Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1038, settembre 2019
Quando una generazione di studenti riscopre Progettare per il mondo reale, il libro di Victor Papanek, pubblicato negli snni Settanta, con la famosa affermazione che “esistono professioni più dannose del disegno industriale, ma non sono molte”, per i designer maturi, all’apice della carriera, è il momento di riflettere seriamente sul proprio lavoro.
Sentono il fiato sul collo da parte di una generazione cui non solo non interessa diventare il nuovo Philippe Starck, ma che anzi fa di tutto per evitare tale destino. Lavorano in un contesto in cui Apple, sulla scia delle dimissioni di Joni Ive, capisce che ai suoi giovani clienti interessa la sostenibilità più degli status symbol. Che cosa resta dunque da fare ai designer sensibili, ma non attrezzati o motivati a dedicare la carriera alla purificazione dell’acqua o alle alghe stampate in 3D, ma che comunque vogliono mantenere credibilità e rilevanza?
Nel caso di Ronan ed Erwan Bouroullec la strategia – anche se il termine ‘strategia’ allude a un livello di calcolo che non riflette esattamente il loro approccio sostanzialmente istintivo – consiste nell’esercizio dell’ intelligenza. Forse non si riesce a indentificare a colpo d’occhio la loro cifra, ma tutti i loro progetti ne riflettono la peculiare sensibilità.
Corre voce che i due, ora, abbiano qualche divergenza nei rispettivi interessi, con Ronan più affascinato dalla possibilità di lavorare su scala architettonica – ambizione dimostrata molto di recente nei progetti per sei fontane parigine [sugli Champs-Elysées, ndr] – rispetto al fratello, apparentemente più versato per la tecnologia. Tuttavia, entrambi hanno costruito la propria identità affrontando opere che vanno dai pezzi in edizione limitata per Kreo agli arredi in serie per Vitra, dove, per esempio, gli schizzi di progetto per la sedia Vegetal mostrano la poesia che si cela perfino dietro un prodotto di plastica stampata a iniezione: proprio oggi, quando anche solo lavorare con questo materiale significa incorrere nel rischio delle censure di chi crede nell’“emergenza dell’estinzione”.
Entrambe le tendenze si riscontrano invece nel sistema Grid per Established & Sons che, nonostante le radici dell’azienda nel campo delle edizioni limitate di taglio scultoreo, è un tentativo serio di affrontare la natura informale del luogo di lavoro contemporaneo con un progetto che è architettonico nel suo sforzo di organizzare lo spazio e, al tempo stesso, anche incentrato sull’oggetto: un po’ come il divano-letto di Tom Dixon per Ikea cerca una mediazione con la natura nomade della vita domestica di oggi.
Uno dei progetti più recenti dei fratelli, per la società americana Skyline Design, è una gamma di pannelli di vetro dalle ambizioni architettoniche. Incollando audaci motici geometrici sul vetro, in un modo che evoca le linee di piombo usate per tenere in posizione le vetrate medievali, e creando una palette di colori sottilmente graduata, hanno prodotto un sistema capace di trasformare radicalmente gli interni.
Entrambi continuano a lavorare pensando che la vita prosegue, anche sullo sfondo della rivolta contro il consumismo. A prestare fede alle loro interviste recenti, è Erwan a guidare il lavoro per Samsung sulla natura del televisore, attualmente alla sua seconda versione con il Serif 2.0. Nell’epoca dello schermo piatto, quando i progetti tendono a fare scomparire del tutto il televisore come oggetto, il Serif, invece, riafferma l’idea di TV e riporta in vita un genere. I due fratelli hanno salvato la TV dalla sua umiliante condizione di semplice e anonimo schermo – fissato alla parete di una camera d’albergo, appesantito da un cavo di corrente che pende –, e gli hanno conferito una nuova, per quanto bizzarra, dignità.
La possibilità di avere gambe divergenti ne ribadisce la presenza fisica quando è collocato sul pavimento, in un’evocazione fumettistica degli arredi degli anni Cinquanta. Ma il Serif può anche usare la sua cornice estrusa per essere appoggiato su uno scaffale o su un tavolo. A suo modo, è interessante, così come lo è il sistema di illuminazione Belt per Flos, che incastona gli elementi di una lampada a LED in strisce di cuoio, in un provocatorio abbraccio di linguaggi progettuali contrastanti.
La collezione Flos presentata quest’anno al Salone del Mobile milanese comprendeva anche un’opera di Oki Sato, designer giapponese della stessa generazione dei Bouroullec, con un’impostazione abbastanza diversa su come conservare il proprio stile. Gaku è contemporaneamente una lampada e un arredo – fusione che Sato non è certo il primo a sperimentare, come testimonia il tavolo Apocalypse Now di Carlo Forcolini per Alias del 1984. Poco dopo la svolta del millennio, Oki Sato fonda il suo studio chiamandolo Nendo. Sarebbe interessante sapere come sarebbe stato accolto se l’avesse battezzato plasticine, l’equivalente inglese della pasta per modellare che in giapponese si chiama nendo e in italiano plastilina.
Nendo costruisce il suo successo lavorando come un marchio giapponese d’alta moda, attento a conservare la sua credibilità creativa mettendo a segno – va detto – progetti personali talvolta davvero sublimi, accanto a una serie di altri progetti per marchi di grande diffusione.
Nendo lavora sulla poesia accanto al suo segno distintivo principale di semplicità ed economia, che ricorda il linguaggio che Muji ha fatto suo. Contemporaneamente, concede volentieri applicazioni commerciali del suo marchio a tutti quanti. Fino a oggi la commistione si è rivelata molto efficace: Nendo si è diffuso in tutto il mondo, con committenti tra Italia, Repubblica Ceca e Francia.
Il suo lavoro per Daikin all’ultimo Salone del Mobile di Milano, con l’installazione Breeze of Light, appartiene certo alla categoria del sublime, anche se si tratta di un esempio di creatività al servizio dell’obiettivo di persuaderci a fare maggiore uso dei condizionatori d’aria. D’altra parte, il progetto di un bicchiere commissionato dal produttore della popolare bevanda analcolica giapponese Calpico era meno sublime del riferimento al lavoro di Raymond Loewy per la Coca-Cola.
Che si tratti di un orologio, di una borsa per Longchamp o di una sperimentazione sui limiti dell’abilità dei vetrai di Murano per Wonderglass, Nendo presenta tutti i suoi progetti con lo stesso abile, laconico stile grafico, In ogni caso, per lo meno finora, è stato capace di conservare la fisionomia della sua identità.
Deyan Sudjic è il direttore del Design Museum di Londra. É stato direttore di Domus dal 2000 al 2004 e direttore della Biennale d’Architettura di Venezia nel 2002.