La passione per la tecnologia e i materiali ha sempre guidato la sua estetica severa ed essenziale. Il metallo, spesso nella forma di sottili lamine piegate per creare tavolini o contenitori, Konstantin Grcic lo ha usato sin dagli anni Novanta – si pensi al tavolino Refolo per Aleph Atlantide e soprattutto a quella serie di tavolini Mono per SCP che Chipperfield definì un come “un progetto ragionato: la coincidenza di idea, tecnologia e tettonica” “a very thoughtful design: the coincidence of idea, technology and the tectonic”. Con Chess, la serie di contenitori e cassettiere in lamiera di metallo presentata allo Spazio Magis di via Rosales, Grcic va però oltre il semplice progetto di un oggetto di design e interviene sul processo produttivo di un’intera azienda, la Fami, specializzata in mobili di metallo, per rendere domestico un prodotto tecnico da laboratorio, dall’estetica fredda e industriale. È solo uno dei prodotti a cui ha lavorato per il Salone di quest’anno, ma è un buono spunto per parlare dei suoi nuovi progetti.
La base per realizzare la collezione Chess era una categoria di arredi normalmente associata a robustezza e freddezza. Una bella sfida pensare di inserirli in una casa.
Abbiamo usato il prodotto di altissima qualità ed efficienza di Fami così com’era, dovevamo stare all’interno dei loro standard per poi fare un lavoro di analisi e capire dove intervenire nel processo produttivo. Abbiamo usato l’arma della semplificazione, della pulizia formale, definito le giuste dimensioni per un uso domestico che si estendesse a tutti gli ambienti della casa per poi cercarle all’interno della linea produttiva dell’azienda: altezza, profondità, tipologia delle ante. L’imperativo era non cambiare il loro processo di produzione, fare solo interventi leggeri.
Qual è stata la parte più difficile?
Trovare la soluzione per le maniglie e scegliere due soli colori per l’intera collezione – per non modificare i tempi di asciugatura delle vernici. Il legno applicato alle ante, oltre che nello zoccolo che ha sollevato gli elementi da terra, ha aiutato nella “svolta domestica”, mentre con il bianco (neutro) e il rosso amaranto (caldo) abbiamo dato trovato un equilibrio cromatico. Aver potuto fare molte prove – dato che l’azienda riesce a lavorare su nuovi prototipi molto velocemente – ha aiutato molto.
Per Vitra hai lavorato a un progetto di ricerca sugli spazi comuni, Communal, che comprende sei prodotti tra cui la tua scalinata.
Ho lavorato in verticale partendo da un sistema esistente di Vitra per i negozi (shop fittings). Scala è un prodotto adatto a spazi pubblici oltre che uffici, e c’è già una risposta positiva da parte degli architetti. Mi piace ripensare a una tipologia o rispondere a una modifica nel comportamento delle persone.
Ti è sempre piaciuto lavorare sui dettagli.
L’ho fatto anche con il nuovo divano per Established & Sons, un progetto molto standard – non avevo ambizioni rivoluzionarie –, fatto di pochi pezzi che si combinano tra loro. Abbiamo lavorato sulle dimensioni ridotte e su un sottile materasso che si aggiunge all’imbottitura della seduta e conferisce un extra comfort. Sono stati d’ispirazione gli hotel americani, che apportano questa aggiunta ai loro letti.
Fai questo mestiere da quasi trent’anni. Cosa è cambiato nel mondo del design? Cosa hai guadagnato e cosa hai perso?
Questa potrebbe diventare una conversazione molto lunga… Semplifico: sono aumentate le opportunità e sono migliorati gli strumenti, ma il mercato si è accelerato. Dobbiamo finalizzare nuovi prodotti molto velocemente e avere riscontri economici altrettanto rapidamente. Si pensa che possiamo farlo proprio per via della qualità degli strumenti a disposizione ma è falso, tutto è diventato più complicato, dobbiamo rivolgerci a un mercato globale che ha culture e background differenti usando molteplici strumenti di comunicazione.
Cerco sempre di inseguire quello che mi affascina, non necessariamente ciò che è innovativo o radicale: qualcosa che si distingua per le sue qualità, ben fatto, che resista nel tempo.
Credi che questa accelerazione sia stata sollecitata dalla crisi economica?
Non credo la crisi abbia contribuito. Paradossalmente, si lavorava di più per abbattere i costi di produzione e vendita negli anni Novanta che adesso, fatti salvi casi specifici – pensa alla sedia dei Bouroullec per Hay in vendita a 50 euro). Quello che so è che questo cambiamento provoca una crisi della creatività e porta all’omologazione. Personalmente cerco sempre di inseguire quello che mi affascina, non necessariamente ciò che è innovativo o radicale: qualcosa che si distingua per le sue qualità, ben fatto, che resista nel tempo.
Così come c’è lo slow journalism, nato dalla frustrazione nei confronti della cattiva qualità del giornalismo mainstream tutto scoop e velocità, potrebbe esserci uno slow design, fatto di meno progetti e più qualità.
Alcuni designer hanno cominciato a praticare questa strada e spero davvero che le aziende comincino ad assecondarla e seguirla, lavorando di più sulla distribuzione, per esempio. Certo, non tutto ciò che viene fatto lentamente ha qualità e anche progetti realizzati in velocità possono essere ben fatti. Quel che serve è una maggiore consapevolezza di ciò che si fa e di come lo si fa.
Hai qualche esempio in mente?
Penso a Plank, una piccola azienda che produce in genere un progetto all’anno ed è molto centrata. Per loro ho portato a termine il mio progetto più tecnologicamente impegnativo e ambizioso di quest’anno: la sedia Cup, dalla struttura metallica con un guscio realizzato in polistirene la cui tecnologia deriva da valige tedesche realizzate in una plastica molto sottile, resistente ma flessibile, con uno stampo tridimensionale. In azienda hanno ingegnerizzato la sedia in modo scrupoloso, studiato un materiale ad hoc e realizzato un prodotto leggero, flessibile, resistente e bello.
In questo caso sei partito dalla tecnologia.
Non è sempre possibile farlo e non voglio forzare questa direzione, ma è certamente di aiuto nella definizione di un progetto. Per il parasole Meteo di Kettal, per esempio, abbiamo fatto un piccolo cambiamento nel meccanismo aggiungendo un pistone a gas per aiutare a sollevare la parte schermante.
Per concludere: la sostenibilità è un ingrediente del tuo lavoro
Certo. È un tema che è sempre stato molto importante per il design e che oggi viene molto sbandierato, fino a diventare uno slogan un po’ vuoto in molti casi. Per me significa lavorare per economizzare il processo di produzione e le risorse che si utilizzano, essere attenti al ciclo di vita dei materiali e alla possibilità di riciclarli. Anche semplicemente realizzare progetti che si possano riparare.