Un’avventura artistica internazionale tra rivoluzione e reazione, tra cosmopolitismo e provincia, tra costante ed effimero, tra ‘sublime’ e stravagante
Con queste parole è descritta l’Art Nouveau nell’importante monografia dedicatagli negli anni ‘70 dalla critica e storica dell’arte e dell’architettura Lara-Vinca Masini.
Rivoluzione: la stagione Art Nouveau si svolge tra l’ultimo decennio dell’800 e il primo del ‘900, a valle della Rivoluzione Industriale europea, che ha profondamente modificato modi, tempi e finalità della produzione, anche artistica. Reazione: all’esaltazione del progresso di stampo positivista, gli esponenti dell’Art Nouveau contrappongono un atteggiamento più problematico. Contro la replicabilità potenzialmente infinita dell’oggetto industriale, appiattito nella sua moltiplicazione, riscoprono e attualizzano i know-how artigianali del passato.
Cosmopolitismo: l’Art Nouveau attraversa tutto il continente europeo, per approdare anche in America del Nord. Le Esposizioni Internazionali, come quelle di Parigi del 1900 e di Torino del 1902, sono momenti fondamentali di confronto e di circolazione di modelli e sensibilità. In ogni contesto nazionale il movimento si declina con caratteristiche specifiche, e assume una diversa denominazione: Art Nouveau è utilizzato in Belgio e in Francia, dove sono comuni anche le varianti Style Guimard e Style 1900; in Germania ed in Austria s’impongono rispettivamente i termini Jugendstil e Sezessionstil; in Spagna si parla di Modernismo e in Italia di Stile Liberty o Stile Floreale. Provincia: l’Art Nouveau conosce una grande popolarità anche in luoghi lontani dai tradizionali poli della produzione artistica, province dove spesso si fa portavoce dell’esaltazione e della modernizzazione delle identità locali.
Costante ed effimero: l’Art Nouveau professa l’indissolubile unità tra arte e vita, con la prima che investe tutti gli aspetti della seconda (l’art pour l’art, secondo la celebre espressione popolarizzata dal poeta Théophile Gautier) e quindi tutte le discipline artistiche. Dalle più permanenti, come l’architettura, la pittura e la scultura, alle più effimere, come l’arredo, l’allestimento, la scenografia. Non a caso, è proprio con il movimento Art Nouveau che nasce il disegno industriale modernamente inteso. Nell’ambito di questa esperienza sinestetica, Giovanna Massobrio e Paolo Portoghesi sottolineano la rinnovata importanza attribuita all’architettura: “la gerarchia delle arti non procede più dalla meno condizionata alla più legata a fattori economici e sociali secondo la tesi di Hegel, largamente condivisa tra letterati ed artisti europei ma, al contrario, dall’architettura, che è la più comprensiva e sintetica, alle altre arti, che le offrono le diverse tecniche necessarie per definire lo spazio e renderlo adatto alle diverse attività umane”.
Così, per i brevi e tormentati decenni della Belle Époque, l’Art Nouveau costruisce i paesaggi della nuova borghesia, che grazie alla Rivoluzione Industriale si è arricchita ed è assurta a classe culturalmente e politicamente rilevante. Gli interni domestici come gli spazi urbani, con i loro servizi e le loro infrastrutture, si adeguano al “gusto” (concetto squisitamente borghese) dominante.
Sublime e stravagante: le forme e le estetiche dell’architettura Art Nouveau oscillano tra questi due poli. La natura, di cui gli avanzamenti scientifici dell’epoca garantiscono una conoscenza sempre più approfondita, è una fonte d’ispirazione costante per un movimento che ricerca la completa unità tra struttura e decorazione. Le linee sinuose e le volumetrie organiche s’ispirano più o meno fedelmente al mondo naturale, tanto vegetale quanto animale.
Sono queste premesse comuni a costruire un importante filo conduttore tra le opere dei protagonisti dell’architettura Art Nouveau, tutti più o meno debitori dell’esperienza anticipatrice del movimento Arts & Crafts inglese, di cui William Morris (1834-1896) è capofila indiscusso. Tra di loro lo scozzese Charles Rennie Mackintosh (1868-1928), progettista della Glasgow School of Art (1896-1909); il francese Hector Guimard (1867-1942), universalmente ricordato per le edicole d’ingresso alle stazioni della metropolitana parigina (1900-1912), ma anche per il Castel Béranger (1898), sempre nella capitale francese; i belgi Henry van de Velde (1863-1957) e Victor Horta (1861-1947), quest’ultimo autore di opere Art Nouveau precoci come la Maison Tassel (1893), oltre che della celebre ma distrutta Maison du Peuple (1896-1899), entrambe a Bruxelles; il tedesco August Endell (1871-1925), che a Monaco di Baviera costruisce l’Atelier fotografico Elvira (1896-1897). E ancora gli esponenti del modernismo catalano come Antoni Gaudí (1852-1926), l’architetto della Casa Batlò di Barcellona (1904-1906) e della Sagrada Familia, cominciata nella stessa città nel 1882 e tuttora in attesa di completamento; gli interpreti del Sezessionstil come Joseph Maria Olbrich (1867-1908) e Otto Wagner (1841-1918), autore della Postsparkasse (1904-1906) e di molte stazioni della Stadtbahn viennese (1895-1900); i protagonisti del Liberty italiano come il torinese Pietro Fenoglio (1865-1927), il milanese Giuseppe Sommaruga (1967-1917), il fiorentino Gino Coppedè (1866-1927) e il palermitano Ernesto Basile (1857-1932). Vicini all’Art Nouveau sono anche i loro contemporanei statunitensi, come Louis Henry Sullivan (1856-1924), autore dei magazzini Carson Pirie and Scott Company Building di Chicago (1899-1904).
A partire dai primi anni ’10 del ‘900, l’affermazione delle avanguardie e poi del Movimento Moderno, oltre che le mutate condizioni politiche, economiche e sociali conseguenti al primo conflitto mondiale, comportano il definitivo superamento del movimento Art Nouveau. Interpretato semplicisticamente come uno stile decorativo, accomunato erroneamente all’eclettismo ottocentesco, quest’ultimo conosce decenni di sostanziale sfortuna critica e oblio, che si traducono anche nella demolizione e manomissione di molte architetture di valore. Già in parte riabilitato dallo storico dell’architettura Nikolaus Pevsner, che ne fornisce una nuova e più acuta interpretazione storiografica nella sua opera su I pionieri del movimento moderno (1936), è soprattutto dalla seconda metà del ‘900 che l’Art Nouveau è oggetto di una sostanziale riscoperta, che lo reintegra a pieno diritto tra i movimenti che hanno fatto la storia dell’architettura occidentale del ventesimo secolo.