– “Dei bravi ragazzi, abbastanza cattivi per non lasciarsi inibire dai vecchi discorsi”. Con queste parole, Ettore Sottsass introduceva il lavoro del celebre gruppo radicale italiano Archizoom sulle pagine di Domus degli anni ’60.
– Nel 1950 l’Unité d’habitation di Marsiglia è già in costruzione. Il primo commento di Gio Ponti sull’edificio segna un evento fondamentale per l'architettura moderna.
– Nel 1980, Domus presenta la Casa Gilardi, ultima opera di Luis Barragán a cui di recente era stato assegnato il Pritzker Prize. L’opera, insieme rigorosa e complessa nell’articolazione degli spazi, emana un senso profondo, quasi religioso, di raccoglimento.
– Lisa Licitra Ponti, per molti anni protagonista dall’interno della storia di Domus, ritraccia con poche, incisive immagini la figura di Ettore Sottsass e il suo stretto legame con la rivista.
– Nel 1981, Domus si occupa di Philip Garner, designer che non perse mai la passione per i congegni futuristici, né l’aspirazione all’utopia di un mondo automatizzato, e che seppe semplicemente aggiungere al suo repertorio la coscienza dell’assurdità di tali congegni.
– Nella rubrica “Cinque cose” pubblicata su Domus nel 2001 Irvine sceglieva cinque oggetti e spiegava perché gli erano cari.
– Vetro e metallo creano la fisionomia della sede della Deere and Co., pubblicata nelle pagine di Domus nel 1965. Qui Saarinen dimostra come la sua architettura non sia mai né suggerita né soggiogata dal normale uso tecnico o espressivo di una materia, pur sapendo fare della materia stessa la protagonista dell’opera.
– Nel 1975 Domus pubblica una conversazione tenutasi fra due amici e collaboratori di Kahn per ricostruire, col supporto dell’ampia documentazione fotografica, le notizie sui lavori in corso dell’edificio dell’Assemblea Nazionale e dell’ospedale centrale Ayub a Dacca.
– Un relitto sulla roccia, dopo il ritiro delle acque. Con queste parole, nel 1980, l’architetto americano John Hejduk racconta su Domus la casa di Curzio Malaparte a Capri.
– Con l’ironia che l’ha sempre contraddistinto, Bruno Munari lanciava nel 1944 sulle pagine di Domus una lucida provocazione diretta al mondo del design.