Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1086, gennaio 2024.
Gli schizzi della prima sedia mai disegnata da Mario Botta risalgono al 1982. Quell’anno, l’architetto svizzero sta riflettendo sulle forme essenziali di quella che diventerà uno dei prodotti più rappresentativi di Alias, azienda fondata e condotta, ai tempi, da Enrico Baleri.
Con l’inchiostro nero, su fogli a quadretti o carta da lucido, inizia a immaginarla: “Volevo fare un prodotto ridotto al minimo”, racconta ricordando la genesi del progetto. Torna più volte sulle componenti, traccia la struttura sottile, abbozza gli spessori e le finiture. Ne deriva un oggetto essenziale, caratterizzato da due soluzioni imprevedibili: la struttura di acciaio nero si interrompe nel punto di maggior carico, la seduta, risolta in una sottile lastra traforata, e si conclude in uno schienale cilindrico in poliuretano nero scanalato, che serve a scaricare il peso corporeo.
Anche la sedia è un’architettura e, come tale, tendo a portarla all’essenziale.
Mario Botta
In quegli anni, Botta è impegnato nella progettazione di alcune residenze unifamiliari, a Stabio, Origlio e Morbio Superiore, in Svizzera, edifici monumentali di volumi puri, attraversati da fenditure di luce e vibranti per le tessiture in laterizi. Un atteggiamento architettonico che lavora per sottrazione e che trova una corrispondenza nel suo primo progetto di design, perché, racconta, “anche la sedia è un’architettura e, come tale, tendo a portarla all’essenziale. Ho un linguaggio che mi spinge a non aggiungere altro ai volumi indispensabili a un’architettura, a un’idea di uno spazio coperto, così come agli oggetti di uso quotidiano”.
La seduta, battezzata Prima – e che genera quasi contestualmente Seconda, la versione con braccioli –, vede la luce nei primi anni Ottanta, prendendo le distanze dall’estetica Pop dei colori sfacciati del gruppo Memphis, dei rivestimenti plastici e dell’iperdecorativismo che accompagnava il design dei gruppi radicali. Botta sceglie, invece, di sperimentare con il suo linguaggio: lui, che si definisce un architetto “in bianco e nero”, affida il colore ai materiali, che considera sacri e che preferisce “consacrare nella loro verginità, nella loro purezza”.
L’efficienza del prototipo veniva studiata con l’aiuto di un fabbro, che procedeva seguendo le indicazioni, talvolta rivelatrici di una “certa ingenuità”, racconta divertito l’architetto, ricordando quando Baleri si presentò in studio con un prototipo enorme: “Ci eravamo fraintesi sulle misure, e invece della mia seggiolina leggera il fabbro aveva forgiato un trono pesantissimo! Si lavorava così, per tentativi, imparando dagli errori e azzardando proposte rivelatesi risolutive: il poggia schiena ‘che rotola’ andava a bilanciare la linearità della struttura metallica: è una cosa così semplice che ancor oggi non mi spiego il suo successo. O forse proprio questa semplicità l’ha resa intramontabile”. Alias celebra oggi la fortuna proponendola in nuove verniciature lucide