Nei giorni in cui BMW lo cerca per la prima volta, Renzo Vitale è a New York, impegnato in una installazione artistica d’avanguardia. “Era una piramide frammentata, con una progettazione di musica algoritmica”, ricorda. “Noi facevamo una performance nudi in questa piramide, dipinti di nero e immersi in un fluido non newtoniano”. Al brand di Monaco però non interessava l’artista, non in quel momento, almeno. Né il musicista. “Mi avevano cercato per la mia preparazione scientifica”. InfattiRenzo Vitale è una figura d’arte e di scienza: artista e compositore da un lato, un dottorato in ingegneria acustica dall’altro. Lui all’inizio rifiuta. “Vedermi in ufficio era quanto di più lontano potessi immaginare”.
Progettare il suono della città dell’auto elettrica
Renzo Vitale è l’uomo che Bmw ha scelto per portare nel panorama urbano, al posto del rumore, “l’eleganza”, come spiega lui stesso. L’intervista.
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- Alessandro Scarano
- 08 gennaio 2021
Atterrato come un alieno in una grande azienda, oggi Renzo Vitale è il visionario di cui ha bisogno un mondo che vive una accelerazione incredibile come quello dell’auto. Quando entrò in BMW cinque anni fa, il suo compito era quello di lavorare sui rapporti di causa ed effetto del rumore nella progettazione delle componenti. Oggi si occupa di qualcosa quasi all’opposto: anziché rendere le auto più silenziose, il suo lavoro è dare un suono alle auto elettriche. Così silenziose sotto la barriera dei 30/40 chilometri all’ora, che le legislazioni richiedono che vengano appunto inseriti. “Il suono è anche informazione, non solo rumore, e la sfida è che si inserisca in maniera elegante e discreta nell’ambiente, ma in modo tale in cui c’è bisogno di informare, e il suono può anche salvare vite”.
Quanto è importante il silenzio?
Il silenzio è il punto di partenza di qualsiasi creazione musicale. A me piace parlare del silenzio estetico, che è quello che cerchiamo di creare nel veicolo: prima di avere il suono, dobbiamo creare il silenzio. Di fatto nei veicoli elettrici ci siamo riusciti. Fuori ci sono gli stessi obbiettivi: siamo consapevoli del rumore che le auto hanno portato nelle città, e il silenzio è un elemento sostenibile che va progettato come tale.
Molti di noi l’esperienza del silenzio in città l’hanno conosciuta durante il lockdown. Ti manca quel silenzio?
A Monaco ho due tre posti nascosti dove so che posso trovare il silenzio. Il silenzio fa bene a tutti. Non sarebbe male anche nella progettazione delle città prevedere delle zone di silenzio.
Dovremmo pretendere più silenzio dalle nostre città?
Questo solleva delle questioni rispetto ai desideri del singolo e alle necessità delle comunità. All’inizio del Novecento a New York un medico, Julia Barnett Rice, fonda la Società per la soppressione del rumore non necessario. Non c’erano ancora i veicoli come li conosciamo, il rumore era quello delle sirene delle navi che approcciavano Manhattan e delle carrozzeche giravano per le strade. Questa soppressione del rumore è qualcosa di cui si occupa anche l’ingegneria acustica, ma nella costruzione di nuovi edifici e strade quasi mai è una priorità soprattutto per questioni di soldi.
E quindi ricorriamo alle cuffie per la cancellazione del rumore…
A me piace anche citare John Cage che abitava sulla Sesta Strada a New York e teneva la finestra aperta perché amava il suono del traffico. Già a inizio del Novecento in Italia c’era molta ricerca acustica sulla meraviglia che la macchina ci porta.
L’avvento delle macchine elettriche chiude un po’ il cerchio.
Esatto. Porteranno benessere e anche un altro elemento, quello dell’espressività, della composizione. Le auto elettriche sono una tela bianca per i compositori per creare dei suoni che non abbiamo ancora ascoltato. E l’auto diventerà una installazione performativa d’arte super intelligente, nella quale il guidatore è un performer, un esecutore, un interprete. Questo per me è fondamentale, perché come musicista io so cosa vuol dire eseguire musica sul palco, conosco il potere della performance di musica sugli individui. La macchina dà la possibilità di milioni di guidatori di esprimere se stessi, attraverso il controllo del pedale o del volante. In futuro offriremo diversi tipi di suono perché le persone si possano esprimere come preferiscono.
Da un punto di vista creativo, come ci si sente a orchestrare la tappezzeria sonora delle città del futuro?
Per me è una possibilità enorme che abbiamo di avvicinare le persone al mondo dei suoni, un misto di responsabilità e privilegio. E sono consapevole del valore aggiunto che ho dato in questo lavoro, perché l’approccio prima che io arrivassi era quello di un suono che identificasse l’auto e soddisfacesse i limiti legali. E io, che prima di entrare in Bmw agivo molto come artista e come ricercatore di architettura, l’ho vista come una sfida, ci ho ho letto una serie di aspetti concettuali ed estetici. Una sfida anche educativa, perché noi abbiamo il dovere di aiutare le persone a essere creative.
C’è qualcosa o qualcuno a cui ti sei ispirato?
Ho sempre cercato, fin da ragazzo, contesti che andassero oltre il mainstream. Quando avevo 16, 17 anni avevo incontrato Michelangelo Lupone, che dirige il Centro ricerche musicali di Roma, che ancora continua a creare concerti meravigiosi ed estremamente contemporanei, ed erano contesti in cui c’erano una ventina di persone al massimo, e al tavolo sedevano filosofi, ingegneri, compositori, artisti, e il suono era osservato da diverse prospettive. Che poi è quello che ho provato a fare io, ovvero osservare il suono da diverse prospettive. I miei riferimenti hanno radici lontane e contesti diversi. Per me sono di riferimento figure che sono andate oltre la singola disciplina come Iannis Xenakis, architetto eingegnere, ma anche compositore. Come faceva lui, anche io applico curve di riferimento per creare suoni.
Ovvero?
Mi piace tradurre curve del design della macchina, del cerchione o del sedile o del retro dell’auto, portandole negli algoritmi di generazione del suono, come Xenakis, che aveva progettato il padiglione Philips insieme a Le Corbusier usando delle parabole iperboliche uguali a quelle utilizzate per i violoncellidella sua opera Metastaseis. Ma la musica è solo una parte dell’ispirazione, negli ultimi suoni che ho creato anche insieme ad Hans Zimmer ho utilizzato tante opere, per esempio quelle di Olafur Eliasson o James Turrell. Artisti che mi hanno impressionato con il loro linguaggio.
Cosa hai preso da loro?
Turrell è un artista che utilizza la luce per farci capire cosa significhi vedere. La prima volta che ho visto una sua opera, è stata una esperienza quasi miracolosa. E quindi mi sono chiesto come si potesse dare consapevolezza ad un ascoltatore di cosa significa ascoltare, performare, interpretare.
Ed Eliasson? Anche a lui hai “dedicato” un suono?
Il suono di accensione dell’auto, che ha un valore particolare. Perché quando accendi una auto elettrica non senti niente ed è perché in effetti non succede niente. Ma anche in base ai feedback dei clienti abbiamo creato un suono di accensione, che ho realizzato insieme ad Hans Zimmer.
Come funziona il lavoro con Zimmer?
Funziona così: mi presento nel suo studio con un concetto, che poi sviluppiamo insieme. In questo caso partivamo dal Wirbelwerk di Eliasson appunto, esposto proprio a Monaco, una spirale con molti frammenti di vetro e basata su un elemento iperbolico, che partendo da un’origine si apre a cono. Abbiamo interpretato l’evoluzione formale dell’opera sulla base di due elementi: il primo, è la materialità del processo. C’è molto uso di vetro nell’opera, come ci sono tante trasparenze nelle nostre auto elettriche. Abbiamo usato dei cilindri di vetro, sfregandoli contro delle corde di chitarra, per ottenere una sorta di polvere di suono. E poi ce n’è un secondo, più concettuale, l’apertura a cono diventa un coro di donne che parte all’unisono e si apre verso un accordo: una traduzione della forma in suono. L’implicazione concettuale, per me, è che l’accensione fosse anche un nuovo modo di interpretare questo mondo elettrico; e di guardare al futuro, con voci femminili in contrasto con un mondo così maschile come l’industria automobilistica.
Torniamo a quella chiamata, quando eri a New York. All’inizio volevi dire di no. Cosa ti ha fatto cambiare idea?
La possibilità di lavorare sulle macchine, che ritengoinstallazioni performative d’arte supercomplessa. E quindi capire come si possono progettare installazioni a livello di gran lunga superiore a quello che noi artisti possiamo garantire. E poi ho pensato al palco che la BMW avrebbe potuto offrire ai temi che io conoscevo e che mi sembravano anni luce lontani.
Com’è andata?
Sono entrato in punta di piedi, in un ruolo che potevo soddisfare ma non era quello che volevo interpretare. È stato molto, molto duro all’inizio, specialmente quando mi facevano notare che mi avevano assunto come ingegnere e non come artista. Una doccia fredda.
Hai pensato di mollare il colpo?
Lì mi sono detto o molli tutto, o combatti per portare un’altra filosofia. E sapevo di avere tutte le carte in regole per portare avanti la sfida. Al tempo stesso ero coinvolto in un collettivo messo insieme dal Ministero delle Finanze tedesco, cento menti che venivano da design, musica, arte, ci incontravamo tre volte all’anno per individuare dei possibili settori su cui investire. E una cosa di cui parlavamo spesso era come portare la creatività in un contesto aziendale.
Una boccata d’aria. Quanto tempo c’è voluto perché le cose cambiassero?
I risultati li ho raccolti dopo 3, 4 anni, e la chiave di volta qui in BMW è arrivata l’anno scorso, quindi al quinto anno. Adesso è al mio fianco anche per progetti come una nuova piattaforma, che ho lanciato. Si tratta di un evento in cui ci sono sperimentazioni musicali con l’intelligenza artificiale e macchine aumentate.BMW mi ha dato la piattaforma, io ho chiesto che non si parli del marchio e di prodotto, voglio che noi siamo un palcoscenico di discussione e apertura. Oggi sono orgoglioso della mia azienda, che ha abbracciato la visione che propongo.