Mauritius, isola/nazione, viene generalmente citata come la principale economia della conoscenza africana, come nel recente articolo pubblicato sul supplemento di Domus dedicato al futuro delle città africane: Port Louis, dare un luogo alle idee.
Port Louis e il sapere
I rapidi progressi di Port Louis, Mauritius, nel settore dell’economia della conoscenza grazie alle città intelligenti, ai poli formativi e ai centri di intermediazione trasparente.
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- Domus Africa Study Centre
- 19 luglio 2017
- Port Louis
Forse questo successo è stato accolto con troppo scarsa sorpresa, perché i modelli occidentali dell’economia della conoscenza – come la regione Emilia Romagna, Silicon Valley e Seattle – sono strettamente inseriti in ecosistemi più vasti costituiti da università, centri di ricerca statali, militari e privati, forte domanda d’innovazione da parte dell’industria e mercati globali.
Per contrasto Mauritius sembra aver superato d’un balzo queste fasi di sviluppo e averne distillato il comune elemento essenziale, cioè la capacità di individuare la proprietà intellettuale e di farsene mediatore. In un certo senso il fatto di essere un’economia insulare al largo della costa africana ha costretto a distillare l’essenziale e a orientarsi all’esterno, verso reti di clienti indiane, cinesi, francesi e britanniche tra le altre, che manifestano l’intenzione di instaurare rapporti con l’Africa subsahariana in tutte le articolazioni della proprietà intellettuale.
La conseguenza di questo intelligente posizionamento in un punto nodale, in parte globale e in parte regionale, è stata la trasformazione della capitale, la città portuale di Port Louis, nel prototipo di numerose città di frontiera che si collocano nei settori dei servizi avanzati, della finanza, della configurazione e dell’esportazione della proprietà intellettuale, caratteristici dell’intermediazione dell’economia della conoscenza più che della sua creazione. Ancora una volta una città africana d’avanguardia ha compreso l’affidabilità e la solidità delle reti di collaborazione al di là del controllo istituzionale e territoriale, e nutre sufficiente fiducia in esse per costruirsi un futuro come centro di mediazione in questo settore.
Sta forse venendo in luce, per le città africane e per il genere di economia e di mercato che ospitano, una collocazione in cui il controllo del territorio è di gran lunga meno importante della capacità di attrarre e far circolare persone, competenze, e, con esse, rapporti fondamentali. Di qui l’impressione che danno città come Port Louis, ma anche Kigali e Lagos, di perseguire opportunità nuove senza chiedere eccessive garanzie: c’è la fiducia che, una volta che una città si dimostri terreno favorevole a un’opportunità, si presenteranno attori adeguati che la sfrutteranno appieno. In questo senso le città africane paiono porsi nei confronti delle nuove iniziative economiche come fornitori di beni e servizi, anziché sulla spinta della domanda.
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