Pirotecnico, geniale e dal gran cuore, Chris Bangle è uno dei designer automobilistici più importanti degli ultimi 50 anni. Non ha paura di dire che le auto di oggi sembrano tutte uguali, di emozionarsi quando parla di uno dei suoi colleghi scomparsi prematuramente né di limitarsi all'oggi. Le sue sono automobili che guardano avanti, spesso troppo. “Ricordo che i primi tempi perdevo sempre”, ci racconta Bangle, “Per scegliere il design delle vetture si fanno delle gare tra designer e io perdevo, ma poi vedevo che alcune idee del mio team venivano applicate da altri. Mi ricordo che, quando iniziai in Fiat, il mio capo di allora mi disse: ‘Stai facendo un lavoro fantastico. Il tuo lavoro è essere l'arma stilistica degli ingegneri, tu devi dimostrare cosa si può fare, devi motivare la tua concorrenza nel design a superare i propri limiti’”.
Le auto di Chris Bangle, raccontate da lui
Dalla Opel Junior al prototipo Reds, passando per le esperienze in Fiat e Bmw, uno dei più importanti progettisti dell’automotive passa in rassegna i suoi modelli che hanno lasciato il segno.
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- Alessio Lana
- 18 maggio 2021
Il tour delle sue opere più iconiche non può che partire dall'Opel Junior, un concept del 1983 di cui l'allora 27enne Bangle (è nato a Ravenna, in Ohio, nel 1956) aveva curato gli interni. “Allora era appena arrivata in Germania, ma io mi ero ispirato comunque a Ikea”, racconta, “Era un’auto giovane e l’idea era che arrivasse nuda al cliente, praticamente vuota e poi ognuno poteva riempirne gli interni come voleva, per poi acquistare, come in Ikea, i vari pezzi come l’autoradio, il contagiri, gli indicatori della temperatura dell'olio o dell'acqua e aggiungerli man mano secondo i propri gusti”.
Passato alla Fiat, Bangle nel 1994 dà vita a una delle sue creazioni più famose, la Coupé. Auto vigorosa e aggressiva, in molti la ricorderanno per un dettaglio curioso, il grande tappo del bocchettone della benzina in alluminio che spiccava sulla carrozzeria. “Sono molto felice di quest'auto, mi piace ancora parecchio”, racconta Bangle, che ha un aneddoto interessante. “Stavo vedendo un film con Peter Fonda, “Zozza Mary, pazzo Gary”, quando a un certo punto si vede una ripresa dall'altro della Dodge Charger che è quasi una coprotagonista del film. La telecamera sorvola la vettura andando avanti e indietro e io ho bloccato il videoregistratore e riguardato quella scena non so quante volte per vedere bene quell'enorme tappo della benzina ben evidente sulla carrozzeria”. Altri dettagli interessanti sono il “cofango”, cofano e parte dei parafanghi anteriori che si sollevano insieme (“Ma io l'avevo pensato in alluminio e con l'apertura in avanti”, confessa il designer), i fari posteriori incassati nel corpo della vettura “stile Ferrari” e quelli anteriori “a doppia bolla” che ricordavano il seno di una donna. “Ricordo che quando Ermanno Cressoni, allora direttore del Centro Stile Fiat, aveva presentato l'auto, un ingegnere gli aveva chiesto: 'Come si lavano questi fari?' e la sua risposta fu 'Con amore, ingegnere. Con amore'”.
Negli anni '90 Bangle diventa responsabile del design di BMW e ne rivoluziona il marchio. Una delle sue prime opere, disegnata dal giovane Chris Chapman, è la Bmw X5, un Suv destinato a diventare un simbolo per la casa di Monaco. “Chapman allora era un giovane e innocente americano – ride –, ricordo che era entrato alla G-Studio di Torino con bozzetti e modellini, una marea di roba... Di fronte si era trovato una squadra di esperti che gli avevano chiesto semplicemente: 'fai la linea del parabrezza, quella che lo unisce al cofano'. Era stupito, non aveva capito, ma di tutta risposta replicarono, 'Da lì parte tutto, se fai quella linea giusta tutto il resto viene da sé'. L’idea che una singola linea potesse determinare tutto il design di una vettura lasciò il povero Chapman esterrefatto”. Nata nel periodo dell'acquisizione del Gruppo Rover da parte dell'azienda di Monaco, la prima X5 voleva rispondere alle richieste degli automobilisti per vetture polivalenti, spaziose, senza i limiti delle auto tradizionali né la prepotenza dei fuoristrada. “La soluzione geniale è stata far sedere le persone in alto ma mantenere i componenti pesanti in basso – ricorda Bangle –. Così il peso è tutto giù, la tenuta di strada è eccellente e il comfort è garantito. La prova del nove è arrivata durante un test drive. Una giornalista mi aveva raccontato di essere entrata e di non aver trovato nulla di particolare mentre guidava ma poi, scendendo, era caduta per terra, perché non si era resa conto di quanto fosse seduta in alto. Non se n'era proprio accorta”.
A metà degli anni '90 arriva la vera rottura. Bangle mette mano alla Serie 7 e poi alla Serie 5 rivoluzionandone le linee. Troppo secondo gli appassionati dell'epoca (“Era la prima rottura con la tradizione e aveva scatenato il furore”, ricorda il designer) che avevano perfino firmato una petizione per il suo licenziamento. Una richiesta fortunatamente caduta nel vuoto visto che ancora oggi possiamo vedere dei richiami a quella rivoluzione di vent'anni fa. “In quel periodo avevamo creato una nuova strategia di design chiamata 'bookends', fermalibri – racconta Bangle –. Immaginatevi una libreria con tanti volumi, ognuno una diversa BMW. Da una parte c'è un fermalibro improntato alle superfici pure come Gina e Z4, dall'altro il corrispettivo per il volume puro, come la Z9 GT. Nel mezzo c'è proprio la Serie 5 E60, un'auto che doveva essere bilanciata sia in termini di innovazione, sia di superfici, che di volume”. Un'auto con dietro una storia tragica. “Avevamo deciso di eliminare dalla competizione il modello di Davide Arcangeli – prosegue il designer – ma nella notte lui aveva modificato tutto, rifacendo le forme con dei fogli di alluminio da cucina perché era tardi e non aveva altri materiali a disposizione. Quando rivedemmo il modello, lo rimettemmo subito in gara. Il modello alla fine fu vincente e divenne la E60, ma la storia finì tragicamente perché Davide prese una brutta malattia e morì pochi giorni dopo che lo avevo informato di essere il padre di una nuova BMW”. Qui Bangle si commuove al ricordo di quel genio del design nato a Rimini nel 1970 e scomparso prematuramente nel 2000: “Da quel momento nessuno ha voluto più cambiare nulla nella vettura e ancora oggi ricevo email che, a vent'anni di distanza, definiscono la Serie 5 ancora come un'auto d'avanguardia”.
La chiusura è dedicata all'ultima auto di Bangle, la REDS, un prototipo presentato al Salone di Los Angeles nel 2017, a otto anni di distanza dalla BMW. Firmata insieme a Pietro Nume, Matteo Mariuzzo, Sara Petrucci, Marco Rosso, Matteo Barale, Atsuhiko Yamada e Swantja Roessner, questa piccola city car colpisce l'occhio per il suo parabrezza negativo, spiovente verso il basso, ma la vera novità è concettuale. “Cambia completamente il concetto di mobilità”, racconta il designer, “In molti Paesi e in particolare in Cina, alla quale è dedicata la REDS, le vetture vengono guidate solo per il 10% della loro vita. Noi abbiamo voluto dare un senso a quel 90% che rimane. L'idea è di avere quindi uno spazio tutto per sé, per stare con qualcuno, per cambiare il pannolino del bimbo, per rilassarsi, per leggere... REDS è un volume personale su ruote. È uno spazio per vivere, che ha deciso di essere un’auto”. A livello di design, spiega Bangle, “REDS sembra un'auto normale, naïf, come se fosse stata disegnata da un bambino. Solo dopo un po' ti accorgi che c'è qualcosa di strano, con quel parabrezza al rovescio, e che dentro è molto più grande di quanto ti aspetti. Ma soprattutto, non appena la vedi, ti rende felice”.