Nel suo ultimo progetto, Anonimo Contemporaneo, Francesco Faccin parte da una sedia popolare e archetipica, la Romanella, la cui origine si perde nella notte dei tempi. E prova a considerarla un modello formale, una tipologia da reinventare in chiave contemporanea. È possibile rivisitare la stessa idea infinite volte senza ripetersi? O migliorare un oggetto perfetto, che ha saputo evolversi nel tempo adattandosi a luoghi e culture diverse. La sua risposta si traduce in una collezione sperimentale e sofisticata, dove ogni variante incarna le potenzialità un materiale diverso – due tipi di legno, alluminio in fusione, fibra di carbonio con stampo in alluminio – e ne esalta le qualità specifiche. Si torna così all’essenza della sedia, iconica e anonima allo stesso tempo. Non con una riflessione nostalgica, però, ma piuttosto con l’elogio di “un oggetto solido apparentemente immutabile perché è già perfetto”. “Un po’ come un musicista che prende un tema e lavora sulle sue variazioni finché viene fuori una cosa completamente nuova”.
Variazioni di un’icona anonima e contemporanea secondo Francesco Faccin
Iconica e anonima allo stesso tempo, la Romanella è il punto di partenza del progetto del designer milanese: rinasce così un oggetto perfetto che, dopo secoli di adattamento a luoghi e culture diversi, era a rischio estinzione. L’intervista.
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- Elena Sommariva
- 12 maggio 2020
La storia, iniziata nel 2013 all’Accademia Americana di Roma, mentre era ospite per una borsa di ricerca, merita di essere raccontata perché è il perfetto esempio di cosa succede quando un designer aggiunge il tempo della ricerca (in questo caso lungo quasi due anni) a quello del progetto; quando incontra un committente colto (Galleria Giustini / Stagetti); e quando lavora con una rete di artigiani appassionati e pronti ad andare al di là dei limiti imposti dalla routine. Il brief iniziale era disegnare una sedia contemporanea che accogliesse la suggestione del territorio romano. Faccin s’imbatte nell’ultima bottega di sedie di Roma, in via dei Sediari [che oggi ha definitivamente chiuso, ndr], e qui scopre la storia della Romanella, variante romana della classica sedia da trattoria, “capolavoro” anonimo della tradizione popolare italiana, presente in quasi tutti i paesi del Mediterraneo. “M’interessava lavorare su un oggetto anonimo che sta scomparendo”, spiega il designer. “E volevo provare a fare lo sforzo di togliermi di mezzo come designer”.
Ne sono nate 12 sedie, con materiali, intrecci e finiture diversi. “Ed è solo l’imprinting di un progetto in evoluzione, destinato a crescere”, prosegue il designer che ha lavorato con una rete di artigiani dislocata sul territorio nazionale, tra cui un artigiano in Veneto per la sedia in legno, un laccatore in Brianza, l’artigiano del carbonio a Mestre e un’intrecciatrice vicino a Milano. Se la sedia originale è intrecciata in paglia, nelle nuove versioni ci sono quello in cuoio e quello in acciaio della sedia in alluminio che è pensata per l’esterno.
“Come fare a parlare di artigianato italiano senza la retorica del fatto a mano? Quello che m’interessa di più è la figura del nuovo artigiano, l’erede della storia secolare dell’artigianato italiano”, prosegue Faccin. Qual è quindi l’identikit del nuovo artigiano? “È l’artigiano italiano che è capace di uscire dalla propria zona di competenze specifiche con passione e spirito di adattamento. Ama la sfida per cultura perché l’Italia è sempre stato un luogo di grandissima competizione giocata sulla qualità e unicità del prodotto. Riesce a unire cultura del progetto e passione. Come hanno sempre fatto i migliori artigiani del passato, anche il nuovo artigiano accoglie la sfida del designer e porta un punto di vista nuovo, superando i confini tradizionali. Rispetto al passato c’è però stato un salto di generazione e di visione: si usano tecnologie nuove per sperimentare i processi, si attinge a informazioni globali e si può contare su una comunità internazionale che va dalla Nuova Zelanda agli Stati Uniti”. L’obiettivo finale resta lo stesso: “Realizzare oggetti di qualità destinati a durare, che hanno un valore intrinseco per come sono stati progettati e realizzati”.
E il ruolo del designer di mobili? “Dipende dall’interlocutore, nel caso di una galleria come Giustini/Stagetti, è il designer a portare una ricerca di volta in volta. Forse il ruolo del designer può anche essere di fare un ragionamento su quanto di buono abbiamo fatto fino a ora e riuscire come in una staffetta a rendere di nuovo interessante un progetto anche solo nel processo. Nel caso di un’azienda potrebbe essere la ricerca sui materiali e senza più scuse sulla sostenibilità dei processi. Di sicuro il ruolo del designer non è più semplicemente quello di dare una forma ad un prodotto. Oggi le gallerie possono diventare sempre più un luogo dove produrre oggetti di qualità destinati a durare. La sostenibilità è anche questo: produrre oggetti che durino nel tempo e abbiano un valore intrinseco per come sono progettati e realizzati. Oggetti di qualità e non merce da esibire all’ennesima fiera. E ripartire dal passato, da modelli solidi che già abbiamo sotto i nostri occhi”.
Il ritratto di Francesco Faccin è di Valentina Sommariva.
Francesco Faccin, Anonimo Contemporaneo, Galleria Giustini/Stagetti
Francesco Faccin, Anonimo Contemporaneo, Galleria Giustini/Stagetti
Francesco Faccin, Anonimo Contemporaneo, Galleria Giustini/Stagetti
Francesco Faccin, Anonimo Contemporaneo, Galleria Giustini/Stagetti
Francesco Faccin, Anonimo Contemporaneo, Galleria Giustini/Stagetti
Francesco Faccin, Anonimo Contemporaneo, Galleria Giustini/Stagetti
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Francesco Faccin, Anonimo Contemporaneo, Galleria Giustini/Stagetti
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Francesco Faccin, Anonimo Contemporaneo, Galleria Giustini/Stagetti
Francesco Faccin, Anonimo Contemporaneo, Galleria Giustini/Stagetti
Francesco Faccin, Anonimo Contemporaneo, Galleria Giustini/Stagetti