Esiste soltanto in fase embrionale, non è chiaro come evolverà, quanto si diffonderà e nemmeno se terrà fede alle sue promesse. Nonostante questo, il web3 è uno dei termini più discussi degli ultimi mesi (assieme a “metaverso”, “NFT” e parecchi altri del mondo digitale).
Con il web3, in breve, tutti gli utenti che vogliono possono prendere parte all’economia digitale e alla governance delle piattaforme, restituendoci così il potere che ci è stato sottratto dai grandi colossi del web 2.0. Ecco com’è nato, come si sta evolvendo e alcuni esempi rispetto a dove potrebbe portarci.
Le origini del web3
Per capirlo, è necessario un passo indietro. Nella seconda metà degli anni ’90, assieme alla diffusione commerciale di internet, iniziammo a navigare in rete grazie alla prima incarnazione del web. I siti web non erano interattivi, non era possibile commentare o condividere nulla da nessuna parte (potevi però già inviare i link via mail). Ciò che avevamo di fronte erano pagine web statiche di aziende e di giornali o in alcuni casi siti amatoriali.
Nei primi anni del 2000 iniziò a diffondersi quello che il guru di internet Tim O’Reilly battezzò “web 2.0”. Per capirci, è una versione del web in cui è possibile non solo leggere, ma contemporaneamente anche scrivere. La piattaforma che meglio incarna lo spirito di questa seconda generazione del web è Wikipedia: la stessa pagina di testo che stiamo leggendo può essere da noi aperta e modificata, trasformandoci da lettori passivi in partecipanti attivi. Il termine inglese è “prosumer”: crasi tra “producer” e “consumer”.
È la forma di internet che dà vita ai blog, ai forum, a piattaforme come Tumblr. È ciò che permette a chiunque di partecipare alla creazione collettiva del web. Tutto ciò raggiunge il suo apice – nel bene e nel male – con i social network. Facebook, Twitter e Instagram, da un certo punto di vista, sono lo stadio conclusivo del web 2.0: consentono di partecipare attivamente e di scambiare contenuti nel modo più semplice e immediato possibile. Allo stesso tempo, però, ci rinchiudono all’interno dei loro “walled garden”, raccolgono una marea di dati privati su di noi e poi ci bombardano di pubblicità basata su di essi. È tutto gratis, ma noi siano prodotti venduti agli inserzionisti, senza alcuna voce in capitolo.
Come funziona il web3
È soprattutto questo l’aspetto sul quale il web3 vuole intervenire. Oltre a leggere e scrivere, questa terza generazione ci dà la possibilità di “possedere” quote delle piattaforme a cui partecipiamo. Più quote possediamo, più voce in capitolo abbiamo sulle decisioni da prendere relative alla governance della piattaforma in questione. Non solo: poiché queste quote prendono la forma di criptovalute, se la piattaforma a cui partecipiamo ha successo, e quindi un numero maggiore di persone vuole acquistarle, queste aumentano di valore consentendo a chi più ne possiede (o prima ha investito) di guadagnare.
“Ciò che avviene sull’internet decentralizzato viene scelto dagli investitori, mentre sulla rete principale è deciso da Twitter, Facebook, Google e un piccolo numero di altre aziende”, ha spiegato in un’audizione al congresso statunitense Brian Brooks (fondatore della società Bitfury, attiva nel settore della blockchain). È in questo senso che il web3 è decentralizzato: il potere e il controllo vengono distribuiti a chiunque voglia prenderne parte.
Esempi di web3
Un paio di esempi possono aiutare. Reddit, per esempio, sta pensando di implementare dei token (chiamati Community Point) da distribuire agli utenti più attivi (o che producono i contenuti più apprezzati). Più token si posseggono, più voce si ha in capitolo nelle scelte della piattaforma. Sfruttando la blockchain, sarebbe ovviamente possibile anche vendere ad altri i propri token.
Un altro esempio di web3, strettamente legato alla blockchain, è invece il gioco Axie Infinity, che permette di collezionare, allevare, addestrare e far combattere dei mostriciattoli (sì, in stile Pokemon). Per possedere questi “axies” bisogna però acquistarli tramite criptovalute, così com’è necessario comprare accessori o poteri per renderli più forti. Axie Infinity è però anche una forma di investimento, dal momento che – al contrario dei giochi tradizionali – chi vince le battaglie vince anche premi in apposite criptovalute.
In questo e altri giochi simili è poi possibile rivendere i propri personaggi, affittarli ad altri giocatori che non hanno il capitale iniziale necessario (conquistando una quota delle loro vittorie) e altro ancora. È un esempio di web3 perché, oltre a essere basato su blockchain e criptovalute, permette di far parte integralmente dell’economia del videogioco.
In altri casi, invece, ci si trova davanti a un’economia della partecipazione. Filecoin è un programma collegato a blockchain che consente di mettere in condivisione una parte libera del proprio hard disk, per consentire ad altri di salvare qui (e in numerose altre copie) i dati che altrimenti caricherebbe sul cloud centralizzato. Chi offre il proprio spazio, riceve in cambio delle criptovalute che poi può scambiare sul libero mercato.
Le potenzialità del web3
Questi sono tutti esempi embrionali, ma già attivi, di web3: una rete che consente quindi di partecipare all’economia e alla governance della rete. In prospettiva, però, le massime potenzialità del web3 si riveleranno quando – e se – tutte le singole piattaforme che fanno parte della terza generazione di internet saranno connesse tra di loro.
In questo modo, sarebbe per esempio possibile utilizzare i token conquistati mettendo a disposizione il nostro hard disk su Filecoin per acquistare degli “axies” e vincere delle battaglie, per poi rivenderli in cambio di Community Point che ci rendano sempre più attivi su Reddit. Un unico ecosistema economico, e pienamente decentralizzato, di cui possiamo fare parte passando da una parte all’altra del web3 con la stessa semplicità con cui oggi navighiamo in rete con un qualunque browser.
A proposito: alcuni browser come Opera o Brave stanno implementando al loro interno l’utilizzo delle criptovalute e sembrano volersi porre come teste d’ariete per semplificare e diffondere l’utilizzo del web3. Ma quindi, quand’è che questa terza versione della rete prenderà il posto della seconda? Le cose in realtà non sono così semplici.
I limiti del web3
Chi può essere interessato a prendere parte, economicamente e non solo, a questa forma di web? Appassionati di criptovalute, difensori della privacy, nerd e anche speculatori. E il restante 99% degli utenti di internet? La verità è che, per loro, la centralizzazione di Facebook & co. è estremamente comoda: permette di utilizzare lo strumento con immediatezza e non pensarci più.
Per questa ragione, lo sviluppo più probabile è che il web3 non sostituirà il web 2.0, ma si integrerà a esso. Sarà una forma più evoluta – e più complessa – a cui potrà partecipare chiunque voglia mettersi in gioco in maniera più integrale, entrando a far parte di un nuovo sistema economico.
C’è un ultimo aspetto. Come ha recentemente fatto notare il fondatore di Twitter Jack Dorsey, molte realtà del web3 sono sostenute dal punto di vista finanziario dai soliti venture capitalist, che hanno investito in questi progetti centinaia di milioni di dollari. E così, inevitabilmente, il potere decisionale rischia di finire nelle mani di una manciata di persone, che manterranno saldamente in mano le redini del web3. La rete decentralizzata ha già iniziato a centralizzarsi?
Immagine in apertura: courtesy Robynne Hu, Unsplash