il bersaglio.
View Article details
- Gabriele Niola
- 21 novembre 2024
La serie è prodotta dalla Hbo, forse la realtà più esperta e titolata quando si parla di serie tv americane, ma l’impatto visivo è molto più vicino a un riciclo di quanto già prodotto dalla stessa Hbo, piuttosto che a Dune, che nella sua versione cinematografica ha proprio nell’estetica e nel design uno dei suoi punti di forza.
Dune: Prophecy si presenta come un’operazione modellata su Il Trono di Spade, con lo stesso passo, la medesima organizzazione narrativa e una struttura a famiglie rivali, ma manca dell’estetica e della profondità visiva che caratterizzano i film di Villeneuve.
Per questo la serie parte malissimo. Ambientata 10mila anni prima della nascita di Paul Atreides, il protagonista dei due film che lì era interpretato da Timothée Chalamet, racconta la genesi della sorellanza delle Bene Gesserit, un ordine mistico che coltiva e custodisce il potere spirituale nell’universo narrativo di Dune. È una storia di conquista del potere e di lotta per. Tuttavia l’ispirazione non sembra il mondo di Frank Herbert, ma quello di Il trono di spade. E non a caso.
Il più grande successo della Hbo è proprio Il trono di spade, tanto che hanno prodotto anche una serie che funge da prequel a quella storia: House of the Dragon. Dune: Prophecy si presenta come un’operazione modellata su quella, con lo stesso passo, la medesima organizzazione narrativa, struttura a famiglie rivali e un centro narrativo incentrato sulla conquista del potere. Forse per questo il design, nonostante in alcuni momenti abbia accensioni di pura fantascienza, risuona maggiormente di un’eco medievale. Il desiderio di somigliare al Dune cinematografico, per attirare il pubblico (numeroso) che ha visto i film, è evidente nelle palette di colori e nell’uso di grandi ambienti vuoti e spogli e scarsa illuminazione negli interni, ma lo stile non riesce ad avere il sapore di un futuro lontano e diverso e resta più che altro ancorato al passato.
La giustificazione narrativa è semplice: questa è una serie ambientata nel passato dell’universo di Dune. Tuttavia rimane un racconto di fantascienza che non restituisce mai quel sapore, e anche il design dei costumi, quando non segue pedissequamente gli standard dei film, vira molto più verso il fantasy. Da questa scelta estetica discende tutto il resto. La fantascienza è quel genere in cui, in una forma o nell’altra, viene raccontato il contrasto tra la materia e lo spirito, ovvero come, in un futuro tecnologicamente avanzato o regredito, lo spirito umano lotti per non essere soffocato dal materialismo. Questo conflitto si manifesta a volte nella tecnologia, altre nelle dittature, nel controllo o persino in una distruzione causata dalla tecnologia che ha condizionato la mentalità delle persone.
In Dune: Prophecy, nonostante ci troviamo dopo una catastrofe tecnologica (una guerra contro le macchine), non emerge nulla di ciò. I due film di Villeneuve sono riusciti a rendere quella fusione eccezionale di misticismo, militarismo e tecnocrazia dei romanzi. Nella storia di Paul Atreides è chiaro già visivamente come il mondo in cui gli eventi si svolgono sia sospeso tra un progresso tecnologico avanzatissimo e uno spiritualismo altrettanto sviluppato, tra controllo mentale e controllo tecnologico.
Il primo dei due film inizia con un tentativo di assassinio di Paul Atreides tramite un espediente altamente tecnologico, sventato da una premonizione, e prosegue con un test mistico cui Paul è sottoposto, che ne suggerisce capacità sovrumane. Senza contare la presenza ingombrante dei vermoni del deserto, mostri che vengono tenuti a bada con la tecnologia o domati manualmente.
Dune: Prophecy invece non è nulla di tutto questo. È una serie che, come spesso accade nella serialità, si basa sulla parola e sui dialoghi (che tuttavia non hanno la potenza di quelli di Il trono di spade) e non riesce mai a replicare le classiche opposizioni logiche né nella storia né nel design. Vediamo la nascita della "voce", la tecnica psicologica che consente di controllare gli altri, ma manca un contraltare tecnologico. Vediamo lo spazio e le astronavi ma manca la parte spirituale. Ci sono i classici: gli intrighi, gli avvelenamenti e il più tipico dei personaggi misteriosi, la cui identità ed economia non sono chiare, ma che è stranamente potentissimo (un espediente abusato sia in Il trono di spade che in Westworld), e che somiglia più a un barbaro delle montagne che a un ribelle di un mondo futuro.
Il design dei costumi in Dune: Prophecy, quando non segue gli standard dei film, tende ad avvicinarsi più al fantasy che alla fantascienza, compromettendo ulteriormente l'immersione nel mondo futuristico di Dune.
Già il Dune di David Lynch negli anni ‘80, nonostante sia stato un grande fallimento, era stata una grande operazione di ricerca e design, inventava una forma di futuro fatto di vapore e ottone, metallo e tubi, ma usava la carne, la pelle distrutta, il sudore e tutto ciò che appare respingente per bilanciare la parte tecnologica. Era un film concepito benissimo, con alcune scene ancora oggi potenti, funestato da una produzione complicata. La serie aveva il vantaggio di potersi appoggiare a una coppia di film che gli hanno invece indicato la via giusta, ma è pure chiaro che quel tipo di lavoro estremamente sofisticato mal si adatta alla produzione più svelta e “industriale” di una serie tv, e il fatto che Denis Villeneuve che ora risulta produttore si sia in realtà sfilato dalla realizzazione è indicativo.
Se una cosa però Dune: Prophecy insegna è che anche il più importante dei cicli narrativi, anche il più ricercato dei setting e la più affascinante delle ambientazioni o il più lanciato dei brand non è niente senza una dimensione visiva che lo sorregga e gli dia credibilità. Un design inefficace o fuorviante in un film o una serie di fantascienza è esattamente quello che fa la differenza tra credere a ciò che vediamo e non crederci. Inventare un futuro non è solo una questione di immaginare degli eventi e una mitologia, ma anche una direzione che ha preso la società e come questa sia espressa dagli oggetti, dalle costruzioni, dai mezzi di trasporto, dai materiali, dall’uso delle luci e via dicendo. Il futuro di Dune: Prophecy non ha la credibilità giusta per la sua saga, non ha il sapore del futuro e soprattutto non ha nessun fascino estetico. Come si può rimanere catturati con così poco?