Nell’editoriale del numero di luglio-agosto, Nicola Di Battista afferma che se teniamo al cambiamento è necessario chiedere di nuovo conto a chi fa del valore, del senso, della qualità del suo operato, dentro e fuori della disciplina.
Domus 1004 è in edicola
In questo numero: The New Tate Modern di Herzog & de Meuron con testo di Deyan Sudjic e The Feuerle Collection di John Pawson e Realarchitektur Petra Petersson; le opinioni di sette architetti sulla Biennale di Venezia e un assaggio di Brasile, con testi di Frampton e Angelo Bucci.
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- 12 luglio 2016
Tra i progetti Domus presenta The New Tate Modern a Londra di Herzog & de Meuron con un testo di Deyan Sudjic e l’allestimento della Feuerle Collection a Berlino di John Pawson e Realarchitektur Petra Petersson negli spazi di un bunker in calcestruzzo; l’edificio Lee per didattica e ricerca dell’ETH a Zurigo di Fawad Kazi e il piccolo padiglione di Steven Holl, dove dipinge i suoi acquerelli. Sette architetti esprimono la loro opinione sulla Biennale di Venezia. Piero Lissoni racconta il suo approccio al design, mentre il lavoro di Eero Aarnio è approfondito nella mostra al Designmuseo di Helsinki. L’arte è affrontata con un libro di Maurizio Nannucci che raccoglie tutte le edizioni e i multipli da lui creati dal 1967 a oggi e con la grande mostra di Mimmo Jodice “Attesa 1960–2016” interpretata da Pietro Montani. La scuola di questo mese è la facoltà di Architettura dell’Università di Tokyo che con una didattica dagli orizzonti ampi che va oltre i tradizionali campi della progettazione ha portato ad affrontare le problematiche del territorio e a dedicare grande attenzione alla progettazione computazionale e parametrica. Il tema della città – sia quella storica sia quella contemporanea – è al centro dei corsi di Inès Lamunière all’École Polytechnique Fédérale di Losanna. Infine un “assaggio” di Brasile con un testo di Kenneth Frampton su Roberto Burle Marx e il feedback su San Paolo di Angelo Bucci. L’elzeviro di Francisco Martín Cabrero, “Abitare l’esilio”, mette in luce la condizione dell’esilio come la forma di ciò che la “città ideale” scaccia: i migranti, i senza rifugio, gli “altri”.