Maurizio Cattelan è un habitué degli scandali. Tutte le sue produzioni – dal monumentale dito media sulla piazza della Borsa di Milano (L.O.V.E., 2010), alle toilette in oro al MoMa di New York (America, 2016) alla banana appesa al muro con del nastro adesivo (Comedian, 2019) – sono state accompagnate da strascichi di polemica, anche al di là delle frontiere protette del mondo dell’arte.
A tal punto che il buzz virale, le onde di choc mediatico, la proliferazione di eco su instagram e sulle reti sociali, costituiscono un elemento fondamentale non solo del carisma sulfureo dell’artista ma anche della sua stessa opera: non più come virtuoso della tecnica ma della comunicazione.
Ma questa volta lo scandalo non l’ha provocato lui. L’artista si ritrova, insieme al suo gallerista Emmanuel Perrotin e l’istituzione parigina La monnaie de Paris sotto processo per una questione di proprietà intellettuale. Un processo che si annuncia come epocale perché mette in questione tutto un mondo, quello dell’arte contemporanea, che si è strutturato su una separazione tra concetto e tecnica. Il caso nasce dalla denuncia dello scultore francese Daniel Druet, due volte premiato con il prestigioso prix de Rome, ma sconosciuto al pubblico.
Druet, dopo aver messo il suo talento nella riproduzione di statue iperrealiste di cera al servizio del museo Grevin di Parigi e realizzato un busto in bronzo del presidente Mitterand, ha creato per Cattelan una serie di sculture, diventate delle vere e proprie icone della produzione dell’artista: dal papa Giovanni Paolo II schiacciato da un meteorite (La Nona Ora, 1999) al celeberrimo Hitler infante in preghiera (Him, 2001), dal busto di Stephanie Seymour (Trophy Wife, 2003) a John F. Kennedy nella sua bara (Now, 2004), ai bambini impiccati a un albero (2004), fino ai numerosi cloni dell’artista stesso, in diverse posture e situazioni. Tutte opere che hanno, puntualmente, attirato l’attenzione dei giornali, suscitato dibattiti e tensioni, per poi essere vendute a prezzi vertiginosi. Ora Druet rivendica il suo statuto di autore.
se Druet vince, tutti gli artisti saranno colpiti, e sarà la fine dell’arte contemporanea in Francia…
A quanto si legge nelle dichiarazioni rilasciate ai giornali, non solo la situazione contrattuale non è mai stata trasparente, ma le istruzioni date dall’artista sono sempre state estremamente vaghe, lasciando allo scultore un importante margine di invenzione. Se da una parte Cattelan e il suo gallerista sottolineano che la prestazione dello scultore è stata regolarmente pagata, dall’altra Druet considera che il suo nome non è mai stato associato né citato alla creazione e ribadisce il suo ruolo d’autore e non di semplice artigiano. E, sul piede di guerra, nel 2018, ha cominciato la sua rappresaglia con un atto simbolico, presentato in una galleria parigina una statua, sempre di cera, in cui rappresentava lo stesso Cattelan che sbuca da un uovo, “come un uccello che ruba il nido degli altri”. Ma poi ha deciso di passare per le vie legali.
Il primo atto del processo, il 13 Maggio, è stato molto atteso, non solo per la celebrità dei protagonisti implicati, ma perché tocca nel vivo uno dei cardini del sistema dell’arte contemporanea. Come spiega Perrotin, “se Druet vince, tutti gli artisti saranno colpiti, e sarà la fine dell’arte contemporanea in Francia…” Niente di meno. In effetti, il tribunale di Parigi si trova a deliberare sullo statuto d’autorialità di un’opera prodotta nell’ambito di quello che i critici chiamano “il regime concettuale dell’arte”.
Da Duchamp, che aveva attribuito un statuto di opera a un oggetto del quotidiano, prodotto industrialmente, l’arte si è emancipata dalla tecnica e persino dall’estetica per definirsi come idea, come concetto. Questa forma inedita di legalità attribuisce all’artista il potere di definire arte qualsiasi oggetto o frammento del mondo, anche non prodotto direttamente da lui. È in virtù di questo principio, che Cattelan, autore dell’idea dell’opera, rivendica la sua paternità e proprietà intellettuale – contro Druet, autore dell’oggetto, che difende la posizione tradizionale dell’artista come artefice e artigiano. È questo il nodo gordiano che il tribunale di Parigi deve sciogliere. Si capisce allora che il mondo della cultura e del mercato stia con il fiato sospeso: non si tratta semplicemente di regolare un contenzioso, ma di deliberare sullo statuto dell’arte contemporanea.
Immagine in apertura: La Nona Ora (The Ninth Hour), 1999, Maurizio Cattelan, scultura di Daniel Druet, Guggenheim di New York, 2011